Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Flaei Cisl, Amedeo Testa, in merito allo Statuto della persona. Per il segretario, il settore elettrico è maturo per affrontare quel passo decisivo nelle relazioni industriali, passo tanto caro e condiviso in tutta la Cisl: la partecipazione dei lavoratori.
Testa, il 29 marzo avete sottoscritto lo Statuto della Persona. Di cosa si tratta esattamente?
È un documento molto innovativo, che abbiamo sottoscritto con Enel e le altre sigle sindacali Filctem Cgil e Uiltec Uil; un testo che è stato anche trasposto nel nostro contratto di settore Elettrico. Lo Statuto della persona nasce in Enel. È come una costituzione, quindi non è un classico documento di relazioni industriali dove si spiega per filo e per segno come si agisce nel particolare, ma fissa dei principi, è una carta dei valori se così si può dire. Inoltre, oltre ad essere diventato valido per tutte le aziende del settore, sta diventando un riferimento per le politiche contrattuali e di relazioni industriali anche a livello confederale, con il decisivo sostegno della Cisl; questo ci rende particolarmente orgogliosi.
Partiamo dall’inizio: perché è nato questo Statuto?
Oltre a trattare i capitoli della sicurezza, benessere, welfare, formazione, contiene i valori che dovranno illuminare la strada dei prossimi anni. Sono amante della premessa, e in questo caso è doverosa: noi sindacati elettrici siamo all’interno di una transizione epocale, infatti circa il 60% dei fondi del Pnrr sono dedicati alla transizione energetica. Siamo stati investiti da queste risorse perché l’elettricità sarà il vettore del futuro. Dovevamo muoverci in fretta.
Da qui l’idea dello statuto
Si, abbiamo pensato non di fare un semplice ammodernamento delle relazioni industriali, che sono già buone come sono. Non volevamo aggiungere un pezzettino, un capitolo, uno spazio di potere in più per il sindacato; abbiamo voluto dare un segnale concreto di grande discontinuità.
Quale?
È stato decidere di affidare alle relazioni industriali la guida di questa rivoluzione, il governo di questa transizione. Le aziende si sono quindi impegnate ad avere con noi dei rapporti molto più stretti, puntuali, profondi e contestualizzati.
Quindi avete superato il concetto di “controparti” nelle relazioni industriali?
Il discorso tra parte e controparte ci sarà sempre, ma penso sia più corretto, usando una frase del fondatore della Cisl Giulio Pastore, parlare di “distinti ma non diversi”. Il sindacato quando opera è sempre distinto dall’azienda ma non diverso, e penso sia una sintesi molto efficace. Noi della Cisl abbiamo sempre avuto l’intuizione, presente infatti nel nostro statuto scritto più di 70 anni fa, della “partecipazione” dei lavoratori. Altre forze sociali hanno avuto visioni diverse, che rispetto ci mancherebbe. Sulla nostra visione posso però dire che ha retto bene la prova dei tempi.
Cosa intende con partecipazione dei lavoratori?
Sull’argomento abbiamo fatto uno studio, affidato al professor Emmanuele Massagli e portato al nostro Congresso, impregnandolo di questo concetto. In maniera generica la possiamo spiegare così: il sindacato – è questa la novità – dev’essere ascoltato e convocato prima che vengano prese delle decisioni strategiche. Molto prima, non dopo.
In Enel e nel settore elettrico invece non siete chiamati prima?
Esistono delle commissioni ed enti bilaterali che lavorano abbastanza bene; sarei ingeneroso quindi a dire che non esistono queste forme di ascolto. Anche se, debbo dire, che sono un po’ formali e a volte non partoriscono soluzioni politicamente soddisfacenti. Inoltre, chiariamo subito, che esistono situazioni dove questo modello di sentirci dopo, funziona bene. Ad esempio, l’azienda decide una nuova riorganizzazione, e il sindacato ha un potere importante per modificare, aggiustare, proporre soluzioni alternative che a volte vengono accolte.
Però non vi basta, volete essere ascoltati prima.
Non solo prima; la novità forte che vogliamo raggiungere è che il confronto sulle decisioni strategiche deve essere obbligatoriamente preventivo. Per esempio, oggi se si decide di fare degli investimenti all’estero il sindacato non viene convocato prima della scelta, ma a scelte fatte. Certamente ci mettiamo dopo a discutere insieme, ma non è quel tenore di confronto che intendo, perché in fondo rimane comunque argomento su cui il sindacato non può dare valore aggiunto.
Se in passato vi avessero coinvolti nelle decisioni strategiche come chiede, quali cambiamenti avrebbe portato il sindacato?
Nel passato le aziende hanno fatto molti errori, evitabili se il sindacato fosse stato coinvolto in tempo. Ad esempio pensiamo al paradosso di decarbonizzare prima del tempo. Noi come sindacato abbiamo suggerito di aspettare, per organizzare meglio la transizione; invece adesso ci si siamo trovati appunto nel paradosso della riapertura di tutte le centrali a carbone a pieno regime per reggere la richiesta energetica e la transizione stessa ma con il personale delle Centrali che era stato mandato via improvvidamente. Oppure l’esempio dello smart working: prima della pandemia se ne parlavamo sembrava che raccomandassimo qualche mascalzone che non voleva lavorare e stare a casa a bighellonare. Invece avevamo visto lungo e solo la pandemia ha fatto capire alle aziende che lo Smart Working è utile alle aziende e lavoratori perché, oltre a generare benessere – non sempre – aumenta la produttività. Certi errori potevano essere evitati o certe criticità attutite meglio. Spesso il sindacato vede più lontano delle aziende, ecco perché è necessaria una partecipazione più attiva. Cosa questa, che è ben delineata nello Statuto della Persona del quale stiamo parlando.
Il punto quindi è di essere chiamati prima, ma soprattutto per le questioni strategiche.
Si esatto, non soltanto chiamati prima per questioni di carattere più classico, come riorganizzazioni o accordi su premi di risultato e orari di lavoro. Il tassello che manca è sulle questioni strategiche.
Avete delle idee per mettere in pratica questa partecipazione?
Premetto che non siamo affezionati a una forma in particolare piuttosto che un’altra. Forme che comunque andremo a condividere unitariamente con le altre sigle sindacali con le quali abbiamo un rapporto molto forte. Dovrà uscire un modello che piaccia a tutti. Io penso che il sindacato debba, anche soltanto come forma di consultazione, dialogare con il consiglio di amministrazione; il dialogo deve essere portato almeno a questo livello. Sia chiaro, il sindacato non vuole sostituirsi all’azienda. Non pensiamo a stravolgimenti, a forme o spazi di potere in più. Pensiamo però che la persona è tale nella sua totalità anche quando lavora: essa non è un semplice “fattore lavoro” particolarmente importante o più importante degli altri; è il mezzo ma è anche il fine stesso del lavoro; la persona è la stessa impresa.
Qui torniamo allo statuto della persona.
Esatto, perché davanti a grandi problemi che ci troveremo di fronte la soluzione è la persona, letta in questa chiave. L’impresa non è i capitali impiegati, né le strutture organizzative e tecnologiche, né il mercato in cui si muovono, ma le persone che ci lavorano. Un’autentica comunità, come effettivamente la chiamava Olivetti. Una “comunità di destino”, come ho detto nella mia relazione congressuale.
Siete pronti al grande passo?
Il settore, Enel per prima, è molto maturo per farlo. Non a caso è nato lo statuto della persona in questa azienda e non altrove. Insieme alle aziende dobbiamo fare in modo che questo discorso non rimanga un contenitore di principi inespressi o inattuati. In parole povere si dovrà passare dalle parole ai fatti. Se ci dovessimo accorgere che lo statuto dei lavoratori rimane una carta puramente estetica.
E se ciò non dovesse accadere?
Si farà… altrimenti ci arrabbiamo, prendendo a prestito un famoso titolo di un film di Bud Spencer e Terence Hill.
Emanuele Ghiani