Sub appalto: una mossa del cavallo per rimettere al centro il lavoro. Si apre una grande occasione per il sindacato, per qualificare le imprese e per riunificare il mondo del lavoro secondo il principio “stesso lavoro, stessi diritti, stesso contratto”.
Un mio amico ha detto, commentando la vertenza che ha portato a condividere con il Governo gli interventi in materia di sub appalto, “la lotta degli edili paga”. Certo la lotta degli edili è stata importante: e se siamo riusciti a sconfiggere prima il tentativo di generalizzare il “massimo ribasso” e poi la totale deregolamentazione dei sub appalti, qualche merito lo abbiamo come Fillea e come Federazione Lavoratori delle Costruzioni (FLC).
Per primi, insieme alle categorie del terziario, abbiamo denunciato i rischi di una visione liberista degli interventi sul Codice per cui, invece di usare le risorse pubbliche per qualificare settori ed imprese, per migliorare le condizioni di lavoro, queste si sarebbero “dovute adattare” a quello che c’è (nanismo e sottocapitalizzazione, logica del risparmio sul lavoro invece che investimento sulla qualità, disattenzione – conseguente – ai temi della sicurezza).
Per primi abbiamo unitariamente messo in campo iniziative di mobilitazione, dichiarando la nostra volontà di giungere ad uno sciopero generale e le stesse piazze occupate il 26 Maggio (da Ancona a Bergamo, da Palermo a Napoli ad Alessandria, a Roma) si sono inserite nella più generale vertenza aperta da CGIL, CISL e UIL per contrastare gli infortuni sul lavoro (tema che rimanda direttamente a come è organizzato il ciclo produttivo e l’ambiente di lavoro, alla dimensione di impresa ecc.).
In particolare gli edili hanno messo la propria forza politica e organizzativa a disposizione di una più generale battaglia confederale a tutela anche delle lavoratrici e lavoratori più in difficoltà (si pensi al vasto mondo dei servizi ad alta intensità di manodopera) secondo quella pratica inclusiva e solidaristica tipica, in particolare, della CGIL.
Solidarietà, unità sindacale, capacità di mobilitazione hanno portato ad un risultato importante e hanno facilitato una “mossa del cavallo”.
La “mossa” è stata quella di sganciare la discussione dalla percentuale in sé di sub appalto (come del resto già, come CGIL, avevamo indicato: si veda il documento del 17 Gennaio 2021) per portarla sul terreno della qualificazione di impresa, della crescita dimensionale, dello spostamento del sub appalto dal terreno del risparmio a quello della specializzazione produttiva.
Aprendo una strada alla possibilità di un’azione vertenziale e contrattuale sui posti di lavoro inedita, perché finalizzata a ricongiungere parte alta e parte bassa della filiera (questa è contrattazione inclusiva, riguardi lavori edili, servizi o forniture) attraverso il principio “stesso lavoro, stessi diritti, stesso contratto collettivo” (battaglia che come edili abbiamo lanciato anni fa con lo slogan unitario “stesso lavoro, stesso contratto”).
Perché un’affermazione così forte? Vediamo ora nel dettaglio le norme approvate in Consiglio dei Ministri, i loro effetti pratici, gli spazi che aprono e quello che da subito ritengo occorra fare.
Prima questione: potevamo difendere il 30% o 40% di limite al sub appalto sugli importi di lavori, ma lasciare la condizione di debolezza degli attuali lavoratori in sub appalto così come è, oppure potevamo cambiare “l’unità di misura” per valutare cosa è attività principale in appalto e cosa non lo sia, cosa è elemento di competizione (specializzazione versus mero risparmio sui costi) e cosa non lo sia. Potevamo prendere tempo o giocare all’attacco (e abbiamo fatto così): riscrivere le regole del gioco pensando che, qualunque percentuale vi sarà domani nei sub appalti (fatti i salvi i limiti quantitativi posti dal nuovo comma 1 del 105 sulla nullità del contratto), questa è condizionata da elementi (come la parità di trattamento economico e normativo, l’applicazione dello stesso CCNL, le caratteristiche di impresa e sua qualificazione) e da possibili processi (l’azione collettiva sindacale, questa dipende da noi) tali da favorire una specializzazione produttiva delle imprese lungo la filiera e quindi una maggiore qualità del lavoro.
Seconda questione: “quantità versus qualità”. Il nuovo comma 1, secondo e terzo periodo dell’art. 105 del dlgs. 50/2015 opera prima di tutto una corretta “contemperanza” tra due principi (presenti in specifiche direttive europee anche, quella sugli appalti ma anche quella sulla concorrenza): quello di favorire la partecipazione delle PMI nel mercato dei contratti pubblici, con quello della trasparente e certa concorrenza tra impresa. Nello specifico un contratto di appalto da domani sarà nullo se ceduto ad un terzo (vince l’impresa X, ma poi si cede il lavoro all’impresa Y che non ha partecipato alla gara, e allora chi è arrivato secondo – quando scopre la cessione – fa giustamente ricorso in quanto falsata la gara stessa), se l’integrale esecuzione dell’opera (sub appalto cioè il 100%, ricorso del secondo classificato) viene data ad altri, ma anche in caso di realizzazione da parte di altri (terzi, appunto) della “prevalente esecuzione delle prestazioni o lavorazioni” relative al complesso delle categorie prevalenti (le categorie OG dell’edilizia per intenderci) o in caso di contratti ad alta intensità di manodopera (del resto se devi pulire 4 piani di un Ministero che vuoi sub appaltare? Qui correttamente si richiama il concetto di alta intensità di manodopera su cui tanto le direttive europee quanto lo stesso articolo 50 del Codice prevedono, riferendosi a contratti dove l’elemento lavoro è così prevalente, anche una specifica “clausola sociale”).
Insomma il principio è che chi vince una gara deve poi “fare”, al di là degli importi, la parte prevalente. Ovviamente sarà a questo punto la singola stazione appaltante che, in base ai tipi di lavorazione e servizio dovrà valutare cosa è sub appaltabile, quali caratteristiche dovrà avere, tenendo conto della nullità in caso di violazione del nuovo comma 1 (di fatto si passa da un’unità di misura – il valore dell’importo su cui vi era la percentuale – ad un’altra unità di misura, la quantità di lavorazioni e prestazioni in relazione alle categorie). Del resto, per onestà, diverse associazioni di impresa stesse si erano schierate per evitare un’eccessiva deregolamentazione delle quantità sub appaltabili.
La stessa Unione Europea del resto contestava la predeterminazione di una percentuale a priori (il 30% poi divenuto 40%) e non il diritto della stazione appaltante di porre limiti specifici che però dovessero avere un indicatore caratteristico (non più gli importi, ma appunto la quantità e/o la tipologia delle prestazioni specifiche, che variano da appalto ad appalto). Insomma il rischio della destrutturazione del ciclo è limitata dal riferimento ai rischi di possibile nullità del contratto stesso. E una parte della sfida vera sarà, dal 1° Novembre, come agiremo sulla qualificazione delle imprese, sugli obblighi nuovi imposti alle amministrazioni competenti (la parte finale dell’articolo 50 del Decreto varato dal CDM) a partire dall’adozione della congruità dell’incidenza di manodopera e delle linee e procedure antimafia della l. 159/2011. Dovremmo anche noi agire come sindacato verso le stazioni appaltanti che dovranno tenere conto della natura e complessità delle prestazioni o lavorazioni, del rafforzamento dei controlli in cantiere e nei luoghi di lavoro (servizi), delle possibili infiltrazioni (da qui anche il ruolo riconosciuto alle Prefetture). Insomma: se forse saranno necessarie Linee Guida (da parte di Anac o qualche altra istituzione) per spiegare alle circa 40 mila stazioni appaltanti cosa fare, sarà invece “obbligatorio” per noi avviare un’intensa attività di concertazione (anche noi come CGIL dovremmo darci secondo me delle linee guida sia di merito che di metodo/controllo).
Sapendo – se ci riferiamo all’edilizia – che per fortuna non partiamo da zero, tra accordi sulle opere commissariate, Anas, RFI, edilizia sanitaria, scolastica, ecc. e che in molti territori, insieme alle confederazioni, vi sono già principi e procedure codificate in materia di appalti.
Ma la “svolta vera”, inutile prenderci in giro, è il nuovo comma 14 primo periodo dell’articolo 105 che non a caso sostituisce quanto attualmente previsto (per cui si poteva sub appaltare con un risparmio ulteriore fino al 20%) con una norma che è la riproposizione, in chiave aggiornata, di quella che i giuristi chiamavano la “regola d’oro” dell’art. 3 della legge 1369/60.
Norma per cui “il sub appaltatore, per le prestazioni affidate in sub appalto, deve garantire gli stessi standard qualitativi e prestazioni previsti nel contratto di appalto e riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro”, ovviamente “qualora le attività oggetto di sub appalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto” (insomma nessuno chiede di applicare il contratto edile alla società che fa pulizie nei campi base…).
Qui è la grande scommessa sindacale ed industriale. Stiamo dicendo che un sub appaltatore di We Build che fa in quell’opera lavorazioni edili (quindi attinenti all’oggetto appalto “nuova ferrovia”, categoria prevalente) deve garantire ai suoi dipendenti salario e tutele come quelle di un dipendente di We Build e deve anche applicare il CCNL dell’Edilizia.
Il CCNL dell’Edilizia sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale in quanto previsto dall’art. 30 comma 4 del dlgs. 50/2016 in modo esplicito (la nuova norma va infatti letta inserita nel Codice complessivo e il decreto non “novella” questa parte del Codice).
Immaginiamo il portato di questa norma, anche in termini di potenziale iniziativa sindacale e contrattuale: stiamo dicendo che per lo stesso lavoro (oggetto dell’appalto) i trattamenti non possono essere inferiori ne in termini di salari che di diritti (pensiamo alla formazione e ai costi per la sicurezza del CCNL dell’edilizia) e quindi che viene meno la “convenienza basata sulla compressione dei costi del lavoro” tale per cui l’azienda sarà spinta a sub appaltare quelle attività specialistiche, ad alto valore, ecc. tale da potersi permettere un costo uguale o superiore (perché comunque conveniente in termini di tecnologie, mezzi, produttività, conoscenza, non possedute per quella specifica lavorazione o servizio).
Stiamo inserendo un potente incentivo o ad internalizzare (“se tanto devo pagare uguale a questo punto meglio assumerlo” e quindi ecco incentivata anche la crescita dimensionale, la strutturazione organizzativa, ecc.) o a selezionare solo imprese più specializzate (per cui la loro produttività giustifica il costo maggiore) che si pongono nella parte alta del ciclo produttivo e del valore.
Quindi stiamo dicendo “a stesso lavoro, stesso salario e stessi diritti”. E questo oltre a ricomporre il mondo del lavoro, agisce prepotentemente sulle condizioni sia di sicurezza sia di innalzamento della qualità della prestazione. Quindi a stesso lavoro, stesso costo; stesso lavoro, stessi diritti (pensiamo alle norme del nostro contratto specifiche per la sicurezza, le 16 ore obbligatorie, i versamenti per i CPT e le Scuole, gli RLST, ecc.).
Ma c’è di più e qui c’è uno spazio per il sindacato importante: stiamo anche dicendo che se si fa lo stesso lavoro si deve anche applicare lo stesso CCNL. Quindi stiamo di fatto ricomponendo e riordinando i perimetri contrattuali in funzione di cosa si fa concretamente (che era poi l’obiettivo per esempio di quella parte inattuata del c.d. “patto per la fabbrica”) e di come si è inseriti nella filiera e stiamo semplificando e ricomponendo la rappresentanza sindacale, perché banalmente stesso CCNL vuol dire anche stessa categoria della Cgil, delegati che possono più facilmente costituire coordinamenti, RLST, RLS di sito, ecc.
E questo vuol dire, anche, un colpo micidiale ai contratti c.d. “pirati”. Quelli cioè non firmati da sindacati rappresentativi. Non sarà più possibile che, se l’appaltante applica un contratto sottoscritto dalla Filcams per esempio o dalla Fillea, il lavoro sarà svolto in sub appalto da lavoratrici e lavoratori con CCNL sottoscritti magari dalla Cisal o dalla Fials, ecc.
Insomma per questo ritengo un punto importante quello raggiunto nel confronto con il Governo Draghi, a vantaggio del lavoro, della qualità degli appalti e a vantaggio anche delle imprese più serie e strutturate.
Ora nei prossimi giorni penso che:
- dobbiamo continuare la nostra azione verso il Parlamento perché alcune delle nostre richieste non sono state pienamente accolte (penso alla c.d. “Patente a punti”, ma non solo);
- dobbiamo presidiare e difendere la sintesi trovata con il Governo da possibili incursioni durante l’iter Parlamentare di conversione del decreto legge;
- dobbiamo continuare la mobilitazione affinché il Ministro del Lavoro acceleri l’emanazione del Decreto attuativo della Congruità, a questo punto fondamentale per rafforzare l’intero impianto.
Soprattutto dovremmo attrezzare una stagione unitaria di vertenzialità per avviare quel “riallineamento contrattuale”, quella “pulizia” lungo la filiera, sostenendo tutti quei soggetti economici che, con l’occasione, punteranno a specializzarsi e a strutturarsi nel pieno rispetto delle regole e dei nostri contratti collettivi.
Dovremmo infine, già nei prossimi giorni, condividere percorsi e strategie, oltre che conoscenza delle norme e delle loro implicazioni sia contrattuali che vertenziali.
Alessandro Genovesi – Segretario Generale FILLEA CGIL