Prestazioni di lavoro agile svolta in modo continuo e programmato
Salvo il caso in cui la prestazione di lavoro agile sia svolta in modo occasionale e, dunque, priva dei caratteri di continuità e programmazione, per individuare gli obblighi in materia di salute e sicurezza che gravano in capo al datore di lavoro è necessario non solo considerare quanto previsto dalla l. n. 81/2017, ma anche il contenuto del Testo Unico sulla salute e sicurezza. È questo il caso di una prestazione di lavoro agile svolta a distanza in maniera continuativa, cioè organizzata in maniera stabile e programmata, con frequenza periodica e regolare.
Il Testo Unico infatti definisce il lavoro svolto a distanza in maniera continuativa, prescindendo dalla sua riconducibilità alla fattispecie di telelavoro, di lavoro agile o di altre forme di lavoro da remoto non nominate.
Art. 3, comma 10, d.lgs. n. 81/2008
A tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico, compresi quelli di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 70, e di cui all’accordo-quadro europeo sul telelavoro concluso il 16 luglio 2002, si applicano le disposizioni di cui al Titolo VII, indipendentemente dall’ambito in cui si svolge la prestazione stessa. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al Titolo III (…) Il datore di lavoro garantisce l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore a distanza rispetto agli altri lavoratori interni all’azienda, permettendogli di incontrarsi con i colleghi e di accedere alle informazioni dell’azienda, nel rispetto di regolamenti o accordi aziendali.
Per questo motivo, quando la prestazione di lavoro è svolta a distanza in modo continuativo (organizzata in maniera stabile, con frequenza periodica e regolare), il datore di lavoro:
- deve effettuare la valutazione dei rischi per: a) la vista e gli occhi; b) la postura e l’affaticamento fisico e/o mentale; c) le condizioni ergonomiche e di igiene ambientale;
- deve garantire ai lavoratori una interruzione dell’attività che implichi l’uso dei videoterminali mediante pause o cambiamento di attività (in assenza di accordi collettivi sul punto, al lavoratore deve essere garantita una pausa di quindici minuti ogni centoventi di attività);
- deve garantire ai lavoratori la sorveglianza sanitaria con specifico riferimento ai rischi per la vista e per gli occhi, nonché per l’apparato muscoloscheletrico;
- deve garantire ai lavoratori una adeguata formazione e informazione sulle misure di prevenzione applicabili al posto di lavoro;
- è ritenuto responsabile delle attrezzature di lavoro fornite al lavoratore, direttamente o per il tramite di terzi;
- ha accesso al luogo in cui viene svolto il lavoro nei limiti della normativa nazionale e dei contratti collettivi (l’accesso deve essere subordinato al preavviso e al consenso del lavoratore qualora la prestazione sia svolta presso il suo domicilio);
- deve adottare misure dirette a prevenire l’isolamento del lavoratore che svolge la prestazione a distanza.
La responsabilità in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori rimane in capo al datore di lavoro, il quale deve tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore a prescindere dal luogo di svolgimento della prestazione lavorativa.
La definizione di “luogo di lavoro”
Ecco una rassegna di giurisprudenza (estratta da “Adapt: Lavoro agile e nuovi ambienti di lavoro”, Guida pratica, giugno 2021”):
Per “posto di lavoro” deve intendersi non soltanto il luogo prestabilito ove il lavoratore attende normalmente all’espletamento delle mansioni affidategli, ma anche tutti quegli altri luoghi ove il lavoratore medesimo, sia pur in via eccezionale, possa accedere per soddisfare esigenze comunque inerenti alla sua attività lavorativa (Cass. pen., sez. IV, sentenza 11 ottobre 1979, n. 2371).
Per luogo di lavoro deve intendersi non solo il complesso dei luoghi in cui si svolge la vera e propria attività lavorativa, ma anche qualsiasi altra zona in cui i lavoratori passano o debbano recarsi per incombenze di qualsiasi natura in relazione alla propria attività o comunque tutte le località dove il lavoratore svolga la sua attività (Cass. pen., sez. IV, sentenza 1° marzo 1979, n. 8235; nello stesso senso, Cass. pen., sez. IV, sentenza 3 ottobre 1980, n. 13400 e, in precedenza, Cass. pen., sez. IV, sentenza 6 ottobre 1970, n. 1591; Cass. pen., sez. IV, sentenza 30 giugno 1983, n. 8149).
È necessario considerare l’intero ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa, compreso quello nel quale si deve lavorare od accedere saltuariamente nonché ogni spazio in cui l’attività lavorativa si sviluppa ed in cui, indipendentemente dall’attualità dell’attività, coloro che sono autorizzati ad accedere nel cantiere e coloro che vi accedono per ragioni connesse all’attività lavorativa, possono recarsi o sostare anche in momenti di pausa, riposo o sospensione del lavoro (Cass. pen., SS.UU., sentenza 30 gennaio 1991, n. 1003; Cass. pen., sez. IV, sentenza 17 marzo 1992, n. 2989).
Il “luogo di lavoro” tutelato dalla normativa antinfortunistica è qualunque posto nel quale concretamente viene svolta l’attività lavorativa (Cass. pen., sez. IV, sentenza 18 maggio 2011, n. 19553).
Ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di luogo di lavoro a condizione che ivi sia ospitato un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro (Cass., sez. V, 5 ottobre 2017, n. 45808).
Pasquale Dui