La crisi è stata durissima e ha lasciato gravi danni, ma il paese ha reagito con compostezza e su questo dato sarebbe bene far leva per far ripartire l’economia in un percorso condiviso che coinvolga tutte le parti sociali e ripristini la coesione sociale. E’ questo l’appello di Pierluigi Stefanini, presidente Unipol e per l’Alleanza per lo sviluppo sostenibile, che non si nasconde le difficoltà di un processo del genere, ma sa che è obbligato, come è obbligato che si realizzi un grande gioco di squadra che coinvolga tutti i settori dell’economia. Solo così infatti sarà possibile eliminare i nodi della nostra società che finora non siamo stati in grado di eliminare. Perché necessariamente dovremo fare i conti con chi ha le maggiori difficoltà, con chi sta peggio.
Stefanini, è in pericolo la coesione sociale nel nostro paese?
Difficile fare previsioni. Tutti ci aspettiamo che questa situazione di pandemia finisca in tempi brevi e che le conseguenze negative possano essere riassorbite con rapidità. Certo, interi settori, del commercio, del turismo, dei servizi, ma anche della manifattura, hanno subito gravi danni, hanno perduto tanto fatturato. La paralisi è stata devastante, sono in ballo centinaia di migliaia di posti di lavoro. E’ dovere di tutti cercare di trovare le forme di tutela e assistenza in grado di farci ripartire.
Il paese finora ha retto bene.
Sì, ha retto e reagito con compostezza e con senso di responsabilità. Questo è un aspetto da sottolineare. Per questo credo che le diverse organizzazioni che hanno un ruolo generale nel paese, le istituzioni, ma anche le forze economiche e sindacali, dovrebbero fare leva su questa reazione composta per creare i giusti collegamenti affinché le prospettive di ripresa possano basarsi su assunzioni di responsabilità, su approcci di natura altruistica, sulla consapevolezza che si può fare molto insieme.
Deve valere il principio della condivisione?
Credo che questa sia la via da seguire, come giustamente ha detto Mattarella. Mai come oggi c’è stato bisogno di insistere su questo terreno.
Non è facile riuscirvi.
E’ chiaro che le differenze ci sono, le complessità ci sono, i conflitti ci sono, è fisiologico, ma per quello che può la classe dirigente nel suo insieme ha il dovere di incoraggiare percorsi, modalità, obiettivi che spingano alla condivisione. E’ indispensabile un percorso condiviso, che coinvolga le parti sociali, che le inviti anche ad assumersi le loro responsabilità. Non è possibile che ci si limiti a chiedere al governo di intervenire per risolvere i problemi. Ciascuna forza deve indicare cosa può dare, a certe condizioni, per la ricostruzione del paese.
Un contratto sociale?
Non so se definirlo contratto sociale o patto per lo sviluppo sostenibile, non so se può passare attraverso gli stati generali, le modalità pratiche saranno individuate, mi auguro nei prossimi giorni. Ma è importante che attorno a un tavolo autorevole, significativo, le principali parti del paese possano sedersi e costruire delle soluzioni condivise.
Tutti devono partecipare a questo sforzo?
Senza eccezioni. Le forze imprenditoriali per quello che hanno da mettere sul tavolo, le forze sindacali per il ruolo che hanno, il mondo della finanza e delle assicurazioni, per costruire assieme una prospettiva di rilancio, di ripresa capace anche di affrontare quei nodi che sono sul tavolo da troppo tempo e che non siamo riusciti come paese a risolvere.
Dalle sue parole emerge un moderato ottimismo sulla possibilità che emerga questo impegno forte.
Sono convinto che per questa strada sarà possibile realizzare i risultati necessari. Anche perché ci auguriamo tutti che le risorse europee siano effettivamente erogate ai paesi maggiormente in difficoltà, ma allora il paese deve essere pronto a destinarle, erogarle, indirizzarle e a fare in modo che si crei innanzitutto lavoro, che si metta al riparo la parte industriale importante del paese. Ed è necessario mobilitare allo stesso tempo risorse pubbliche e private. Solo così sarà possibile assicurare al paese un futuro sostenibile.
Dove sarà necessario dirigere le risorse esistenti?
Voglio fare tre esempi. Il primo. E’ stato annunciato dal ministro della Salute un enorme investimento sulla sanità, con investimenti pubblici e con il concorso di investimenti di soggetti privati. Se si lavora bene si possono fare cose importanti insieme. Penso al terzo settore, alle cooperative sociali e ad altre forme associative, possono essere un terreno fertile e ricco di contributi per dare alla sanità una diversa prospettiva, perché sia in grado di reggere eventi traumatici come quelli che abbiamo vissuto e che purtroppo stiamo ancora vivendo.
Il secondo?
Il campo dell’insegnamento, della formazione, della ricerca, della formazione permanente. Mi auguro che il governo e le altre forze decidano, dopo tanto tempo che lo stiamo dicendo, di investire con grande energia e qualità in questo campo perché avere risposte e mobilitare spazi di lavoro. Non si tratta solo di spendere soldi, ma di investirli per avere nel tempo un beneficio distribuito ed equo.
La terza indicazione?
Riguarda il metodo di lavoro. Da troppo tempo noi fatichiamo a focalizzare le nostre energie sull’obiettivo della creazione di lavoro. Abbiamo bisogno di progettare assieme prospettive, interventi, soluzioni, opportunità lavorative. Ed è fondamentale in questo quadro il gioco comune, nel quale ognuno partendo dal settore di appartenenza e condividendolo con altri, trovi la strada e le occasioni perché questa possibilità si possa realizzare. Partendo ciascuno dall’ottica della propria filiera, studiando bene, approfondendo bene, coinvolgendo le diverse competenze che questi settori possono esprimere possiamo immaginare degli sviluppi per ogni filiera, facendo perno su grandi realtà industriali, che purtroppo non sono tante, e attorno a queste costruire un contesto, un ambiente, occasioni nelle quali creare lavoro.
Le prospettive sono chiare, il problema è agire. Lei crede che nel nostro paese esista un problema di classe dirigente?
Avverto una difficoltà, che purtroppo ci portiamo appresso da tanto tempo e non riusciamo a risolvere, quella di avviare davvero un gioco di squadra. E’ importante essere consapevoli dei propri mezzi, dei propri ruoli, delle proprie responsabilità, ma è indispensabile avere la voglia, la disponibilità, l’apertura, la determinazione di farlo con gli altri.
Questo non accade in Italia?
In alcune aziende si comincia a sperimentare questo concetto del valore condiviso. Se produco un bene e il valore di questo bene lo condivido con gli altri, che possono essere i lavoratori, i clienti, le comunità nelle quali l’impresa agisce e opera, così creo un meccanismo intelligente, virtuoso, di prospettiva. Nella quale faccio del bene all’azienda, perché produco risultati economici soddisfacenti, ma lo faccio condividendo questo bene con altre persone. Così si possono ridurre le disuguaglianze nel paese.
E aiutare la coesione sociale.
Che è indispensabile perché necessariamente dovremo fare i conti con chi sta peggio, con chi ha maggiori difficoltà, con le fragilità, che purtroppo sono aumentate. Una grande impresa, un settore importante possono aiutare ad alzare lo sguardo. Alcune imprese lo stanno già facendo.
Lo spirito cooperativo può essere determinante per la ripresa?
Comunque sia, è un concetto di grandissimo valore prospettico. Mai come oggi assume centralità il terreno della cooperazione, a tutti i livelli, istituzionali, economici, imprenditoriali, culturali, sindacali. Se spostiamo il cimento su questo terreno abbiamo spazi di crescita davvero notevoli per il paese. Ma dobbiamo avere voglia di farlo, l’umiltà di metterci in discussione e di provarci davvero.
Massimo Mascini