Da quando il Covid 19 è piombato sul lavoro la disciplina del potere di controllo del datore di lavoro nella questione sul controllo a distanza dei lavoratori, ha fatto affiorare l’esigenza di affrontare il complesso rapporto tra l’interesse datoriale ad un controllo sull’attività dei dipendenti, attraverso la tecnologica che rischia di essere invasiva come l’installazione di strumenti di videosorveglianza, piattaforme virtuali, geolocalizzazione dei veicoli aziendali e il diritto dei lavoratori al rispetto della dignità e della riservatezza e soprattutto ai tempi di riposo pervisti dal contratto. Il potere di controllo è regolato dallo Statuto dei lavoratori (legge 300/1970) che ha delineato limiti entro i quali è consentito il controllo del datore di lavoro o chi da lui delegato con specifiche mansioni, nel controllo diretto o a distanza, ovvero quella particolare forma di controllo eseguita in modalità “remoto”, con strumenti elettronici, pur in assenza dunque del datore di lavoro o del personale di vigilanza. L’impiego delle moderne tecnologie informatiche, ha radicalmente mutato i meccanismi di controllo e soprattutto il ricorso sia al telelavoro ma anche e di più al lavoro cd agile e in tempi recentissimi tale circostanza ha allertato il legislatore a predisporre una regolamentazione capace di razionalizzarne le modalità di esercizio, coniugando l’interesse datoriale alla vigilanza ed il diritto del lavoratore al rispetto della liberta, dignità e riservatezza nonché il diritto a svolgere le proprie mansioni in un ambiente lavorativo adeguato .Lo Statuto dei lavoratori nel 2015 con il Jobs Act ha aggiornato tutta una normativa che ha sostanzialmente bilanciato le posizione soggettive del rapporto di lavoro: da un lato, consentendo al datore di lavoro di ampliare la facoltà di un controllo a distanza sull’attività lavorativa, dall’altro, tutelando il lavoratore, quale soggetto controllato, garantendogli appunto il diritto ad essere informato e reso consapevole sulle modalità attraverso le quali il controllo a distanza si svolge.
Con la riforma del 2015, è chiaro oltre all’ingresso, nel novero delle finalità tipiche e tassative legittimanti l’impiego di strumentazione da cui possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, della tutela del patrimonio aziendale, di dettare puntuali prescrizioni in ordine all’utilizzabilità dei dati acquisiti e all’obbligo informativo del datore di lavoro prevedendo espressamente la possibilità di utilizzare le informazioni acquisite con il controllo, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro come sanzioni disciplinari, per valutare il rendimento del lavoro, a condizione che sia data al lavoratore adeguata ed esaustiva informazione, nel rispetto della normativa in materia di privacy (D.lgs. n. 196/03) e dei principi che governano il trattamento dei “dati personali”, ossia la liceità, la correttezza, la necessità, la determinatezza della finalità perseguita, la pertinenza, la completezza e la non eccedenza.
In ogni caso l’illecita istallazione di un impianto di videosorveglianza affermato dalla Corte di Legittimità, anche con il consenso dei lavoratori dipendenti, ancorché scritto, è insufficiente a legittimare il montaggio di un impianto di videosorveglianza che come tale, è illegittimo e sanzionabile penalmente se non strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, tale da consentire l’accertamento di gravi condotte illecite del lavoratore, purché essa non si declini in “…un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa…”. Con la legge n.181 del 22 maggio 2017 anche l’Italia si è dotata dello smart working, strumento e modalità lavorativa che permette la regolamentazione sul lavoro agile con il fine di miscelare in maniera proficua sia per il datore di lavoro che per il lavoratore il tempo dedicato alle proprie mansioni e il tempo libero in un’ottica di qualità della vita e per ovviare ad impedimenti come ad esempio ha rappresentato il Covid 19 in questi due anni. A tal proposito, durante la pandemia una serie di decreti ha regolamentato con paletti più chiari la legge 181 e l’introduzione dello stato di emergenza a marzo 2020 ha ulteriormente rimescolato le carte. Il 31 marzo 2022 scadrà lo stato di emergenza e già si studia come cambierà il lavoro agile dal 1 aprile.
Certo è che anche a seguito di alcune sentenze in merito si tornerà a condizioni che pongono l’accordo tra le parti come condizione necessaria per accedere al lavoro agile. Il contratto che è secondo il diritto un accordo tra due parti ritorna centrale e si va verso regole più stringenti. Innovativi inoltre sono l’emanazione dei provvedimenti organizzativi “Policy” in cui il datore di lavoro dovrà indicare le finalità dell’installazione, le caratteristiche generali delle tecnologie che intende introdurre, in che misura e con quali modalità verranno effettuati i controlli, i tempi di funzionamento, le modalità con le quali vengono raccolti, gestiti, memorizzati, conservati e distrutti i dati, i soggetti incaricati al trattamento. La Policy, inoltre, dove essere adeguatamente pubblicizzata nei confronti dei lavoratori, mediante affissione sulle bacheche dei luoghi di lavoro o pubblicazione in bacheche elettroniche, oltre che, sottoposta ad aggiornamento periodico. Il social network è qualificabile come quella “speciale” piattaforma virtuale capace di memorizzare, in formato digitale, fatti e dati ed a geolocalizzare e rivelare l’orario di ciascuna azione virtuale compita dall’utente. Esso, pertanto, costituisce un abile strumento idoneo a consentire l’esercizio del potere di controllo a distanza sull’attività lavorativa.
Non di rado, il lavoratore adopera la piattaforma Social come strumento di lavoro: in tali casi, dunque, può accadere che lo stesso lavoratore utilizzi il profilo aziendale per scopi del tutto estranei all’attività lavorativa. Perché i dati possano essere utilizzati è necessario, che il lavoratore venga informato del corretto utilizzo della piattaforma e delle eventuali modalità di controllo a distanza, attuabili dal datore di lavoro. Viceversa, nell’ipotesi in cui il Social non rappresenti uno strumento di lavoro ed il datore di lavoro scruti post, foto ecc. lesive per l’immagine aziendale, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il datore di lavoro, debba sedersi al tavolo di trattativa sindacale e dimostrare che lo svolgimento dell’indagine, sempre che il profilo del lavoratore si accessibile in toto al pubblico, risulti indispensabile per la tutela dei beni immateriali dell’impresa. Altra forma di monitoraggio a distanza è il trattamento dei dati di geolocalizzazione dei veicoli aziendali legittimato per la tutela della sicurezza dei veicoli e dei lavoratori, o addirittura, per la pianificazione tempistica dell’attività lavorativa.
Quando le apparecchiature risultano essenziali o funzionali all’attività, non è richiesto alcuno accordo sindacale o autorizzazione da parte dell’Ispettorato del lavoro , purché il dipendente sia informato della presenza del sistema di geolocalizzazione e della possibilità di disabilitarlo in presenza di attività di natura personale. Oppure nel caso che il sistema di monitoraggio viene adoperato per esigenze organizzative, produttive, di garanzia per la sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, in cui è necessario l’accordo sindacale o, in assenza, l’autorizzazione aziendale.
In buona sostanza lo sviluppo tecnologico e la digitalizzazione delle tecniche lavorative, ha di fatto ampliato considerevolmente il fenomeno dei c.d. controlli a distanza, è fondamentale un chiaro intervento legislativo che sappia tradurre, un ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco.
Alessandra Servidori