di Marco Buatier de Mongeot, studi di Relazioni Industriali di Telecom Italia
Nel corso della prima Convention della funzione Human Resources del Gruppo Telecom Italia (L’Aquila, 6-7 giugno 2002) è stato sottolineato come la funzione sia sempre meno un centro di potere e sempre più un supporto al business: per dirla con una frase, dal potere si passa all’autorevolezza.
Ritengo che questo sia particolarmente vero per le Relazioni Industriali: si decentrano, per offrire soluzioni a misura delle singole realtà; sono meno prescrittive, producono meno norme rigide e più strumenti soft; sono meno invasive, rispettano i confini con altre funzioni ed altri poteri; sono più partecipative, più attente al coinvolgimento dei lavoratori e all’esame e alla gestione congiunta dei problemi.
Queste tendenze sono riscontrabili a tutti i livelli: in Europa, in Italia, in azienda.
In Europa
Il coinvolgimento delle parti nel dialogo sociale è servito a compensare il ‘deficit di legittimazione democratica’ delle istituzioni comunitarie ed è tanto più utile in un momento di scarso euroentusiasmo. Il dialogo sociale ha dato i suoi frutti (congedi parentali, part-time, tempo determinato), ha rafforzato i suoi protagonisti e si sta evolvendo.
Si sono attenuate le pretese di omologazione, all’obiettivo dell’armonizzazione si sostituisce l’avvicinamento delle prassi e delle normative, si adottano metodi flessibili quali il coordinamento aperto delle politiche sociali. Viene dato largo spazio alla sussidiarietà orizzontale, in primo luogo alla contrattazione collettiva.
Hanno avuto spazio strumenti soft: si pensi alla recente intesa UNICE-CES sul telelavoro, primo accordo ‘giuridicamente non vincolante’, nel senso che non verrà trasposto in una direttiva ma recepito, nei vari paesi, tramite contrattazione collettiva. L’intesa ricalca l’esperienza pilota delle Linee Guida sul telelavoro elaborate dal Comitato del Dialogo Sociale nelle Telecomunicazioni. Oggi il Comitato sta lavorando per realizzare un data-base europeo dei profili professionali del settore, a conferma che in Europa si presta attenzione al sostegno sul mercato del lavoro, più che alla tutela sul posto di lavoro.
Il coinvolgimento dei lavoratori: informazione, consultazione, partecipazione sono al centro delle direttive sui Comitati Aziendali Europei, su informazione e consultazione, sulla Società Europea.
Se poi si guarda alle vicende della contrattazione collettiva, la tendenza è al decentramento verso l’azienda e il territorio, sia pur nell’ambito di linee guida centralmente definite.
In Italia
Le tendenze sopra citate trovano espressione compiuta nel Libro Bianco sul Mercato del Lavoro: decentramento della contrattazione collettiva, ruolo per gli enti bilaterali, partecipazione, regolazione soft del rapporto di lavoro, dialogo sociale senza diritti di veto.
La difficoltà incontrata nei mesi scorsi, e solo ora in via di superamento, nell’aggregare sufficiente consenso intorno a queste proposte dipende probabilmente da una sottovalutazione del ruolo che le Relazioni Industriali e i loro attori mantengono nel nostro paese.
Dopo l’ ‘età dell’oro’ della concertazione (1992-1997), la politica ha reclamato i suoi spazi e molti hanno pensato che, in un contesto di inflazione ‘zero’, di politiche fiscali virtuose, di cambiamenti strutturali dell’economia, pace sociale e moderazione salariale potessero essere date per acquisite e il mercato bastasse a se stesso.
Confindustria non ha più un’area Relazioni Industriali; le proposte del Governo sono state presentate come l’avvio della destrutturazione dell’attuale sistema contrattuale e normativo, mentre il Dialogo Sociale sembrava ridursi ad una sbrigativa consultazione; la riforma ‘federalista’ ereditata dal precedente governo sembrava prefigurare la balcanizzazione della legislazione sul lavoro.
Nei fatti, la volontà normativa delle regioni si è fermata, almeno per le nostre materie, ai comunicati stampa, la ripresa della conflittualità ha richiamato molti a una realtà di rapporti di forza diversa da quella sognata, il carattere ‘europeo’ del nuovo corso è stato messo in dubbio da fonti autorevoli. Al ministro del lavoro che, in un recente convegno a Modena, rivendicava i meriti del ‘dialogo sociale’ proposto dal Governo, la commissaria Diamantoupulou rispondeva in italiano rivolgendo (a Berlusconi) l’invito ‘Concertazione, signor presidente!’.
E a quella stiamo ritornando, per tattica o per strategia, accantonando i problemi più spinosi e le tentazioni di destrutturazione.
Più partecipazione, più regolazione soft, decentramento si potranno avere ma solo senza strappi e col consenso di molti (se non di tutti).
Telecom Italia
Per il nostro gruppo le relazioni industriali degli ultimi anni sono state una leva per rispondere alle sfide della concorrenza.
In regime di monopolio erano autoreferenziali (sia pur all’interno di Intersind), ipertrofiche e pervasive. In assenza di vincoli esterni non dovevano confrontarsi con altre esperienze e potevano darsi obiettivi propri, non necessariamente funzionali alle esigenze del business; la contrattazione invadeva tutti gli ambiti della vita aziendale, sottraendo spazi al potere regolamentare dell imprenditore e insieme alla valorizzazione dell’apporto dei singoli dipendenti.
Con la liberalizzazione e la privatizzazione le relazioni industriali sono state normalizzate, ricondotte agli ambiti e ai vincoli tipici delle imprese private, responsabilizzate rispetto agli obiettivi dell’impresa.
Sono stati raggiunti alcuni risultati essenziali: la riorganizzazione del Gruppo, con gli accordi del 28/3/2000 e 27/5/2002; il rinnovo della rappresentanza sindacale, con l’elezione delle RSU in Telecom Italia nella primavera del 2002; la definizione di regole del gioco comuni per tutti i competitor con il Contratto Nazionale delle Telecomunicazioni.
Riportare Telecom Italia alle regole del gioco del Protocollo 23/7/93, con un assetto contrattuale a due livelli, ciascuno con ambiti rigorosamente definiti, ha avuto riflessi importanti sia sulla prassi negoziale in azienda che sulla dinamica del costo del lavoro.
Per questo nell’accordo di riorganizzazione del 27/5/02 si conferma come il sistema contrattuale delineato il 23/7/93 sia ancora funzionale alle esigenze delle imprese del nostro settore.
Proprio in questo accordo si evidenziano, anche per le Relazioni Industriali nel nostro gruppo, le tendenze sopra accennate.
Decentramento: abbiamo un accordo quadro, con linee guida da applicare nelle singole aziende/Business Unit del Gruppo.
E’ un accordo più soft, meno prescrittivo dei tradizionali accordi di riorganizzazione. Il piano industriale non è il gosplan, non definisce assetti ed obiettivi intoccabili per un triennio. Identifica i core business, ai quali fanno capo attività che potranno o meno restare nel perimetro del gruppo. Le esternalizzazioni vengono considerate un fatto fisiologico.
A fronte di questa visione condivisa, è previsto il confronto continuo sui cambiamenti nelle sedi partecipative: le verifiche dell’accordo avverranno nell’ambito del Forum strategico del Gruppo.
L’accordo consente, in un quadro di sviluppo dell’azienda e di assunzioni mirate, i recuperi di efficienza necessari e lo si è conseguito senza un’ora di sciopero, in un anno in cui il paese ha conosciuto livelli record di conflittualità.
Questo a riprova del fatto che se si conoscono e si rispettano regole, logiche e attori delle Relazioni Industriali è possibile farle evolvere in modo che diventino, se non il motore del cambiamento, un utile strumento di governo delle aziende e della società. Certo, saranno rispettose dei propri ambiti di competenza, non pretenderanno di dettare norme rigide e universalmente applicabili, offriranno maggiore spazio al confronto fra le parti e alla gestione congiunta di materie di comune interesse, sottraendo magari qualcosa alla negoziazione tradizionale. Saranno meno potenti e più autorevoli, restando così parte della Costituzione materiale dell’Europa, del nostro paese e delle nostre aziende: pensare di farne a meno è un’illusione pericolosa.