È in corso questa mattina a Roma, presso la presidenza del consiglio, la presentazione del Rapporto Svimez 2023 sull’economia e la società del Mezzogiorno, dove saranno illustrate le previsioni 2023 – 2025, regionali e macroregionali, in termini di PIL, di consumi delle famiglie e di investimenti.
Un focus particolare sarà dedicato ai dati sull’occupazione e sulla questione dei salari e, secondo le prime anticipazioni delle stime elaborate da Svimez, la questione nazionale dei salari colpiti dall’aumento dell’inflazione si aggrava soprattutto nel Mezzogiorno. In Italia, infatti, la perdita di potere d’acquisto ha interessato soprattutto il Mezzogiorno (-8,4%) per effetto della più sostenuta dinamica dei prezzi, contro il -7,5% della media nazionale e il 2,2% della media Ocse. Questa dinamica si colloca all’interno di una tendenza di medio periodo particolarmente sfavorevole al Mezzogiorno. Le retribuzioni lorde reali mostrano una tendenza sostanzialmente stagnante nel Centro-Nord tra il 2008 e il 2019 e in significativo calo proprio al Sud. Nel 2022 le retribuzioni lorde in termini reali sono di tre punti più basse nel Centro-Nord rispetto al 2008; nel Mezzogiorno di ben dodici punti.
Lo studio si è concentrato anche sul salario minimo, rilevando che risultano circa 3 milioni i lavoratori al di sotto dei 9 euro in Italia, pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la Pubblica Amministrazione): circa 1 milione nel Mezzogiorno (pari al 25,1% degli occupati dipendenti) e circa 2 milioni nelle regioni del Centro-Nord (15,9% degli occupati dipendenti). La stima si basa sui microdati dell’indagine continua sulle forze di lavoro dell’Istat aggiornati al 2020, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati sulle retribuzioni disaggregati a livello territoriale.
Tra il primo trimestre del 2021 e il primo trimestre del 2023 l’occupazione è cresciuta a livello nazionale del +6,5% (+1,4 milioni di occupati) e del +7,7% nelle regioni del Mezzogiorno (+442 mila occupati). Per la prima volta dopo molti anni è cresciuta anche la componente a tempo indeterminato, soprattutto al Sud (+310 mila unità pari al +9% rispetto al +5,5% del Centro-Nord). Tuttavia nel Sud, il peso della componente del lavoro a termine rimane a livelli patologici, sostiene Svimez, soprattutto se confrontato con il resto del Paese e le medie europee. La quota di occupati a termine sul totale dei dipendenti è pari al 22,9% al Sud contro il 14,7% del Centro-Nord. Soprattutto, nel Mezzogiorno si resta precari più a lungo: quasi un lavoratore meridionale a termine su quattro è occupato a termine da più di cinque anni, quasi il doppio rispetto al resto del Paese.
In generale, l’economia del Sud tiene il passo con quella del resto del Paese. Svimez stima una crescita del Pil italiano del +1,1% nel 2023, con un aumento nel Mezzogiorno dello 0,9%, di soli tre decimi di punto percentuale in meno rispetto al Centro-Nord (+1,2%). Il Pil del mezzogiorno, inoltre, potrebbe raggiungere l’1,4% in presenza di una piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Al Nord il Pil passerebbe dalla stima dell’1,2% all’1,6%. Negli anni successivi, il contributo aggiuntivo del PNRR tenderebbe ad aumentare in entrambe le aree del Paese, ma con maggiore intensità al Sud, fino a chiudere sostanzialmente il divario di crescita tra Nord e Sud nel 2025. Va infine sottolineato che quasi il 50% dell’impatto complessivo sulla crescita del Pil in entrambe le aree dovrebbe realizzarsi negli anni finali del Piano, con effetti economici rilevanti anche nel 2027, l’anno successivo alla conclusione del Pnrr. Complessivamente, fino al 2027, l’impatto cumulato del Pnrr sul Pil italiano potrebbe raggiungere un valore pari a 5,1 punti percentuali: 8,5 al Sud e 4,1 nel Centro-Nord.
Ma un’ulteriore stretta monetaria decisa dalla Bce avrebbe effetti recessivi “più intensi” nel Mezzogiorno. Secondo le stime Svimez, la stretta monetaria operata dalla Bce nel corso del 2023, determinando condizioni più restrittive di accesso al credito, ha avuto un impatto cumulato negativo sulla dinamica del Pil nel triennio 2023-2025 di circa 6 e 5 decimi di punto rispettivamente nel Mezzogiorno e nel Centro-Nord. Un inasprimento dell’intonazione restrittiva della politica monetaria nel 2023 (un incremento di 50 punti base dei tassi ufficiali) avrebbe effetti depressivi più pronunciati nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord, contribuendo ad ampliare la forbice nei tassi di crescita tra le due aree di due decimi di punto di Pil.
e.m.