La frase chiave è a pagina 20: “Oggi non ho richieste né intendo lamentarmi con il Governo di alcunché”. E’ la più sorprendente, nell’ultima relazione di Giorgio Squinzi da presidente di Confindustria, perche’ e’ sicuramente la prima volta, nella storia degli ultimi decenni, che l’associazione degli industriali si rivolge a un governo in carica in modo così lusinghiero: tutte le richieste soddisfatte, nessuna lamentela per il “servizio”. Governo promosso, e a pie i voti.
Non si tratta solo di un inciso diplomatico, rispetto a un esecutivo il cui capo, tra l’altro, oggi è assente dalla platea. Matteo Renzi avendo preferito, alle assise degli imprenditori, la compagnia di un solo manager, più noto e probabilmente quello di maggior successo, Sergio Marchionne. Non è solo un inciso perché all’affermazione secca, ‘nulla da chiedere, nulla da lamentare’, Squinzi fa seguire un elenco preciso e puntiglioso di quanto effettivamente ottenuto in poco più di un anno da che Renzi è a Palazzo Chigi. “Le riforme avviate e alcune misure di politica economica adottate testimoniano del lavoro svolto dal Governo e, lasciatemi orgogliosamente dire, sono una cifra importante anche dell’impegno di Confindustria in favore delle imprese”, dice il presidente degli industriali. E quantifica: “La dimensione degli interventi avviati ne testimonia meglio il valore: 40 miliardi di soldi nostri che la pubblica amministrazione ci ha finalmente pagato, anche se il meccanismo non è certo a regime, 5,6 miliardi di riduzione dell’IRAP, 2,6 miliardi di abbattimento degli oneri sociali nel 2015, la moratoria sui debiti bancari che da sola vale una finanziaria.”
E poi ci sono i vari provvedimenti, elencati uno per uno: “il Decreto Poletti e il Jobs Act che finalmente, dopo anni, ci allineano ai nostri competitori europei in materia di lavoro; la delega fiscale che scrive le regole di un fisco diverso; l’alternanza scuola-lavoro, il credito d’imposta sulla ricerca, il patent box e l’impegno sull’internazionalizzazione.” Insomma, tutta l’agenda confindustriale è stata esaudita. L’unica cosa ancora da chiedere è quella di continuare così: “non smarrire la determinazione”, invoca Squinzi, perché ancora c’è molto da fare per “rinnovare” il paese.
Ovviamente, a voler cercare il pelo nell’uovo qualcosa su cui mugugnare lo si trova sempre. Ed ecco, dunque, la critica a quei provvedimenti che ‘’all’estero faccio fatica a spiegare’’. E tra questi, la nuova legge che stabilisce i reati ambientali e il nuovo falso in bilancio appena varato dal governo. Un lapsus confindustriale di non poco peso, quest’ultimo: perché, al contrario di quanto afferma Squinzi, all’estero era piuttosto difficile spiegare il contrario, e cioé come fosse possibile che un paese come l’Italia non prevedesse il reato di falsificazione dei bilanci, come avviene in tutto il mondo civile.
Ma sono dettagli. Il succo è che stavolta la Confindustria è davvero molto soddisfatta dell’inquilino di Palazzo Chigi. Una prova è, per esempio, nel comunicato stampa con cui l’associazione, alcune settimane fa, ha salutato la depenalizzazione dell’abuso di diritto (reato sul quale il fisco in questi anni ha inchiodato i comportamenti elusivi di moltissime grandi imprese e banche) contenuta nella nuova delega fiscale: una lunga nota piena di un caldo entusiasmo che non si era riscontrato nemmeno per l’abolizione dell’odiato articolo 18.
Manca completamente nella relazione, del resto, qualunque accenno al lato “oscuro’’ del capitalismo nazionale: nemmeno un cenno agli scandali relativi a fatti di corruzione, a differenza dello scorso anno, quando Squinzi aveva tuonato dalla tribuna: “cacceremo i corrotti”. Quest’anno che la corruzione e i danni che apporta all’economia, e’ diventata il tema centrale degli interventi di tutti, dal presidente Mattarella a Papa Francesco, fino al governatore di BANKITALIA Ignazio Visco, da Confindustria niente, nemmeno un cenno. Silenzio anche sul crimine organizzato, che ha ormai colonizzato il nord Italia, e silenzio sull’evasione fiscale, altra piaga che devasta i conti pubblici. L’unico accenno al tema fisco e’ di tutt’altro segno: “la pressione fiscale resta a livelli intollerabili per cittadini ed imprese, il vero ostacolo a nuovi investimenti e alla crescita duratura”.
Altri ostacoli alla crescita le rendite e i rentier, “ da snidare e sconfiggere, per lasciare spazio a equità, alla competizione e al mercato”; la spesa del welfare, da orientare “a chi ne ha veramente bisogno’’, cioè i poveri: gli altri, che paghino sanità e scuola privata. Sul welfare, in particolare, Squinzi chiede di avviare “un approfondimento complessivo”: sugli ammortizzatori sociali e sulla bilateralità, sulle politiche attive, sui servizi del lavoro e una formazione adeguata alle evoluzioni dei mercati e, ovviamente, sulle pensioni. Sulla sanita, afferma che “La questione della salute è di capitale importanza e non può essere affrontata che in una logica d’innovazione di sistema. I consueti tagli alla componente privata, per fare fronte alle continue necessità di bilancio delle Regioni, non fanno che mettere a repentaglio un asset fondamentale dell’economia italiana e non danno nulla in termini di efficienza del sistema ed equità di accesso alle cure”. L’obiettivo, e’ l’”efficienza dei servizi e di reale esigibilità di un diritto fondamentale come la salute. Tutto ciò si può costruire solo in una moderna e nuova intesa tra pubblico e privato”.
E ancora, la riforma della burocrazia, la revisione e riduzione della spesa pubblica, la liberazione del mercato “dalle rendite monopolistiche’’ (come se non sedessero in Confindustria anche loro, ndr), e infine “la presenza eccessiva della mano pubblica in servizi che potrebbero essere aperti alla concorrenza nell’interesse di tutti, in primo luogo dei cittadini”.
Ma soprattutto, il presidente degli industriali si scaglia contro la cultura “anti industriale’’, che serpeggia nel paese: dimenticando, osserva, che proprio il tessuto delle imprese e’ quello che sostiene sulle sue spalle ogni peso. Sarà, ma risuonano ancora nelle orecchie le parole del governatore di Bankitalia, due giorni fa, quando rimprovera l’arretratezza degli investimenti in innovazione delle imprese nazionali. E tuttavia, per Squinzi se ritardi ci sono, sono causati proprio da un contesto negativo, che oppone a chiunque abbia una idea innovativa un “comitato, un ricorso al tar”.
E poi ci sono i sindacati. Ai quali Squinzi si rivolge con un avvertimento e un invito. L’avvertimento e’ riferito al Jobs act: “sarebbe un errore non condividere questa scelta, e sarebbe un danno anche peggiore subire campagne sindacali, azienda per azienda, per riconquistare con la forza ciò che secondo qualcuno è stato tolto con la legge”. L’invito, invece, è a sedersi al tavolo per rinnovare le relazioni industriali: “abbiamo fatto un importante accordo sulla rappresentanza”, ora si tratta di fare un altro passo avanti riformando la contrattazione: “Dobbiamo recuperare competitività e la contrattazione collettiva deve sostenere gli sforzi che si compiono in questa direzione. I legami fra dinamica dei salari e miglioramenti della produttività devono essere resi più forti e stringenti. Questo tipo di contrattazione è utile alle imprese e alle persone che vi lavorano e i contratti collettivi nazionali devono incoraggiare ad andare in questa direzione. La funzione del contratto collettivo nazionale di categoria è di accompagnare con intelligenza questo processo, evitando che le imprese siano costrette a sommare i costi di due livelli di contrattazione.” Nulla di nuovo, anzi: la solita vecchia questione che si propone, senza soluzione, ormai da un ventennio.
Infine, a chi afferma che le rappresentanze sono arrivate ormai al capolinea, Squinzi risponde difendendole con passione: “la domanda a essere rappresentati e tutelati è tutt’altro che in via di estinzione. In un’epoca dominata dalla caduta di barriere, commerciali, politiche e culturali, la capacità di leggere i fenomeni complessi nella nostra economia e società, la competenza nell’interloquire con le istituzioni, di rappresentare sintesi di elevato livello, resta e anzi sarà sempre più un elemento decisivo dell’associazionismo e del processo democratico moderno”.
E dunque, lunga vita a Confindustria, e anche ai sindacati: del resto, come dicevano i latini, simul stabunt simul cadent. Quanto a lui, Squinzi, può ritenersi soddisfatto del suo mandato. Le grandi riforme interne sono state realizzate, al suo successore il compito di portarle avanti, goderne i frutti, quali che siano.
Nunzia Penelope