Non ha mai citato la parola concertazione Giorgio Squinzi nella sua relazione all’assemblea di Confindustria. Giustamente, dal momento che ormai nessuno la vuole più, è considerata per lo più lettera morta. Meno giustamente se si pensa che Confindustria non ha come unico scopo statutario quello di interloquire con il governo sui temi della politica economica, ma negli ultimi venti anni questo è stato tra gli impegni più pressanti, e importanti, della confederazione. Aveva quindi tutte le ragioni per parlarne e forse qualcuno dei suoi associati voleva sapere cosa ne pensava di questo essere così platealmente snobbati dal nuovo presidente del Consiglio.
Ma ha preferito non farvi cenno. Forse lo ha ritenuto inutile, visto come è stato accolto il riferimento di Susanna Camusso a una “torsione democratica” fatta da Renzi nei confronti delle parti sociali con il rifiuto di convocarli e discutere con loro dei massimi sistemi dell’economia. Forse, e sembra la spiegazione più evidente, perché è un uomo che ama soprattutto stare con i piedi per terra, non ama i voli pindarici, parla delle cose che si possono fare e non di quelle vietate.
Non è un caso se le note più alte le ha toccate, nella sua relazione, quando ha parlato dell’1,5 miliardi di persone che tra 15 anni faranno parte della classe media in tutto il mondo, mezzo miliardo delle quali nei paesi emergenti. Tutta gente che ama il bello e il buono, le cose che noi italiani sappiamo fare meglio, per cui è evidente che nel futuro, nemmeno tanto lontano, ci saranno da fare affari, tanti affari. Si parlava di cose reali e questo discorso lo ha sentito fino in fondo suo.
Al sindacato ha riservato poche parole e non tutte gradite. Squinzi ha un grande merito agli occhi dei rappresentanti dei lavoratori, quello di aver sbloccato il negoziato sulla contrattazione che si era impantanato e di aver raggiunto assieme degli accordi importanti. Ma non si è voluto soffermare più di tanto sugli allori, cercando semmai di capire come procedere. Il suo incitamento è stato quello di andare avanti, di non fermarsi. Gli accordi, ha detto, sono importanti, ma non devono restare pezzi di carta, bisogna viverli fino in fondo. Poi ha parlato di eterne liturgie, critica evidente alle lungaggini del sindacato, che ha invitato proprio per questo a guardare a quello che accade nel mondo.
Tutto questo lo ha portato a lodare il decreto Poletti, a respingere l’idea del contratto unico con tutele crescenti, a privilegiare l’idea di una contrattazione svolta eminentemente in fabbrica, legando il salario sempre più al merito e alla realtà dell’azienda. Cose che non sono piaciute tanto ai suoi partner di negoziato, tanto è vero che Susanna Camusso lo ha subito criticato.
Un segnale che è finito il bon ton e il prossimo futuro sarà caratterizzato dalla contrapposizione? C’è proprio da sperare che non sia così, anche perché il futuro delle relazioni industriali sembra sempre di più collocato in azienda, a contrattare condizioni e organizzazione del lavoro, ma se si parte male c’è da credere che non ci sia più tanto futuro non solo per la concertazione, ma anche per la contrattazione.
Quello che interessa davvero a Squinzi, e l’ha detto chiaramente, è che Renzi adesso che ha avuto il consenso del paese, vada avanti come un treno con le riforme. Gli vanno bene tutte al presidente di Confindustria, vuole solo che siano fatte in fretta. Perché il suo assioma è preciso: le riforme portano crescita, la crescita porta lavoro, senza lavoro il paese deperisce, le divisioni prevalgono, tutto si ferma. E c’è ancora tanto da fare per recuperare quanto il paese ha perso con questa lunghissima crisi.
L’elenco delle cose da fare non ha esaltato nessuno, perché sono le cose di sempre, le abbiamo sentite a tutte le assemblee di Confindustria degli ultimi anni: ridimensionare la spesa corrente, tagliare gli incentivi improduttivi, ridurre il perimetro pubblico, rendere efficiente la pubblica amministrazione, abbassare la pressione fiscale. Forse qualche indicazione diversa poteva venire, ma questo non è importante. Lo è di più il fatto che Squinzi non si sia posto di fronte a Renzi come un interlocutore; si è limitato a dire che adesso che ha avuto i voti deve darsi da fare.
Massimo Mascini