Mercoledì 19 marzo 2025: è il giorno in cui, davanti alle Commissioni Attività Produttive di Camera e Senato, riunite congiuntamente in un’aula di palazzo Montecitorio, si tiene la “audizione informale” di John Elkann. Il quale si presenta all’appuntamento nella sua doppia veste di Presidente del Gruppo automobilistico Stellantis e di responsabile della sua gestione operativa, ovvero di facente funzione di Amministratore delegato del Gruppo stesso.
Personalmente, non credo che questa data entrerà, segnando un punto di svolta, nella storia dell’industria dell’auto in Italia. Semmai, troverà un suo posto nella cronaca delle relazioni tra l’industria dell’auto e il potere politico. Più precisamente, questa data potrà segnare la tappa numero due dell’operazione simpatia che Stellantis, sotto la guida di Elkann, sta conducendo nel nostro Paese.
La tappa numero zero è quella che si è svolta, con grande rapidità, all’inizio del mese di dicembre dell’anno scorso. Domenica 1° dicembre, l’agenzia Bloomberg annunciò che il Consiglio di Amministrazione di Stellantis aveva accettato le dimissioni dell’Amministratore delegato, il franco-portoghese Carlos Tavares. Il giorno successivo, lunedì 2, il Presidente del Gruppo, John Elkann, ricevette l’incarico di “responsabile della gestione operativa” del Gruppo stesso.
Ed è qui che ha preso avvio quella che abbiamo definito come “operazione simpatia”. Infatti, attorno alla metà del 2024, l’immagine pubblica di Tavares aveva perso parecchi punti non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti. In quest’ultimo Paese, in particolare, ciò era accaduto sia fra i risparmiatori e gli operatori di Borsa, a causa delle perdite del titolo Stellantis a Wall Street, sia fra i lavoratori del gruppo e i dirigenti del sindacato UAW, a causa degli insorgenti problemi occupazionali.
Quanto all’Italia, l’audizione dell’11 ottobre 2024 di fronte alla Commissione Attività Produttive della Camera, riunita assieme alla Commissione Industria del Senato, non aveva certo contribuito a far crescere la popolarità di Tavares, né di fronte al nostro mondo politico né, di riflesso, di fronte a vari settori dell’opinione pubblica. E ciò, più che altro, per il tono forse troppo aggressivo con cui aveva spiegato che produrre auto, in Italia, costa troppo e con cui aveva poi sostenuto che tale produzione necessita di incentivi pubblici.
Con questo non vogliamo dire che l’allontanamento di Tavares da Stellantis sia stato causato da questa crisi della sua capacità di stabilire relazioni pubbliche positive. Semmai, ci permettiamo di ipotizzare che il Presidente Elkann, e i suoi più fidati collaboratori, si siano proposti di cogliere tale occasione per rilanciare l’immagine del Gruppo.
Prima tappa di questa operazione è stata quella del 17 dicembre 2024, ovvero quella del giorno in cui, presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, si tenne una riunione del cosiddetto tavolo Stellantis. Riunione cui parteciparono il Governo, con i responsabili di tre Dicasteri (Mimit, Lavoro ed Economia), i Presidenti delle Regioni interessate dalla presenza di stabilimenti del Gruppo, l’Anfia (associazione delle imprese della filiera dell’auto), i sindacati dei metalmeccanici e l’Azienda, rappresentata dal manager francese Jean-Philippe Imparato, nella sua veste di responsabile europeo di Stellantis.
In quella occasione, Imparato disse che Stellantis intendeva “fare squadra” con l’Italia, e passò poi a illustrare le line lungo le quali l’Azienda si stava muovendo nel nostro Paese, specificando l’assegnazione dei vari modelli di autovetture e furgoni ai diversi stabilimenti italiani del Gruppo. Sempre secondo Imparato, il piano aziendale, relativo al 2025, confermava “il forte impegno” di Stellantis in Italia “con 2 miliardi di investimenti”. Una cifra, questa, cui andavano aggiunti 6 miliardi di acquisti da fornitori operanti nel nostro Paese. Imparato aveva poi sottolineato che tale programma non prevedeva aiuti pubblici: tutti gli investimenti di cui aveva parlato avrebbero dovuto essere finanziati dall’Azienda con risorse proprie.
Il padrone di casa, ovvero il Ministro Adolfo Urso, titolare del Mimit, parlò quindi di un “rapporto collaborativo” ormai in essere con Stellantis. Lasciando immaginare che, a monte dell’incontro, ci fosse la decisione consensuale del Governo e dell’Azienda di siglare almeno un armistizio rispetto ai toni più aspri che avevano caratterizzato l’ultima parte del periodo in cui la guida di Stellantis era stata nelle mani di Tavares.
L’abbiamo fatta un po’ lunga con queste rievocazioni perché dall’intervento di Elkann – sia per ciò che riguarda i piani produttivi di Stellantis in Italia, sia per ciò che riguarda il rapporto fra l’Azienda e il Governo Meloni – non sono venute rilevanti novità rispetto a quanto detto da Imparato nel dicembre scorso.
La situazione, certamente, rimane difficile. Inoltre, dal Presidente di Stellantis non sono venute particolari rassicurazioni rispetto ai timori ripetutamente espressi dai sindacati sia per ciò che riguarda le prospettive occupazionali, sia per ciò che riguarda specifici stabilimenti, come il progetto della gigafactory di Termoli, o specifici marchi, come quello nobilissimo della Maserati.
Semmai, l’intervento di Elkann ha teso a prendere le distanze dalle presenti difficoltà ampliando il quadro all’indietro nel tempo e, attualmente, nella dimensione europea.
Per ciò che riguarda la dimensione temporale, Elkann è risalito direttamente a quando c’era ancora la Fiat e, in particolare, al 2003, ovvero all’anno della morte di suo Nonno, Gianni Agnelli. E ha poi detto che, in vista dell’audizione parlamentare, “volendo quantificare l’apporto dato dall’Azienda al Paese”, ha chiesto all’Università Luiss Guido Carli di “realizzare uno studio indipendente sulla storia del Gruppo dal 2004 al 2023, anni che ho vissuto in prima persona”. Ebbene, secondo Elkann, ciò che emerge da questo studio è che “il contributo positivo alla crescita dell’economia italiana non è mai venuto meno”.
Ora è chiaro che, per fare questo ragionamento, vanno considerati come un tutt’uno tre periodi piuttosto diversi: quello in cui la Fiat era ancora la Fiat degli Agnelli; quello in cui è nata e si è poi sviluppata la Fiat Chrysler, ovvero la Fca guidata da Marchionne; e, infine, quello in cui la stessa Fca si è fusa con la Peugeot dando vita a Stellantis. Da un punto di vista storiografico, questa ricostruzione andrebbe condotta con grande prudenza. Ma visto che, per Elkann, si trattava di portare avanti un’operazione di comunicazione, non era il caso di sottilizzare. L’importante era sottolineare che il contributo della Fiat (poi Fca, oggi Stellantis) alla nostra storia industriale è stato positivo.
“Negli ultimi 20 anni”, ha poi specificato Elkann, in Italia il mercato domestico dell’auto “è calato del 30%”, mentre l’occupazione relativa al settore “si è ridotta di circa il 20%”. “Questo significa – ha proseguito – che l’Azienda ha difeso la produzione e l’occupazione” dei suoi stabilimenti attivi in Italia.
Per quanto riguarda poi le difficoltà del presente, Elkann non ha sollevato un problema, peraltro assai dibattuto, e non da oggi, come quello delle carenze della nostra politica industriale, ma ha rapidamente allargato il discorso alla dimensione europea dell’industria dell’auto.
Per il Presidente di Stellantis, il “settore automobilistico europeo” non solo si trova in una “fase critica”, dovendo far fronte alla “crescente pressione” esercitata dagli obiettivi normativi in materia di CO2, nonché “alla diminuzione della propria competitività globale”, ma costituisce anche “un esempio” di “mancanza di pianificazione”. Infatti, al settore “è stata imposta una rigida politica climatica” senza che siano state create “le condizioni industriali che la favoriscano”.
Elkann ha poi sottolineato che i produttori europei di auto “stanno affrontando uno svantaggio strutturale rispetto ai loro concorrenti cinesi”. Svantaggio “pari al 40% del costo manifatturiero complessivo”. In particolare, “i prezzi dell’energia” di paesi europei produttori di auto “risultano 5 volte più alti di quelli cinesi”. A ciò si aggiunga che “per quanto riguarda una Gigafactory, il consumo di energia necessario è 10 volte superiore a quello di uno stabilimento produttivo di autovetture”. Ne segue che “l’Europa dovrebbe far scendere i prezzi dell’energia a valori competitivi” sul piano globale, mentre poi dovrebbe mantenere tali prezzi “a livelli costanti e prevedibili”.
Ma non basta. “Il costo della batteria”, attualmente, “rappresenta fino al 45% del costo totale del veicolo elettrico”. E si tenga presente, ha aggiunto Elkann, che oggi, in tutto il mondo, “sono attive 263 Gigafactory”. Di queste, ben “214 sono localizzate in Cina, solo 13 in Europa”. Inoltre, “le aziende cinesi hanno il primato del mercato non solo in termini di produzione, ma, soprattutto, di tecnologia”.
Ne segue che “l’impegno della Commissione Europea di mettere a disposizione 1,8 miliardi di euro con l’Industrial Action Plan per produrre batterie a livello europeo” costituisce “uno sforzo iniziale ma non sufficiente a colmare il divario con la Cina”.
Concludendo: secondo Elkann, “tra 20 anni”, il settore “produrrà soprattutto automobili elettriche”. Ebbene, “Cina e Stati Uniti stanno definendo una politica industriale per l’auto, con normative e risorse orientate a raggiungere i loro interessi nazionali. Noi auspichiamo che ciò possa accadere presto anche in Europa. Perché in questo mestiere definire un quadro chiaro è fondamentale per tutti gli attori: costruttori, sindacati, fornitori, concessionari e clienti”.
Morale della favola. Le difficoltà incontrate in Italia dall’industria dell’auto, ovvero da Stellantis e dalla componentistica auto, sono rimaste le stesse descritte da Tavares nell’ottobre scorso. Semmai, nel corso degli ultimi mesi del 2024 e dei primi mesi del 2025, si sono via, via aggravate su scala europea, a partire dalla Germania. E c’è il rischio che si aggravino ancora, anche a causa del marasma economico innescato dai dazi di Trump.
La novità, già visibile nell’incontro pentangolare ospitato dal Mimit nel dicembre scorso, è che Stellantis ha cambiato strategia. E ciò, almeno per adesso, non nel senso industriale e quindi produttivo del termine, ma nel senso politico. Basta frizioni col Governo italiano. Semmai, anzi, una mezza alleanza, volta a fare pressioni se non congiunte almeno convergenti sull’Unione europea. Seguendo la strada già battuta, con un successo almeno parziale, rispetto alla questione delle multe per i produttori di auto che avessero mantenuto una percentuale interna troppo alta di vetture a motore endotermico, rispetto al totale delle auto prodotte. Multe che, anche su impulso dell’Italia, non sono state abolite ma, almeno, rinviate.
La questione, però, è complessa. Perché Stellantis non è un’azienda italiana, ma una multinazionale che è giuridicamente basata in Olanda e che ha al proprio interno, a causa dell’origine Peugeot di circa metà del suo capitale, una presenza dello Stato francese. Ovvero di uno Stato che assicura, alle aziende industriali attive sul suo territorio, costi energetici inferiori a quelli che devono pagare le imprese attive in Italia. E questo è un aspetto del rompicapo Stellantis su cui, indovinate un po’, John Elkann ha preferito non attrarre l’attenzione dei parlamentari italiani.
Per oggi possiamo fermarci qui. Restando in attesa della nomina del nuovo Amministratore delegato di Stellantis. Nomina che, secondo quanto è stato più volte annunciato, dovrebbe essere fatta entro il prossimo giugno.
@Fernando_Liuzzi