Un rudimentale manifesto. Scritto a stampatello, una riga rossa e una nera, su un lungo foglio bianco, attaccato ad un muro scrostato. “No è no. Se sono ubriaca, non è consenso. Se sono sola, non è consenso. Il mio silenzio non è consenso. Il modo in cui mi vesto non è un invito. Il sesso senza consenso è stupro”. Qualche vile ometto ha provato a strapparlo ma la colla è stata più forte della furia distruttiva. E allora l’offesa e risentita ottusità dell’ignoto bastardo si è sublimata in uno slogan osceno, tracciato in basso a destra, rivelativo di una patologica e impotente minorità maschile: “Dici donna, dici troia!”.
Sostiene Linda Laura Sabbadini: “La violenza sulle donne non è altro che la volontà di possesso e di dominio da parte dell’uomo. È l’espressione più becera della cultura patriarcale e si scatena contro le donne di tutte le classi sociali, in tutte le zone d’Italia, senza particolari specifiche differenze”. Ma quanto è radicata questa cultura? Quanti sono coloro che condividono le farneticanti idee muscolari e ridicolmente virili del generale Vannacci?
In sostanza, che Paese siamo?
Due editoriali sull’Avvenire ci aiutano a definire il contesto economico e sociale. “Gli scricchiolii strutturali” è il titolo di quello vergato da Mauro Magatti. Il quale parte dalla situazione dei conti pubblici: “Quest’anno, con il debito al 145 per cento del Pil, il nostro Paese spenderà 75 miliardi per gli interessi, contro i 52 per l’istruzione e i 60 per le politiche sociali”. Ecco il “freno che, assorbendo una quantità enorme di risorse, è la vera causa della non crescita” e al quale sono inchiodate quattro crisi: la prima è quella demografica; la seconda, l’aumento delle diseguaglianze; la terza riguarda il deficit educativo; la quarta comporta la disgregazione del territorio.
L’autore dell’articolo ritiene che “il Paese regge perché c’è una parte, non piccola ma nemmeno maggioritaria, di cittadini che continua a dare il meglio di sé”. Una seconda parte, piuttosto ampia e trasversale, ha tirato i remi in barca, estrae valore da quel che può e utilizza qualsiasi posizione di rendita, compreso lo sfruttamento degli immigrati. “Infine -conclude lo studioso– c’è una terza parte che, di fronte alle evidenti difficoltà, si rifugia nell’odio. Sono tanti quelli che gridano, imprecano, e, sempre più frequentemente usano la violenza. Dove lo straniero e il diverso sono i bersagli più facili su cui scaricare la rabbia”.
Ci permettiamo di chiosare che i due ultimi gruppi, a nostro parere, si intersecano e si amalgamano tra di loro. Dal Risorgimento alla Resistenza la storia migliore è quella fatta da una minoranza. L’illuminista Mario Pagano, il Platone di Napoli, impiccato tra gli applausi degli scugnizzi dopo la caduta della Repubblica partenopea, andrebbe eletto a simbolo di questa lotta che continua ancora.
L’altro editoriale cui accennavamo attribuisce l’attuale degrado, comprese punte estreme come Caivano, a due progressivi smottamenti: la classe media che precipita sempre più in basso e il senso stesso dell’esistenza che vacilla e perde i propri valori di riferimento. Da qui, argomenta Leonardo Becchetti, ecco “l’imbarbarimento del nostro dialogo civile”.
Al Quarticciolo, il quartiere romano del mitico gobbo al quale Carlo Lizzani dedicò un mirabile film, una signora di novant’anni viene brutalmente scippata. Alcune persone acchiappano il malvivente e lo pestano a sangue. Una donna plaude al linciaggio e riprende la scena con il telefonino ma all’improvviso si mette a gridare perché teme che danneggino la sua macchina parcheggiata in strada. Si scoprirà poi che i giustizieri sono spacciatori della zona, i quali volevano difendere dall’intruso la propria piazza. L’unica innocente, in un tale trionfo di contraddizioni, è la vecchina. Almeno fino a prova contraria.
A Grosseto inaugurano via Giorgio Almirante. Ricomincia il Grande Fratello. Torna Bruno Vespa. Allegria.
Marco Cianca