La legge Versace Calearo Reguzzoni sul “Made in” non potrà entrare in vigore il primo ottobre come previsto perché l’Unione Europea non ha dato ancora il via libera alle nuove norme sulla trasparenza delle etichettature dei prodotti manifatturieri che toccano sfere di sua competenza. Valeria Fedeli, vicepresidente della Filctem e presidente della Federazione Sindacale Europea del Tessile Abbigliamento, Cuoio e Calzature, pensa che nonostante questo passo falso, l’Italia abbia saputo far sistema e i traguardi che la legge si prefissa comincino a farsi strada in Europa.
Come si può uscire da questa situazione?
Dal momento che Bruxelles non ha ancora dato il via liberà alla legge bisogna procedere parallelamente su due fronti. Da una parte il governo deve continuare a trattare con l’Ue in modo tale da arrivare a una tutela europea del Made In e dall’altra si deve incentivare, anche con sgravi fiscali, le aziende che volontariamente mettono in trasparenza il loro ciclo di produzione.
Quale lo scopo della legge Reguzzoni – Calearo -Versace?
Semplicemente competere ad armi pari nel commercio internazionale. Si deve garantire la trasparenza del ciclo di produzione di un determinato bene, se un prodotto si fregia del marchio made in Italy deve essere realmente prodotto in Italia. D’altronde perfino il governo cinese pretende che i prodotti che vengono importati nel paese abbiano un’etichettatura trasparente. Risulta poco comprensibile perché la Ue non pretenda la stessa trasparenza che pretende Pechino.
Perché secondo lei l’Europa fino ad ora non tutelato la trasparenza dell’etichettatura dei prodotti?
Perché mentre i paesi mediterranei come Italia e Francia hanno un’industria manifatturiera che è molto forte in settori come il tessile, molti paesi del nord del continente o hanno industrie manifatturiere specializzate in altri settori o sono degli importatori e quindi non sentono l’esigenza della trasparenza dell’etichettatura. La Commissione Ue aveva approvato un regolamento proposto dal Commissario europeo del Regno Unito Peter Mandelson, sulla trasparenza. Tale regolamento non è però mai entrato in vigore per l’opposizione del Consiglio Europeo dove molti paesi del nord, Regno Unito compreso, hanno posto il veto. Lo stesso Mandelson quando è tornato in patria diventando ministro per il commercio si è opposto al regolamento da lui proposto.
L’Italia ha saputo fare sistema?
La Cgil è stata la prima anni fa a porre l’esigenza di trasparenza nel commercio internazionale. Se all’inizio l’Italia non riusciva a fare sistema ora le cose sono mutate. Sia gli industriali che il governo hanno capito quanto sia fondamentale tutelare una risorsa per il paese come la fama del Made in Italy. Se non si fermano le contraffazioni e si creano confusioni sulla reale provenienza dei prodotti si indebolisce la forza di penetrazione commerciale dei nostri prodotti nel mondo.
Il governo come si sta muovendo?
La decisione di trasmettere preliminarmente alla Commissione Europea i decreti attuativi della legge per trovare un compromesso è positiva.
Pensa che l’atteggiamento dell’Unione Europea muterà?
Penso di sì, con l’avvento della crisi internazionale si è visto che se si vuole competere si deve puntare sulla qualità. Sono appena tornata dalla Cina e quello che mi ha sorpresa è che la competizione si fa ormai ad alto livello. Inoltre i nostri prodotti in Cina sono molto alla moda, ma gli stessi cinesi non comprano prodotti italiani se non sono realmente Made in Italy.
Pensa che la globalizzazione sia un problema o un’opportunità?
Sicuramente un’opportunità se si promuovono regole reciproche che regolamentino il commercio internazionale e se si ha il coraggio e la capacità di penetrare nei mercati emergenti. In entrambi in casi siamo molto in ritardo.
Luca Fortis