A Verona si è conclusa la sfilata degli integralisti e dovremo riflettere e a lungo su come contrastare e non solo difendere alcune riforme e svilupparne altre in nome e per conto della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, un riequilibrio nel lavoro familiare tra uomini e donne, e la preoccupante realtà delle culle vuote. Tutti argomenti strettamente legati.
L’approccio dell’investimento sociale sottovaluta sia il valore umano e sociale del lavoro sia quello di cura e i rischi per le donne, di tale sottovalutazione, unità ad una asimmetria nella sua attribuzione devono tenere in conto e in equilibrio la partecipazione delle donne al mercato del lavoro piuttosto che le pari opportunità. Un innovativo sistema di sicurezza sociale deve rispondere alla crescente flessibilità del mercato del lavoro sia ai nuovi rischi di un mercato del lavoro flessibile sia a quelli derivanti da necessità del corso di vita individuale e famigliare dei lavoratori e lavoratrici effettivi e potenziali .In particolare la necessità di avere servizi adeguati per poter entrare o rientrare nel mercato del lavoro e dunque il lavoro remunerato, che significa anche tornare in formazione dopo la nascita e in presenza di bambini piccoli cioè il cosi detto lavoro di cura che non è solo un dilemma di genere perché sono alti costi occupazionali nell’avere figli.
Le donne ora hanno carriere lavorative compresse e discontinue in cui devono esercitare in contemporanea più ruoli esigenti dal punto di vista delle energie e del tempo sia dall’attenzione che richiedono sul fronte famigliare e lavorativo durante tutto il percorso della vita anche in presenza di anziani. Un welfare sull’investimento sociale come avviene in paesi illuminati scandinavi si traduce nella riduzione dei vincoli per la partecipazione al mercato del lavoro senza compromettere la fecondità quindi sull’outsourcing ( il dare ad altri servizi il compito di cura) per le madri e i padri anche dell’educazione dei figli il più precocemente possibile dedicando tempo in equilibrio sia per il lavoro di cura che il lavoro in azienda.
Un welfare sull’investimento sociale si traduce nel concepire la genitorialità non solo come rischio individuale ma come socialmente importante e dunque socialmente strutturato per quanto riguarda i trasferimenti diretti e indiretti, un collegamento con i servizi ,un sistema di tassazione individuale e un reddito di base individuale, stando che la partecipazione nel mercato del lavoro fa aumentare la base impositiva di entrambi i genitori quindi le risorse per il welfare stesso, sia la stessa domanda di lavoro delle persone che operano nei servizi di cui si servono entrambi i genitori per poter entrare e rimanere nel mercato del lavoro. La questione della demografia italiana e della disoccupazione femminile si risolve nel dedicare alle politiche attive maggiori risorse perché i veri poveri oggi non sono gli anziani che comunque hanno pensioni decenti ma i giovani.
Gli scalmanati veronesi e anche coloro che predicano politiche per la famiglia e poi ne mettono in circolo altre per pensionare in fretta e dunque investire appunto poco in politiche attive (Salvini e Meloni) sanno e devono tenere ben presente che noi abbiamo un grave problema legato all’occupazione femminile poiché solo il 48% scarso delle donne italiane in età da lavoro è attiva contro una media UE del 62,5%; la differenza salariale oraria è, come già più volte ricordato da noi su queste pagine, tra maschi e femmine è del 12,2% e il differenziale dei tassi occupazionali tra donne e uomini tra i 25 e i 54 anni in presenza di almeno un figlio di età sotto i 15 anni è pari a 31% contro i 14%in assenza di figli mentre appunto in area OCSE le percentuali sono del 23,6% e del 4,8%.
E proprio l’OCSE ricorda agli oscurantisti integralisti che dicono che per incentivare la natalità bisogna tenere le donne a casa fuori dal mercato del lavoro “In tutti i paesi industrializzati è dimostrata l’esistenza di una correlazione più che positiva tra i tassi di occupazione delle donne e i tassi di fertilità. L’Ocse dimostra che laddove sono più carenti i servizi per l’infanzia e il welfare più aumentano le depressioni sia sul versante economico che demografico. L’entità dei trasferimenti finanziari a bambini e famiglie in Italia è dell’1,1 % del PIL contro il 2,5% della Francia, il 3,1% della Germania, il 3,2%del Regno Unito, il 4,1%della Danimarca.” E dunque come ampiamente dimostrato sempre dalle nostre pagine un incremento degli asili nido del 10 % -ora siamo al 24% contro una media UE del 33%- farebbe aumentare la probabilità del lavoro per le donne istruite del 7% e del 14% per quelle con meno istruzione e così non perderemmo neanche il valore aggiunto del capitale umano. Ragionamenti semplici e seri per chi vuole veramente il bene degli italiani. Il Governo sia corretto e non ci faccia apparire anche agli occhi internazionali come in questi giorni un Paese di bugiardi pinocchi.
Alessandra Servidori