È stata la prima volta. Mai, nella sua storia, la Chiesa aveva organizzato un evento con al centro solo l’Economia. Stefano Zamagni, presidente della pontificia accademia delle scienze sociali, spiega così l’importanza della tre giorni, dal 19 al 21 novembre, che ha avuto come palcoscenico virtuale Assisi. Qui, in collegamento on line, si sono riuniti duemila giovani imprenditori ed economisti under 35 provenienti da tutto il mondo. Hanno discusso tra di loro e si sono confrontati con scienziati, docenti universitari, manager, industriali.
Alla fine, hanno stilato un elenco di dodici punti per chiedere, come ha titolato l’Avvenire, “Tutto un altro sistema”. Una trasformazione globale, non una riforma. The Economy of Francesco, titolo del convegno e nel contempo weltanschauung dell’attuale Pontefice, ha ora un manifesto di base.
Ecco una sintesi: 1) le grandi potenze e le istituzioni economiche-finanziarie rallentino la loro corsa sfrenata in modo da lasciar respirare la Terra; 2)venga attivata una comunione mondiale delle tecnologie più avanzate; 3)la custodia dei beni comuni (specialmente quelli globali quali l’atmosfera, le foreste, gli oceani, le risorse naturali, gli ecosistemi, la biodiversità, le sementi) sia posta al centro delle agende dei governi e degli insegnamenti nelle scuole e nelle università; 4) mai più si usino le ideologie economiche per offendere e scartare i poveri, gli ammalati, le minoranze e gli svantaggiati di ogni tipo; 5) il diritto al lavoro dignitoso per tutti sia riconosciuto con una Carta a livello mondiale; 6) vengano aboliti immediatamente i paradisi fiscali e un nuovo patto sulle tasse sia la prima risposta da fornire nel dopo Covid; 7) si dia vita a nuove istituzioni finanziarie e si riformino in senso democratico e inclusivo quelle già esistenti come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale; 8) le imprese e le banche introducano nella loro governance un comitato etico indipendente con potere di veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui più poveri; 9) le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, manageriale; 10) garantire un’ istruzione di qualità per ogni bambina e bambino del mondo; 11) le organizzazioni economiche e le istituzioni civili non si diano pace finché le lavoratrici non abbiano le stesse opportunità dei lavoratori; 12) non tolleriamo più che si sottraggano risorse alla scuola, alla sanità, al nostro presente e futuro per costruire armi e per alimentare le guerre necessarie a venderle.
Quello che esigiamo, scrivono i giovani economisti, imprenditori e change makers di Assisi a conclusione del dodecalogo, non è utopico ma profetico: “Il nostro tempo è troppo difficile per non chiedere l’impossibile”. Negli interventi degli esperti, un importante contributo al dibattito lo ha fornito la canadese Jennifer Nedelsky, filosofa della politica, secondo la quale il calo dell’occupazione provocato da macchine e robot dovrebbe essere usato per creare nuovi impieghi part time, anche ai livelli più alti: “Se nessuno lavora oltre 30 ore a settimana ci saranno più posti di lavoro”. Ma la sua proposta non è solo una riedizione del vecchio “lavorare meno, lavorare tutti” bensì un cambiamento strutturale che dovrebbe prevedere per ognuno un impegno sociale, un lavoro di cura non retribuito, di almeno 22 ore a settimana.
Raghuram Rajan, ex economista capo del Fmi, è convinto che la solitudine sia una delle malattie più gravi dell’era moderna: “Negli Stati Uniti il 27 per cento degli anziani vive da solo e non ha un posto dove riunirsi”. Docente all’Università di Chicago, sostiene che tra Stato e mercati il vero equilibrio può assicurarlo solo il “Terzo pilastro” delle comunità locali. Il loro collasso, a suo dire, è coinciso con l’ascesa del populismo perché la gente si è sentita abbandonata a sé stessa ed è finita preda di false spiegazioni. Affermare “non è colpa tua, è l’immigrato, o sono i neri, o è la concorrenza sleale cinese, rassicura e offre una soluzione semplice. Basta tenere fuori gli immigrati o il commercio estero o reprimere le minoranze”.
Il premio Nobel Muhammad Yunus parla di un mondo che va verso la distruzione: “Anche un bambino capisce che c’è qualcosa che non va quando l’1 per cento della popolazione globale possiede il 99 per cento della ricchezza complessiva”. Per cambiare strada, la sua ricetta è quella dei “tre zero”: “Zero emissioni di carbonio, zero concentrazioni di ricchezza, zero disoccupazione”.
Ed ecco, a conclusione, il video messaggio del Papa. Battezza “il patto di Assisi”, che “non è un punto di arrivo ma la spinta iniziale di un processo”. “Un futuro imprevedibile è già in gestazione”, asserisce. Esortando a non prendere scorciatoie e sollecitando a sporcarsi le mani per far lievitare i buoni propositi, ammonisce: “Passata la crisi sanitaria che stiamo attraversando, la peggiore reazione sarebbe di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica. Non dimenticatevi, da una crisi mai si esce uguali, usciamo meglio o peggio”. Nel richiamare i punti essenziali dell’enciclica Omnes Fratres ripete che “nessuno si salva da solo”. Invoca il ritorno alla “mistica del bene comune” e chiarisce che non bastano palliativi come i modelli filantropici o l’assistenzialismo: “È tempo di osare”.
The Economy of Francesco.
Marco Cianca