‘’Dopo i primi giorni di emergenza, è ora importante valutare con equilibrio la situazione per procedere a una rapida normalizzazione, consentendo di riavviare tutte le attività ora bloccate e mettere in condizione le imprese e i lavoratori di tutti i territori di lavorare in modo proficuo e sicuro a beneficio del Paese, evitando di diffondere sui mezzi di informazione una immagine e una percezione, soprattutto nei confronti dei partner internazionali, che rischia di danneggiare durevolmente il nostro Made in Italy e il turismo’’. Lo affermano in una nota congiunta Cgil, Cisl, Uil, Confindustria, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Abi e Rete Imprese Italia: praticamente tutto il mondo del lavoro e dell’impresa. Ed essendo organizzazioni serie dirette da persone altrettanto serie e responsabili, esse si rifiutano di ‘’sparare sul pianista:’’ ‘’Nei giorni scorsi – è scritto nel documento – sono state tempestivamente assunte diverse misure per contenere il rischio sanitario a beneficio di tutti i cittadini. Gli esperti e le organizzazioni internazionali, a partire dall’OMS, ci hanno rassicurato sui rischi del virus e sulle corrette prassi per gestire questa situazione, che tutti noi siamo chiamati a rispettare’’. Ben diverso l’atteggiamento dei media: ieri criticavano il governo per ‘’non aver fatto abbastanza’’ oggi li accusano di ‘’aver fatto troppo’’.
Quando si critica la pubblica amministrazione per le misure adottate nel fronteggiare la crisi del coronavirus sarebbe onesto ricordare che viviamo in un paese in cui una sindaca di una grande città ha subito pesanti condanne per non aver intuito che, il giorno dopo, la sua città sarebbe stata devastata da un’alluvione; che analoga sorte è capitata ad un amministratore delegato delle FFSS perché – mentre lui dormiva nel suo letto a centinaia di km di distanza – un treno, proveniente dalla Polonia, aveva provocato una strage durante la sosta in una stazione toscana’’ . Che dire poi dei componenti della Commissione Grandi Rischi, i quali – non essendo degli aruspici e degli indovini, non essendo capaci di predire il futuro osservando il volo degli uccelli o sventrando una povera giovenca – non furono in grado di prevedere e prevenire l’arrivo di un terremoto e, per questo motivo, ebbero dei guai con la giustizia? È bastata una considerazione sbagliata del premier Conte sull’ospedale di Codogno per chiamare in causa la procura di Lodi (di cui non si sentiva la mancanza).
È troppo facile per i talk show salvarsi la coscienza accusando i governanti di aver esagerato, quando sono state le loro martellanti campagne a sobillare l’opinione pubblica fino a pretendere dalle amministrazioni nazionali e locali la soluzione di un problema irrisolvibile. Oggi è difficile tornare indietro perché quella che è stata definita, senza che lo fosse, un’emergenza, non è ancora conclusa. La vera epidemia consiste nell’aver smarrito – in un grande abbaglio collettivo indotto – il senso del relativo rifiutando ogni confronto con altre patologie, più banali ma ben più gravi nei loro effetti. Nell’aver trasformato una simil-influenza (come l’ha definita Ilaria Capua) in una Apocalisse, in una ‘’Cernobyl della globalizzazione’’ e in una nuova ‘’fine della storia’’. Un Paese non può suicidarsi allo scopo di non ammalarsi.
Ha ragione la neopresidente della Consulta, Marta Cartabia quando recentemente ha ricordato che non può esistere un ‘’diritto tiranno’’ citando quanto disposto in una sentenza sul caso ex Ilva (pur senza nominare lo stabilimento condannato a morte in nome, appunto, di un ‘’diritto tiranno’’ e da una giustizia prevaricatrice. «I diritti della persona non sono mai assoluti», ha affermato la presidente dei giudici delle leggi, «ma devono essere sempre affermati tenendo conto dei diritti delle altre persone e anche degli interessi generali dell’intera collettività. Il limite è sempre insito nel concetto di diritto». Ed ha proseguito: «la Corte ha affermato che il diritto assoluto diventa un tiranno», una frase «che può sembrare strana» e che ha spiegato così: «bisognava tenere unito ciò che apparentemente non poteva trovare un contemperamento, la tutela della salute, dell’ambiente, ma anche il diritto al lavoro e i diritti economici dell’impresa. Istanze tutte buone ma che se affermate in modo assoluto rompono il tessuto sociale, e la necessità di bilanciare.
Il compito fondamentale è del legislatore – ha concluso la presidente della Corte costituzionale – a noi il compito di controllare che questo bilanciamento sia proporzionato». E’ pacifico che queste sagge considerazioni non valgano solo per il caso ex Ilva, ma anche per la montatura dell’epidemia da Codip-19, che a pensarci bene è stata solo un caso Taranto in grande, per il quale le recenti sentenze a favore della famiglia Riva stanno svelando – a chi lo vuole capire – quanto grave sia stata la mistificazione dello ‘’stabilimento della morte’’.
Giuliano Cazzola