L’industria dell’auto europea si trova davanti a un bivio, tra transizione verde, nuovi dazi all’orizzonte e la mancanza di una politica comunitaria. È l’analisi di Judith Kirton-Darling, segretaria generale di IndustriAll Europe. L’Italia è il paese che sta pagando di più il prezzo della crisi, spiega, perché il governo non ha un piano per l’auto, c’è un solo produttore e sta soffrendo la crisi in Germania.
Qual è lo stato di salute dell’industria automobilistica europea?
Siamo a un bivio in Europa. La deindustrializzazione non è più una minaccia per la catena di fornitura automobilistica: sta accadendo. Ciò è il risultato di una mancanza di politica industriale a livello nazionale ed europeo, di cattive decisioni aziendali e di una domanda debole, indebolita principalmente dagli alti tassi di interesse e dalla crisi del costo della vita. Sono in gioco 13 milioni di posti di lavoro.
In quali condizioni si trovano i tre principali paesi produttori Germania, Francia e Italia? In che modo questi tre paesi si influenzano a vicenda, nel bene e nel male?
La produzione di veicoli in Europa si è ripresa rapidamente dalla pandemia, ma sembra stabilizzarsi intorno ai 15-16 milioni di unità prodotte all’anno, mentre nel 2019 sono stati prodotti più di 19 milioni di veicoli. Si registra quindi una chiara stagnazione della produzione a un livello ben al di sotto del livello pre-pandemico. Ci sono enormi differenze tra i paesi. I paesi dell’Europa centrale e orientale o la Spagna non hanno seguito le stesse tendenze di paesi come Francia, Italia o Germania, dove la produzione è diminuita nell’ultimo decennio e non solo a causa del Covid. Mentre i datori di lavoro e i partiti conservatori sono piuttosto espliciti nel dare la colpa al Green Deal dell’UE, vediamo che dietro le annunciate perdite di posti di lavoro c’è una domanda depressa e le ben note strategie al ribasso delle multinazionali che cercano paesi a basso costo per garantire la loro redditività. Queste stesse forze conservatrici sono le stesse che si oppongono al progresso sulla convergenza sociale, chiedendo un’ulteriore deregolamentazione a livello europeo. Questa è la medicina sbagliata.
Nel concreto, come dovrebbe essere strutturata una politica industriale europea a sostegno del settore?
Chiediamo massicci investimenti, con annesse condizionalità sociali e fiscali, per garantire innovazione, posti di lavoro di qualità e infrastrutture moderne. Un piano industriale reale e proattivo per la trasformazione della nostra industria per tutta la filiera. Anche la dimensione commerciale è fondamentale data la crescente sovraccapacità in Cina e l’incombere di misure protezionistiche che spingono questa sovraccapacità verso l’Europa. Anche se è diventato di moda parlare di strategia industriale, parlare è poco e la crisi del nostro settore automobilistico dimostra che è necessario agire subito. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen deve dimostrare di essere dalla parte dei lavoratori dell’industria istituendo una task force di emergenza per porre fine a questa crisi e garantire un futuro all’industria europea.
Che impatto stanno avendo sul settore le politiche e le tempistiche messe in atto dalla Commissione Europea per governare la transizione verde e tecnologica? Possono ancora essere modificati?
Lo status quo non è un’opzione e sfidare la transizione verde sarebbe un terribile errore per le generazioni future e per l’economia di oggi. Innanzitutto perché esiste l’urgenza climatica e non possiamo negoziare con la fisica. In secondo luogo perché altre regioni del mondo investono massicciamente in veicoli a zero emissioni e connessi. L’inazione intrappolerebbe l’Europa nelle tecnologie del secolo scorso e lascerebbe i mercati in crescita alla Cina e agli Stati Uniti che hanno iniziato anni fa a costruire un’intera catena di fornitura per veicoli a zero emissioni e i loro componenti. Abbiamo bisogno di un quadro politico stabile con obiettivi chiari affinché le aziende possano investire in nuovi prodotti e catene di montaggio. Abbiamo inoltre bisogno che le autorità pubbliche svolgano un ruolo molto più proattivo per creare l’ambiente favorevole affinché la transizione diventi un successo industriale. Gli investimenti in nuove infrastrutture di ricarica e di rete elettrica, la creazione di mercati guida con appalti pubblici e incentivi fiscali equi o incentivi all’acquisto mirati come il leasing sociale in Francia sono esempi per creare le condizioni per una transizione di successo. Ciò è molto più utile che incolpare ripetutamente le ambizioni climatiche dell’Europa e gettare dubbi nella società e tra gli investitori su come sarà il futuro dell’automotive. La stabilità politica è importante anche per consentire alle parti sociali di negoziare accordi volti ad anticipare il cambiamento. Come si possono prevedere le esigenze di formazione dei lavoratori se le regole e gli obiettivi concordati sono in costante cambiamento? La stabilità è importante per gli investitori ma anche per i lavoratori, ecco perché insistiamo da molti anni sulla necessità di un quadro più forte per una transizione giusta, che fornirà la certezza e il sostegno necessari ai lavoratori nel percorso verso un’industria a zero emissioni
L’auto non è più l’oggetto del desiderio di alcune fasce di età, come i giovani. Pensa che possano ancora trainare l’intera industria?
Le vendite e la produzione sono influenzate dai cambiamenti sociali, come il cambiamento dei modelli demografici o di mobilità. E ovviamente, per vari motivi, tra cui il costo della vita, i bassi salari e la precarietà del lavoro, una parte significativa della popolazione non ha più accesso all’acquisto di veicoli nuovi e nemmeno di auto usate. Oggi, il desiderio di automobili è forse meno intenso rispetto a vent’anni fa, ma le auto continuano a dominare fortemente il trasporto passeggeri con una quota modale superiore all’80% e il tasso di motorizzazione rimane estremamente elevato in Europa. Quindi le macchine rimangono e rimarranno per il prossimo futuro centrali nella mobilità europea. Lo stesso vale per il trasporto merci, dove i camion svolgono un ruolo centrale. È difficile dire cosa comporteranno questi cambiamenti sociali per l’industria automobilistica, ma se i produttori vogliono continuare a vendere automobili in Europa, potrebbero dover mettere in discussione la strategia di “deriva verso l’alto” che ha creato un enorme divario tra ciò che viene prodotto e ciò che i cittadini possono permettersi. Questo è particolarmente importante se nel frattempo il mercato interno diventa nuovamente strategico perché i produttori europei stanno perdendo quote di mercato sui mercati esteri che sono stati i loro motori di crescita negli ultimi due decenni. Detto questo, crediamo che il futuro dell’industria automobilistica debba essere visto anche in un sistema di mobilità globale in cui il trasporto pubblico, la bicicletta e il camminare debbano svolgere un ruolo più importante. E sapere dove e come vengono prodotti treni, autobus e biciclette deve essere visto anche come obiettivo strategico per la strategia industriale europea.
È sempre più certa una guerra tariffaria a tre, tra Europa, Cina e America. Cosa rischia l’Europa?
Nel 2000, la Cina ha prodotto meno di 1 milione di veicoli, ma nel 2023 ne sono stati prodotti circa 30 milioni. Una serie di paesi, a cominciare dagli Stati Uniti, hanno adottato misure protettive per reagire a questa nuova realtà industriale con tariffe al 100%. Guardare semplicemente dal balcone sarebbe un suicidio per l’Europa, date le già crescenti importazioni di veicoli dalla Cina. L’industria automobilistica dell’UE fornisce 13 milioni di posti di lavoro direttamente e indirettamente: è strategicamente importante per il tessuto manifatturiero europeo. I lavoratori del settore si trovano in una tempesta perfetta di cambiamenti tecnologici, automazione, elettrificazione e cambiamenti geopolitici, che hanno tutti impatti occupazionali significativi e che si rafforzano a vicenda. Le regole commerciali eque sono cruciali e quindi le tariffe per i veicoli elettrici dell’UE sono necessarie, ma non rappresentano da sole il piano industriale urgentemente necessario per il futuro di questo settore strategico e dei nostri posti di lavoro. Senza un piano coerente e globale, molti posti di lavoro sono a rischio, come possiamo vedere dalle chiusure di impianti già annunciate e minacciate. La nuova Commissione si è impegnata a sviluppare un piano industriale automobilistico, pertanto insistiamo affinché venga attuata una moratoria sui licenziamenti forzati per evitare la perdita di capacità e competenze produttive strategiche in Europa.
Lei ha partecipato alla manifestazione dei metalmeccanici lo scorso 18 ottobre a Roma. Cosa pensA della politica industriale del governo italiano per l’auto?
In tutta Europa stiamo vivendo una tempesta perfetta, ma in Italia ci sono altri tre svantaggi: il governo non ha un piano per le auto, c’è un solo produttore e molte realtà della componentistica soffrono il declino di Stellantis e della riduzione delle forniture alla catena del valore automobilistica tedesca. L’Italia è lo stato che sta pagando di più il prezzo della crisi. Ma incolpare i governi per i loro fallimenti non dovrebbe portare a trascurare la responsabilità delle imprese nella situazione attuale. Ora stanno pagando le conseguenze di scelte strategiche e tecnologiche sbagliate, ma è anche tempo di discutere apertamente il loro modello economico. Le aziende europee sono state leader nella distribuzione dei dividendi a livello globale. Oggi, queste stesse aziende stanno annunciando massicce strategie di riduzione dei costi che porteranno alla deindustrializzazione dell’Europa. Non possiamo lasciare che le aziende privatizzino i profitti e poi socializzino i costi. Questa dipendenza da rendimenti finanziari irrealistici sta paralizzando le nostre industrie.
Tommaso Nutarelli