Successo di immagine, flop nella sostanza. In poche parole questo è il risultato dell’incontro tra Giorgia Meloni e Donald Trump, grandi elogi reciproci, “una persona eccezionale” ha definito il Presidente la nostra premier; “insieme faremo l’Occidente più forte”, ha aggiunto Meloni. Ma oltre ai sorrisi, ai complimenti e all’ostentata stima bilaterale, non si è visto altro. Se non un invito a venire in Italia per incontrare anche l’Unione europea e una vaghissima risposta del Capo degli Usa, della serie devo pensarci un po’.
Sui dazi per esempio, nulla di fatto: Trump ha ribadito che lui non cambia idea e che quando scadrà la proroga di tre mesi, le tasse all’export europeo verso gli Stati uniti saliranno vertiginosamente. Stesso discorso sull’Ucraina, tema sul quale Meloni ha insistito sulla sua posizione di appoggio a Kiev e di condanna all’invasione russa, mentre Trump ha ripetuto che lui non ama Zelensky e nemmeno Putin, anche se il dittatore russo non gli dispiace poi troppo. Dopo di che ha pure ottenuto la garanzia che l’Italia comprerà più gas ed energia dagli Usa, pagandolo ovviamente un prezzo più alto di quello che potrebbe ottenere se si rivolgesse ad altri Paesi, oltre al fatto che questo impegno relega in un angolo lo sviluppo delle energie rinnovabili. Ovviamente Meloni promette anche un aumento, seppur limitato, delle spese militari portandole al 2 per cento del Pil , Trump vorrebbe di più ma per ora si accontenta. I due poi si trovano in perfetta sintonia contro la cultura Woke, questione sollevata proprio dalla nostra premier: “E’ l’anniversario dell’accordo che permise a Cristoforo Colombo di fare il suo viaggio, giusto per ricordare che condividiamo oggi un’altra lotta: quella contro la cultura Woke”.
Com’era facilmente prevedibile, il viaggio è servito più a Meloni che all’Italia e all’Europa: il nostro Paese non ottiene nulla, anzi semmai paga dazio (nel vero senso della parola), il nostro Continente nemmeno, non a caso Bruxelles insiste sulla controffensiva economica per rispondere all’attacco economico americano. La premier invece può vantarsi per qualche giorno – o forse qualche ora – di essere l’interlocutore privilegiato degli Stati uniti: contenta lei…
Ma da domani dovrà occuparsi di nuovo delle questioni interne, che non sono affatto un terreno agevole per lei. I problemi sociali, dalla sanità in giù, restano tutti drammaticamente aperti, e al momento non si intravvede alcuna soluzione proposta dal governo. Quelli internazionali non ne parliamo, la fantomatica tregua in Ucraina non è ancora pervenuta e chissà se lo sarà mai, la condanna dell’ultima strage russa non è stata votata dagli Usa né al G7 né all’Onu; la guerra a Gaza continua a provocare morti, feriti e distruzioni senza che nessuno, a cominciare dall’Europa, sia capace di fermarla o almeno attenuarla. L’elenco delle cose che vanno di male in peggio sarebbe troppo lungo, ma la speranza – come si dice – è l’ultima a morire. E allora speriamo che il Papa parli più spesso e più spesso prenda iniziative come quella dell’altro giorno quando è andato a trovare i detenuti di Regina Coeli, anche se al momento pensare che “gli ultimi saranno i primi” è totalmente irrealistico. Purtroppo, i poveri resteranno poveri ancora a lungo, gli ucraini continueranno a vivere e a morire sotto le bombe di Putin, i palestinesi che riusciranno a sopravvivere non avranno mai un loro Stato, i migranti non si salveranno dai naufragi oppure saranno relegati nei Centri italiani o albanesi…
Però sta arrivando la Pasqua, non risorgerà nessuno ma possiamo consolarci con colombe dolci e uova al cioccolato. Tanti auguri.
Riccardo Barenghi