“Quel pasticciaccio brutto di via del Collegio Romano” sulla riforma del tax credit nell’audiovisivo si arricchisce di un nuovo capitolo. Lo scorso 27 novembre il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da un gruppo di piccoli produttori indipendenti per l’annullamento dei decreti del 14 agosto e successivi dirigenziali. Nel dettaglio, i decreti oggetto della richiesta dei querelanti sono i seguenti: “Disposizioni applicative in materia di credito d’imposta per le imprese di produzione cinematografica e audiovisiva di cui all’articolo 15 della legge 14 novembre 2016, n. 220”; “Disciplina dei requisiti dei soggetti abilitati alla certificazione e del contenuto delle certificazioni”; “Disposizioni per il versamento del contributo per le spese istruttorie previste ai fini della presentazione delle domande di concessione dei benefici di cui alla legge 14 novembre 2016, n. 220”; “Disposizioni attuative per la circuitazione cinematografica ai sensi del decreto del Ministro della cultura di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze del 10 luglio 2024, n. 225”; “Disposizioni attuative ai sensi dell’art. 38, comma 1, del decreto del Ministro della cultura di concerto col Ministro dell’economia e delle finanze del 10 luglio 2024, n. 225”; “Termini e modalità di presentazione delle richieste preventive e definitive in materia di credito di imposta per le imprese di produzione cinematografica e audiovisiva – Anno 2024”; nonché “di ogni altro atto precedente, successivo o comunque connesso con quelli impugnati”.
Insomma, alla luce del pronunciamento, parrebbe che anche per il Tar del Lazio le mosse e contromosse del ministro dimissionario Gennaro Sangiuliano e dell’attuale titolare del dicastero Alessandro Giuli siano quantomeno da rivedere. Pertanto, “considerato che le questioni dedotte sono molteplici […] e alquanto complesse e articolate” e “necessitano di un meditato approfondimento […] in ragione della ravvisata esigenza di definire il giudizio quanto prima […] il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio […] fissa per la trattazione del merito del ricorso l’udienza pubblica del 4 marzo 2025”. Tre mesi di incertezza in cui, però, l’attuale dispositivo resta in vigore per evitare effetti distorsivi provocati dalla sospensione. Aspetto sottolineato anche dello stesso Ministero della cultura in una nota diffusa dopo il pronunciamento: “In merito all’accoglimento da parte del TAR del Lazio dei ricorrenti sul decreto Tax Credit, il Ministero della Cultura precisa che lo stesso Tax Credit resta pienamente efficace”.
Ma nonostante l’esito apparentemente speranzoso del pronunciamento, l’azione di ricorso dei piccoli produttori non è piaciuta né al Mic né tantomeno a una buona parte delle associazioni di categoria, che all’azione legale avrebbe preferito riallacciare interlocuzioni formali con i vertici ministeriali per scongiurare una nuova paralisi del settore – quantomeno, però, sono soddisfatti della non sospensione della misura fino al 4 marzo. Il rischio, infatti, è che al netto di eventuali correttivi applicabili di qui all’udienza, se mai il Tar dovesse rendere legittima la richiesta di abrogazione del decreto coloro i quali si sono avvalsi dello strumento fino al nuovo pronunciamento perderebbero quanto ottenuto e, in sostanza, per principio di retroattività, dovrebbero 1) restituire la somma di tax credit ottenuta, 2) perderebbero le ingenti spese istruttorie versate al momento della domanda (obbligo reintrodotto proprio attraverso la riforma Sangiuliano-Giuli e anche questo oggetto di contestazione giudiziaria). Allo stato delle cose: chi si sentirebbe nella posizione di scommettere sulle proprie casse, per di più in una situazione di già fortissima difficoltà dopo la paralisi del 2024?
I commenti, comunque, restano cauti. Così APA e ANICA: “Riteniamo la decisione del TAR del Lazio di rinviare la sospensione del “Tax Credit” per acquisire nuovi elementi, una decisione estremamente misurata e rappresenta per noi una notizia positiva. Il Tax Credit è uno strumento cruciale per il sostegno e la valorizzazione della produzione italiana. Una sua sospensione avrebbe conseguenze irreparabili sul tessuto del comparto che vale 2 miliardi di euro e che interessa oltre 100.000 lavoratori diretti, senza considerare l’indotto. Come già ribadito dalle associazioni APA e ANICA la riforma del sistema era in discussione da oltre un anno ed è importante che le tempistiche applicative siano rapide e che sia sempre più tempestivo il lavoro della macchina amministrativa”.
Sulla stessa falsariga AGICI, l’Associazione Generale Industrie Cine-Audiovisive Indipendenti: “Accogliamo con favore la decisione del Tar del Lazio di non sospendere il decreto sul Credito di Imposta alla Produzione del Ministero della Cultura e del Ministero dell’Economia e Finanze, permettendo così ad alcune imprese di poter continuare ad utilizzare questo fondamentale strumento, volano di crescita, evitando così la paralisi completa del nostro settore. Crediamo che il processo di dialogo che si potrà aprire permetterà l’accesso a tale strumento a tutte le imprese che svolgono questo mestiere con estrema dedizione e professionalità, risolvendo alcune delle criticità già evidenziate dalla nostra Associazione a salvaguardia delle piccole imprese della produzione indipendente italiana. AGICI conferma, dunque, la disponibilità ad aprire un nuovo tavolo di discussione rivolto a migliorare le misure necessarie a sostenere la crescita di tutte le sane e produttive aziende audiovisive italiane”.
Più allarmanti, invece, i toni di SOS Cinema, che raccoglie numerose associazioni e comitati rappresentativi: “A seguito della recente pronuncia del Tar del Lazio in merito al ricorso dei decreti attuativi relativi alla legge sul tax credit, il comparto cinema in Italia è precipitato in una crisi senza precedenti”. La preoccupazione è rivolta principalmente al piano occupazionale, poiché gli scenari di paralisi lavorativa prefigurano per il 2025 un anno disastroso. “Già da giugno 2024, i lavoratori del cinema hanno lanciato ripetuti appelli alle istituzioni, denunciando con forza una situazione insostenibile”, ma “nonostante le numerose richieste di aiuto, le loro voci sono rimaste inascoltate, lasciando il settore senza risposte e i suoi professionisti senza alcuna certezza per il futuro”. Le richieste sono chiare: l’attivazione immediata di strumenti di sostegno al reddito per il 2025; il riconoscimento e il recupero dell’anno contributivo; un sistema di welfare efficace, che possa garantire la sopravvivenza economica delle migliaia di famiglie che dipendono da questo settore. “L’intervento delle istituzioni non è più rimandabile: senza misure concrete e immediate, il collasso del cinema italiano è inevitabile. Il Paese non può permettersi di perdere il suo patrimonio umano e creativo, pilastro della nostra identità culturale”.
Per parte propria il sindacato continua a tenere il punto: “Bisogna dare risposte alle lavoratrici e lavoratori dello spettacolo piegati economicamente da ogni rallentamento o arresto della produzione, e privi di adeguate tutele” scrive in una nota la segreteria del sindacato dei lavoratori della comunicazione della Cgil. “Sul tax credit, Il Tar del Lazio ha accolto l’esposto presentato da diverse case di produzione e rinviato la decisione al 4 marzo prossimo-sottolinea Slc- ed è ora urgente che sia proprio il Ministero della Cultura a recepire le motivazioni che ne sono alla base ricercando il modo per non estromettere dal ‘mercato’ dello spettacolo le piccole case di produzione. Sono queste -a parere di Slc- ad essere più diffuse e a contribuire a quel tessuto produttivo più innovativo di cui la cultura italiana è e deve mantenersi ricca come è nella sua tradizione. Ciò -conclude Slc- deve avvenire anche a salvaguardia della pluralità e per lo sviluppo dei mestieri del cinema”.
Quest’ultimo episodio, dunque, mette in luce le fragilità di un Ministero impreparato che affronta i propri compiti con avventatezza e unilateralità, negando sostanzialmente il dovuto dialogo con le parti sul quale si basa la salubrità di una revisione allo strumento del Tax credit che pure si rendeva necessaria (perché sì, è vero, quella del prendi-i-soldi-e-scappa è stata una prassi piuttosto diffusa). Quella incassata da Mic non è certo una sconfitta, ma l’ennesimo colpo a una macchina inceppata sin dall’inizio di questo esecutivo – e forse, c’è da considerare, anche prima dell’insediamento del governo Meloni. La cultura è una vera e propria industria e come tale va trattata. Ma se a livello produttivo, e a dispetto degli auto-incensamenti governativi, lo stato dell’arte del nostro Paese lascia a desiderare, non si ha da ben sperare anche sull’esito di questa vicenda interna agli uffici di via del Collegio Romano.
E allo stesso modo, quest’ultimo episodio mette in luce anche la fragilità delle strategie delle associazioni di categoria, apparentemente coese intorno all’obiettivo di salvataggio dell’industria, ma spaccate nelle visioni strategiche. Laddove il dialogo è la prima istanza avanzata ai vertici ministeriali, forse è il caso di valutare anche internamente quanto si è preparati a questo passo per non compiere un harakiri da colossal.
Elettra Raffaela Melucci