Si è tenuto nei giorni scorsi un evento virtuale, organizzato da AIDP Emilia Romagna, ANDAF e IIM Institute of Interim Management sul tema della managerializzazione delle PMI e sul supporto che il sistema bancario può dare, specie alla luce dei preoccupanti scenari post COVID 19. L’evento si colloca nel percorso ideale tracciato dai due gruppi di lavoro interregionali e paralleli costituitisi all’interno di AIDP e ANDAF: per parte AIDP sono oggi rappresentate Lombardia, Liguria, Triveneto, Umbria, Marche, Lazio e Campania.
I rappresentanti delle due associazioni ospiti, Claudio Galli (Presidente AIDP Emilia Romagna) e Paolo Fanti (Vice Presidente ANDAF Emilia Romagna), hanno, in avvio dei lavori, voluto ribadire l’importanza del capitale manageriale per il mondo delle PMI: “banche, potenziali investitori, clienti mettono la struttura manageriale dei partner al primo posto” (Galli) e “Il talento è una unità di misura economica, intellettuale ed umana” (Fanti).
Competenze quindi come possibile elemento baricentrico per rendere davvero virtuoso il triangolo del titolo, tema ripreso sia dal Comitato guidato da Vittorio Colao nel documento «Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022», sia da Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, nella sua conversazione con la Stampa Estera.
La stessa Confindustria e Cerved hanno lanciato un allerta per il possibile default post emergenza di molte PMI e per uno spostamento generale verso il basso del merito di credito e relativo impatto sistemico sul mondo bancario e sul suo portafoglio.
Servono competenze manageriali, ma in tempi rapidi.
In tal senso il temporary management (di seguito indicato come TM) è uno strumento quasi ottimale per portare nelle PMI competenze di alto livello, immediatamente operative e in tempi molto brevi, con l’ulteriore capacità di operare in un contesto di tipo straordinario quale quello imposto dall’attuale congiuntura.
Si riparla quindi di bancabilità del temporary management, ovvero della possibilità da parte delle banche di finanziare progetti di TM in aziende loro clienti (specie PMI), e in situazione di crisi.
Quali le motivazioni per le banche?
In primis per evitare che il rischio di deterioramento del portafoglio diventi sistemico, ma anche per creare un ecosistema managerialmente sostenibile.
Con alcuni plus da poter giocare: presenza sul territorio e vicinanza alle aziende, conoscenza dei «numeri» veri anche prima degli altri, competenza, potere di persuasione e veloctà in un contesto del tutto privatistico.
Le PMI devono però metterci del loro comprendendo che l’approccio è meritocratico e etico e che alla base c’è un interesse comune condiviso.
Marcello Dall’Aglio, dell’Area Concessione Crediti di Crédit Agricole Italia ha sviluppato questi concetti: “il processo di concessione del credito sta evolvendo verso una più oggettiva misurazione del rischio. Questo non implica peraltro un’automatizzazione del processo decisionale, che rimane soggettivo e nella sensibilità del decision-maker, ma che si baserà su elementi di contesto oggettivi.
La misurazione comporta non solo un’analisi del passato e del presente dell’impresa, ma anche del suo futuro e della qualità del management (misurata anche dal livello di trasparenza e profondità della comunicazione finanziaria, e dalla capacità di raggiungere gli obiettivi).
Il mondo delle PMI è ancora in media connaturato da una certa sottomanagerializzazione: in imprese ormai troppo complesse per essere gestite da una persona sola, spesso l’imprenditore mantiene il ruolo di unico decision-maker, mentre sarebbe opportuno che riservasse per sé le scelte strategiche, e delegasse in maniera piena un team di manager che dovrà scegliere, motivare con obiettivi specifici e valutare nelle performance. La stessa complessità assunta dall’impresa aumenta inoltre il numero di stakeholder: le banche, i dipendenti, il sottosistema economico di cui fa parte, lo Stato, l’ambiente e così via. Questa maggiore responsabilità si dovrà tradurre in un più elevato livello di disclosure; nel caso specifico degli Istituti di Credito, in una maggiore formalizzazione e condivisione di cosa l’azienda è, e soprattutto di cosa intende diventare.
Questa condivisione rappresenta un’opportunità:
- di avere un feedback critico sulla validità dei propri piani strategici da parte di un terzo qualificato, la Banca;
- di crescere managerialmente:
- di migliorare la qualità del rapporto con i propri partner finanziari:
In sintesi, una maggiore managerialità nelle PMI non potrà che migliorare la qualità dell’interlocuzione con gli Istituti di Credito.
Michela Bolondi, Vice Presidente Legacoop e Presidente Proges, ha invece fornito la visione del mondo aziendale, con tutte le peculiarità e complessità del contesto cooperativo italiano.
“Le imprese cooperative … segnalano sempre più spesso un crescente fabbisogno di professionalità manageriale, anche da attingere dall’esterno, utile per poter meglio organizzare le attività e per migliorare il livello di efficienza e conseguentemente la redditività. Il potenziale di miglioramento delle imprese cooperative è molto ampio, ma occorre focalizzarsi su un diverso approccio, in quanto hanno esigenze sociali, economiche e organizzative ben diverse dalle imprese a base familiare o dai gruppi multinazionali (es. la natura non speculativa del modello, il reimpiego degli avanzi di gestione, il rispetto del patto mutualistico.
Il modello del TM può essere trasferito anche alle aziende cooperative, ma occorre adattarlo alle nostre caratteristiche e ai loro valori specifici: ci vogliono anche risorse provenienti dal mondo industriale privato, che sappiano però porsi in maniera creativa nei confronti di modelli organizzativi e di governance cooperativi.
Alcuni dei progetti concreti in cui il mondo della cooperazione ha già fatto ricorso alla figura del TM sono legati all’internazionalizzazione e allo sviluppo di nuove aree di business, all’aumento temporaneo dei volumi di produzione a causa di situazioni non direttamente imputabili alla cooperativa stessa, la ristrutturazione aziendale, riassestamento economico e finanziario.
Chiarissima la richiesta di banche e aziende: quale la risposta della classe manageriale?
Alla domanda hanno risposto Andrea Molza, Presidente di Federmanager Emilia Romagna, e Alessandro Testa di Jefferson Wells (Manpower Group).
Per Andrea Molza “l’altra faccia del problema “crisi” è l’opportunità, soprattutto per le PMI, di poter approfittare di uomini e donne molto preparati che, a valle di esperienze precedenti poco attente al fattore relazionale, ricerchino progetti/sfide in realtà dove la dimensione e di conseguenza il Package economico siano minori a vantaggio però di un ambiente più operativo e dinamico. Essendo per il manager un approccio in parte nuovo, iniziarlo attraverso strutture che già operano in quel senso riduce il rischio di ”rigetto” (e al contrario ne aumenta il successo). Nessuno nasce “imparato” , l’apprendimento è un continuum: ma l’umiltà ne è un ingrediente fondamentale”.
Per Alessandro Testa di Jefferson Wells “il ruolo del Temporary Manager in Italia è oggi tipicamente ricoperto da professionisti tra i 40 e i 55 anni, con almeno 5 differenti esperienze aziendali significative alle spalle. L’importanza della conoscenza pregressa di differenti contesti aziendali è un prerequisito per il TManager, che deve mostrare da subito elevate capacità di adattamento e influenza.
L’era post COVID, con il suo focus sulla flessibilizzazione dei costi fissi, e la ricerca continua di soluzioni di efficienza, sia lato tecnologie che processi, può rappresentare un’opportunità importante per i TManager e per le PMI che intendano avvalersi di questo servizio, volendo aumentare la propria competitività in uno scenario instabile”.
Maurizio Quarta – Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors