Evitare quanto più possibile il controllo politico sulla comunicazione scientifica, praticando il principio costituzionale dell’autonomia della scienza, rappresenta un tema generale per l’interesse del Paese. Ciò cui stiamo assistendo negli ultimi mesi indica invece una preoccupante tendenza a ridurre la ricerca a oggetto da inserire nella spartizione delle nomine pubbliche tra le forze della nuova maggioranza di governo. Una commistione palese tra politica e scienza può portare disastri, perché senza un adeguato grado di indipendenza la ricerca scientifica non riesce a funzionare.
La vicenda della nomina del presidente dell’Istat si inserisce quindi in questo quadro. Lo stesso è accaduto recentemente per la presidenza dell’Agenzia Spaziale, che ha portato le dimissioni dei membri della commissione che dovrebbe sovraintendere alla scelta dei vertici degli enti di ricerca vigilati dal Miur, o in occasione dell’azzeramento dei membri del Consiglio Superiore di Sanità.
Non è la prima volta che la FLC CGIL prende posizione sulla nomina del presidente dell’Istat. Nel 2009 fu organizzata una campagna per evitare il commissariamento che sembrava a un passo, quando l’allora ministro Tremonti “criticava” i dati dell’Istat che non erano di suo gradimento. Nel 2013 ci si oppose alla lottizzazione che si andava prefigurando e che portò alla nomina, mai completata, di Pier Carlo Padoan. Quando qualche mese dopo l’ex presidente Enrico Giovannini tentò di rientrare alla guida dell’Istat dopo aver fatto il ministro (nel governo Letta, ndr), ci schierammo decisamente contro: chi si candida al vertice della statistica ufficiale deve poter incarnare un profilo pubblico di indipendenza e terzietà.
È però forse la prima volta che la protesta si allarga dalle iniziative sindacali direttamente alla mobilitazione dei lavoratori, favorendo l’apertura di un dibattito pubblico nel Paese. Benché già a poche settimane dall’insediamento del nuovo governo il “tweet” di Laura Castelli con l’ex presidente Istat Giorgio Alleva, in cui si auspicavano “sinergie” tra l’ente e il programma del “cambiamento” non presagisse nulla di buono, non ci saremmo aspettati quanto poi è accaduto nei mesi successivi. Le assemblee organizzate dalla Rsu delle sedi romane dell’Istituto, la petizione on line che ha superato le 2.700 firme, le mobilitazioni in cui si rivendica l’indipendenza dell’Istat, sono il risultato di una serie di segnali preoccupanti che si sono manifestati intorno alla nomina del professor Gian Carlo Blangiardo.
Ci riferiamo in particolare alle interviste rilasciate da Blangiardo a luglio, nelle quali il professore si affrettava a dichiararsi già “nominato” dalla ministra Bongiorno, senza che nemmeno fosse stata avviata la procedura richiesta dalla normativa europea, alle continue indiscrezioni di stampa – mai smentite – che descrivono una lottizzazione in piena regola, con scambi di poltrone tra i partiti di governo e una parte dell’opposizione. E ancora, in questo clima, alla partecipazione del professor Blangiardo, l’11 novembre – tre giorni dopo la nomina ufficiale da parte del Consiglio dei ministri – a un evento politico della Lega, che nulla aveva di “seminariale” e “accademico”: basta vedere il video che si trova in rete. A tutto questo si aggiungono perplessità sulla effettiva competenza del candidato prescelto: l’apparente carenza di esperienza in campo internazionale, l’età avanzata che come minimo prefigura una presidenza di corto respiro, alcune proposte statistiche bislacche del professor Blangiardo, come quella sulla speranza di vita al concepimento.
L’Istituto nazionale di statistica è chiamato a fornire dati sui fenomeni più importanti del Paese, secondo metodologie condivise e trasparenti. L’indipendenza dell’Istat è indispensabile innanzitutto per la sua credibilità: se venisse percepito come un ente schierato politicamente con il governo di turno, la sua stessa credibilità presso l’opinione pubblica verrebbe messa in discussione. Le posizioni del professor Blangiardo su temi centrali nel dibattito politico, dall’immigrazione ai diritti delle donne, in linea con alcune tendenze presenti nella maggioranza di governo, almeno nella sua componente leghista, sono oggettivamente preoccupanti per il ruolo di garanzia e di presentazione dei dati ufficiali: il rischio che si possa attribuire ad una sua eventuale gestione una lettura parziale della realtà, e che ciò possa screditare il lavoro dell’Istat, è alto.
Proprio per questo la normativa prevede che la nomina sia ratificata da una maggioranza qualificata delle Commissioni affari costituzionali di Camera e Senato: in questo modo si immagina di individuare una figura super partes, capace di garantire la terzietà necessaria per guidare un istituto cruciale nella vita sociale ed economica del Paese. Ma si sta disegnando uno scenario differente, verso il quale speriamo ci sia un sussulto di ragionevolezza. Per quanto ci riguarda le vicende di questi mesi devono servire a rimettere al centro un tema urgente che è il sistema di governance della ricerca. Occorre assegnare maggiori poteri alle comunità scientifiche anche nei percorsi di nomina dei vertici in tutti gli enti e in tutte le istituzioni di ricerca, creando una cornice chiara di indipendenza che tolga spazio a qualsiasi tentazione di ingerenza della politica sulla ricerca scientifica.
Fabrizio Stocchi, Responsabile ricerca FLC CGIL