Il segretario generale della Feneal Uil, il sindacato Uil, lamenta una politica poco conclusiva da parte dell’Ance che ancora deve affrontare i temi più difficili.
La trattativa per il rinnovo del contratto degli edili è da tempo praticamente ferma. Il contratto è scaduto dalla fine dell’anno scorso, ma il negoziato va per le lunghe, si arena, non riesce a trovare una via di uscita. I sindacati hanno proclamato lo stato di agitazione della categoria, per smuovere le acque. Per la prossima settimana è infatti fissato un nuovo incontro plenario e l’irrigidimento sindacale potrebbe servire, almeno nelle loro intenzioni, da acceleratore. Massimo Trinci, segretario generale della Feneal Uil, spera di avere a breve risultati concreti.
Trinci, perché questo allungamento anomalo delle trattative contrattuali del vostro settore? Negli altri comparti si è andati molto velocemente, a volte si è corso anche troppo.
La crisi ha certamente influito, le risorse difettano e trattare in queste condizioni non è mai facile. Ma nel nostro caso c’è stato anche qualcosa in più.
Cosa, di preciso?
Diverse cose. Una certa disorganizzazione nelle controparti, il fatto che siano stati affrontati temi difficili e tutto compreso poco funzionali al rinnovo, una volontà riformatrice cui non hanno corrisposto proposte adeguatamente efficaci.
Ma i temi forti, il salario per esempio, sono stati affrontati?
Ancora no, ed è questo che ci sconcerta.
Di cosa si è parlato?
Al momento il negoziato è bloccato su un documento dell’Ance sulla riforma della bilateralità e su una proposta che modificherebbe in senso negativo il funzionamento dell’Ape, anzianità professionale edile.
Cosa vogliono i costruttori?
Il sistema che loro propongono in pratica impedirebbe alla maggior parte dei lavoratori di percepire l’Ape, in quanto essa verrebbe erogata non più nel caso in cui si lavori per 2.200 ore nel biennio, ma 3.200. Considerando che mediamente un lavoratore difficilmente riesce a superare le 100 ore mensili, quasi nessuno potrebbe arrivare a quei livelli, troppo alti per tutti.
Perché questa richiesta?
I costruttori vorrebbero cambiare il funzionamento dei fondi Ape che le casse edili hanno a livello provinciale e che per lo più funzionano bene. Ce ne sono alcune, ma sono poche, non più di 5 o 6, che hanno i conti in sofferenza. E forse altre in condizioni critiche, ma siamo sempre in presenza di numeri ristretti.
In che direzione?
L’Ance preme perché ci siano regole nazionali, uguali per tutti, e strutture nazionali che controllino quanto avviene nel territorio. Ma noi non crediamo che questa struttura possa funzionare, soprattutto perché c’è una forte tendenza all’autonomia, in primis nelle file dei costruttori. Un discorso a parte va fatto anche per le scuole edili e le casse. Noi crediamo che sia necessario puntare ad un coordinamento regionale che miri all’efficenza e ad una maggiore sinergia sia nei servizi informatici che in quelli amministrativi..
Anche per queste si vorrebbe operare una ristrutturazione?
Io credo che per le scuole edili forse si potrebbe optare per una scelta regionale. Per diversi motivi. Innanzitutto perché le regioni hanno la competenza della formazione professionale e quindi il dialogo sarebbe più facile. E poi perché effettivamente in questo modo si potrebbe ottenere qualche risultato.
Si è già provato a fare qualcosa di simile?
C’è un precedente, l’Emilia Romagna, dove il cambiamento è avvenuto. Penso che se tutto viene accentrato in una regione, le diverse province potrebbero specializzarsi e in una potrebbe essere effettuata alta formazione. Mi sembra che potrebbe essere una struttura più efficiente.
Intanto però la trattativa contrattuale è ferma o quasi.
Non solo quella nazionale. Anche le trattative integrative sono andate male. Di solito poteva saltare qualche provincia, 3 o 4 casi che alla fine venivano risolti centralmente. Questa volta un terzo degli integrativi è ancora al palo e, soprattutto, nessuno pensa di intervenire sulle singole realtà territoriali. Eppure ce ne sono ancora 70 da chiudere.
Perché questo stato di cose?
Lo ho già detto, manca una volontà precisa. E manca anche una tecnostruttura forte come c’era una volta.
Sembra strano, tanto più se si considera che al livello nazionale c’è grande sintonia tra la dirigenza dell’Ance e voi sindacati. Andate in piazza assieme a protestare contro il governo, poi non vi mettete d’accordo sulle cose migliori che avete, le casse e le scuole edili?
Eppure è così. Pesa anche la disoccupazione, fortissima nel settore.
Quanti posti di lavoro ha bruciato la crisi?
C’è stato un calo di occupazione molto consistente. I numeri dicono che abbiamo perso il 32% del lavoro che esisteva in edilizia. Ma nessuno sa quante di quelle persone lavorino lo stesso, magari con una partita iva. Difatti quelle registrate presso le camere di commercio sono molto cresciute in questi anni. Tanto che pensiamo che si dovrebbero aprire gli enti bilaterali anche a queste figure.
Vedete all’orizzonte una ripresa?
Tutti sappiamo che il fondo in edilizia è stato toccato. In agosto sono saliti del 5% i mutui erogati e questo è certamente un segnale di parziale ripresa. Ma prima che sia un fatto reale e diffuso ce ne vuole.