È il Sud a pagare ancora una volta il prezzo più pesante della crisi, in termini di occupazione e di rischio desertificazione industriale. Secondo le elaborazioni Svimez su dati Istat in cinque anni, dal 2008 al 2012, al Sud sono andati in fumo 301.270 posti di lavoro; il 59,5% delle perdite, in un’area che concentra il 27% degli occupati nazionali. Dei posti di lavoro persi, 141mila solo nell’industria. Mentre secondo altre elaborazioni Svimez su dati Eurostat anche le regioni del Nord in termini di produzione della ricchezza perdono posizioni in Europa, e da ben prima del 2008, anno di inizio della recessione globale. È quanto emerge dalla relazione del presidente della Svimez, Adriano Giannola a Napoli al convegno “Il rilancio dell’economia meridionale”.
In dieci anni, sempre dal 2000 al 2010, la quota nazionale del manifatturiero sul valore aggiunto totale è scesa dal 19 al 16,6%, mentre nel Centro-Nord è passata da 21,5% al 18,8%. A livello regionale alcune Regioni già superano l’obiettivo del peso del 20% del manifatturiero sul valore aggiunto totale indicato da Confindustria alle forze politiche in campagna elettorale nel Documento programmatico: il Veneto nel 2010 era al 24,5%, le Marche al 24,2%, l’Emilia Romagna al 23,2%, la Lombardia al 22,6%, il Piemonte poco sopra la soglia indicata, 20,5%, la Toscana al 16,1%, la Liguria al 10% e il Lazio al 6,4%. Decisamente più basse le cifre al Sud. Se l’Abruzzo è in linea con l’obiettivo indicato, con il 20,2%, il Molise si ferma al 15%, la Basilicata al 13%, la Puglia al 10,6%, la Campania all’8,8%, la Sardegna al 7,5%, per finire con la Calabria, fanalino di coda, ferma al 5,5%, il dato più basso a livello nazionale, distante quattro volte dall’obiettivo del 20%.
“I dati sulla crisi dell’occupazione industriale al Sud e sulla quota di ricchezza prodotta dal manifatturiero a livello regionale segnalano come il Sud sia terra dell’emergenza ma anche delle maggiori opportunità e margini di crescita”, ha dichiarato il presidente di Svimez, Adriano Giannola. “In questo senso occorre un piano di primo intervento che sappia fronteggiare l’emergenza sociale sotto gli occhi di tutti ma anche avviare una strategia di medio e lungo termine centrata su alcuni fattori basilari per attivare lo sviluppo, in primis politica industriale ed energetica, logistica e filiere territoriali, fiscalità di vantaggio, intervento”.