“Un pensiero va a Bobo Maroni, perché entra in vigore questa norma (sul bonus del 10% sullo stipendio di chi resta al lavoro con i requisiti della pensione) che è sua. Gli avevo scritto per parlare di ciò, ma purtroppo non mi aveva risposta. Ora sappiamo il motivo”. Così in occasione della conferenza stampa di presentazione della manovra il ministro Giancarlo Giorgetti ha commentato l’introduzione nella legge di Bilancio di un incentivo a proseguire il lavoro anche dopo aver maturato i requisiti per usufruire di quota 103 (62 anni + 41 di contributi). I leghisi sono dei nostalgici e tornano sempre sulle operazioni compiute quando erano al governo. Così, il richiamo del superbonus di cui alla legge n.243/2004 (la riforma Maroni delle pensioni) mi ha indotto ad andare in dietro nel tempo e a riscoprire un pezzo di archeologia previdenziale e metterla a confronto con la nuova disciplina. Il superbonus rappresentava la fase transitoria della riforma Maroni.
Fino alla fine del 2007, infatti, sarebbe restata in vigore la disciplina previgente. Mentre dal 1° gennaio 2008 sarebbe scattato il c.d. scalone che tanto fece discutere in quei tempi, per riorganizzare il quale il successivo governo Prodi 2 decise di investire ben 7,5 miliardi a regime. Nella fase transitoria Maroni introdusse le seguenti innovazioni: a) certificazione del diritto a pensione: all’atto della maturazione del diritto al pensionamento di anzianità il lavoratore avrebbe ricevuto dall’Istituto a cui è iscritto l’attestazione atta a consentirgli di usufruirne alle medesime condizioni in futuro anche in presenza di modifiche nel frattempo intervenute; b) incentivi: ai lavoratori dipendenti privati che avessero scelto di ritardare il pensionamento anticipato era devoluto in busta paga l’intero importo (esentasse) della contribuzione a carico loro e del datore (il c.d. superincentivo, nel complesso 32,7%). La pensione era calcolata all’inizio del periodo di prolungamento e congelata. Si applicavano solo gli aumenti derivanti dalla perequazione automatica. L’incentivo di cui alla legge n.243/2004 prendeva le mosse da una precedente normativa (voluta dal ministro Cesare Salvi) che non aveva mai funzionato perché era più conveniente per il datore che per il lavoratore, il quale era tenuto a dimettersi, a trasformare il rapporto di lavoro in un contratto a termine e, a fronte di questi adempimenti, trasferiva in busta paga soltanto il corrispettivo della aliquota contributiva di sua spettanza, mentre il datore di lavoro <risparmiava> la propria parte. Inizialmente, il disegno di legge Maroni prevedeva che l’ammontare contributivo corrispondente allora al 32,7% (oggi è il 33%) venisse diviso fifty fifty tra lavoratore e impresa; poi, per rendere più appetibile l’incentivo, venne stabilito che l’intera posta venisse riconosciuta al dipendente (privato), con l’aggiunta dell’esonero dalla tassazione sul reddito. Il beneficio, entrato in vigore nel novembre 2004 è scaduto il 31.12.2007. I lavoratori che hanno maturato il diritto al pensionamento di anzianità non potranno più optare per il rinvio incassando il <dividendo>. L’erogazione è cessata per quanti fino a quel momento lo avevano percepito, anche se costoro dovessero continuare a lavorare.
Bonus per il lavoratore che ritarda volontariamente il pensionamento
Prima della legge 243/2004 | 2004-2007 | |
Condizione | Instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro a tempo determinato per almeno 2 anni | Nessuna condizione |
Misura del beneficio | 8,89% della retribuzione | 32,7% della retribuzione |
Regime fiscale | Normale trattenuta Irpef | Esente da Irpef |
Quanto si intascava con l’incentivo (in euro)
Retribuzione annua | Beneficio nominale | Beneficio reale |
24.000 | 32,7% | 45% |
35.000 | 32,7% | 48% |
59.000 | 32,7% | 52% |
80.000 | 32,7% | 54% |
L’aumento in busta paga: confronto fra il netto annuo con e senza incentivo (in euro)
Retribuzione lorda (imponibile contributivo) | Netto annuo con incentivo | Netto annuo senza incentivo | Differenza |
20.000 | 21.693 | 15.153 | 6.540 |
30.000 | 30.562 | 20.752 | 9.810 |
40.000 | 39.396 | 26.295 | 13.101 |
50.000 | 47.829 | 31.358 | 16.471 |
60.000 | 56.398 | 36.557 | 19.841 |
70.000 | 65.132 | 41.921 | 23.211 |
80.000 | 73.746 | 47.165 | 26.581 |
100.000 | 90.134 | 56.813 | 33.321 |
Fonte – Il Sole 24 Ore, Guida al superbonus per chi resta al lavoro
Come può essere giudicata l’esperienza del superincentivo? Dal novembre 2004 a fine 2007 delle 104.031 domande presentate ne sono state accolte 96.564 di cui 85.258 riconosciute ad uomini e 11.306 a donne. Quanto ai settori d’appartenenza il 58,65% degli interessati (51.685) appartiene all’industria, il 17,26% al commercio, il 13,06% al credito, l’8,18% agli enti pubblici, il 2,21% all’artigianato, lo 0,37% all’agricoltura, lo 0,26% classificati come altro. Il 60% di coloro che hanno percepito il bonus ha un reddito annuo compreso tra 20mila e 50mila euro l’anno (un quarto è compreso tra 20mila e 30mila). L’8,3% ha un reddito superiore a 100mila euro e quasi il 5% nella fascia compresa tra 80mila e 100mila. Per quanto riguarda la ripartizione geografica il 23,5% è situato in Lombardia, il 12,3% in Lazio, l’8,15% in Piemonte, l’8,62% in Emilia Romagna, l’8,07% in Veneto. Buone anche le quote delle due più importanti regioni del Sud: il 5,84% in Campania e il 4,65% in Sicilia. Ma in sostanza il superincentivo si rivelò – al pari delle pensioni di anzianità – un istituto essenzialmente maschile, manifatturiero e settentrionale, alla stregua della composizione del mondo del lavoro e delle generazioni di lavoratori che hanno potuto avvalersi del trattamento di anzianità. Servì il superincentivo a ritardare il pensionamento di anzianità ? A valutare i dati delle nuove pensioni di anzianità liquidate negli anni in cui era in vigore il bonus e constatato che il loro numero è stato più o meno lo stesso del tempo precedente l’istituzione dell’incentivo, viene da ritenere che in larga parte il beneficio sia stato riconosciuto a persone che già avevano compiuto la scelta di restare al lavoro o che l’avrebbero fatta comunque, anche senza avvalersi dell’incentivo. Si tratta comunque, in ogni caso, di una probatio diabolica, poiché non è facile addentrarsi nelle propensioni delle persone. pertanto ognuno rimase della sua opinione.
Il Bonus nei diversi rami di attività
Settori | totale | uomini | donne |
Agricoltura | 362 | 317 | 45 |
Artigianato | 2.133 | 1.859 | 274 |
Commercio | 16.665 | 12.320 | 4.345 |
Credito | 12.614 | 11.203 | 1.411 |
enti pubblici | 7.902 | 7.630 | 272 |
Industria | 56.638 | 51.685 | 4.935 |
Altro | 250 | 244 | 6 |
Totale | 96.564 | 85.258 | 11.306 |
Fonte: Inps
Che cosa prevede, invece, il bonus Giorgetti? I lavoratori che nel 2023 raggiungono il requisito per la Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi in via sperimentale per il 2023) ma decidono di restare al lavoro, possono scegliere di ottenere subito la quota dei contributi previdenziali a carico del lavoratore (9,19%), intascando così una busta paga senza ritenute. In pratica, il datore di lavoro non trattiene più i contributi previdenziali per la futura pensione del lavoratore (quelli a carico del lavoratore stesso) ma versa la somma corrispondente direttamente assieme allo stipendio. La decisione in merito all’utilizzo di questo incentivo a restare al lavoro ricade esclusivamente in capo al lavoratore; l’azienda non può in alcun modo imporre questa soluzione al dipendente. Quanto alla pensione futura, il dipendente, nel momento in cui esercita questa opzione, non accumula più propri versamenti previdenziali, di conseguenza il montante individuale su cui poi si calcolerà la pensione resta fermo. PMI ha indicato anche i vantaggi e gli svantaggi dell’operazione.
“Il vantaggio per il lavoratore che sceglie quest’ultima opzione è che, pur avendo maturato un diritto a pensione, continua a percepire uno stipendio, che anzi sarà più alto perchè incamera anche i contributi previdenziali.
Il punto a sfavore, invece, è che alla fine avrà una pensione più bassa di quella che avrebbe continuando a versare i contributi previdenziali, fruendo di un montante inferiore ed applicando un coefficiente di trasformazione anagrafico più basso.
C’è anche un secondo svantaggio, di natura fiscale: qui bisogna attendere i dettagli, ma se (come sembra) la norma non prevede agevolazioni in questo senso, le somme in più che confluiscono in busta paga sono a tutti gli effetti elementi della retribuzione, e come tali tassati. In pratica, quindi, il lavoratore pagherà più tasse”.
L’attuazione dell’incentivo è affidata a successivi decreti ministeriali che dovrebbero chiarire tutti gli aspetti a riguardo. Come prima valutazione possiamo riconoscere che anche in questo caso ha prevalso la cautela con cui il governo ha cercato di agire nella sua prima legge di bilancio.
Giuliano Cazzola