Atteso da circa un decennio, le trattative per il rinnovo del contratto dell’istruzione e della ricerca sono ormai in corso. Ma la strada e’ ancora lunga, ed e’ una strada dalla quale – come spiega Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc-Cgil – bisogna ancora rimuovere “anni di polvere” causati dal lungo stallo. Il nuovo contratto, secondo Sinopoli, deve coniugare aumenti salariale e valorizzazione delle competenze e delle professionalità, ripensando in parallelo anche il modello delle relazioni industriali. Punti sui quali, tuttavia, non mancano divergenze con l’Aran.
Sinopoli, a che punto siamo con le trattative?
La realtà delle cose è che sussiste, ancora, una notevole distanza tra le parti. Noi abbiamo spinto affinché ci sia un’accelerazione significativa per arrivare alla firma di un contratto che riguarda un comparto strategico per tutto il paese, che somma scuola, università, enti pubblici di ricerca, conservatori e accademie, perché è in questi luoghi che avviene la formazione e l’educazione alla cittadinanza della persona. Un’accelerazione che però deve tradursi, alla fine, in un buon contratto, che metta al primo posto precise necessità, vista anche l’esiguità delle risorse a disposizione. Ci troviamo a dover rimuovere “anni di polvere” che si sono accumulati a causa del mancato rinnovo contrattuale. Una cosa non facile, considerando anche l’atteggiamento assunto dall’Aran, che sta impostando tutto il discorso del rinnovo partendo dal contratto dei dipendenti della Pa. Stiamo parlando di un contratto che certamente può fare da apri pista, ma che rispecchia un settore del tutto diverso, dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, rispetto a quello dell’istruzione caratterizzato dalle autonomie delle istituzioni e dalla libertà di insegnamento e ricerca.
Riguardo a quelle che lei definisce “necessità”, nello specifico a cosa si riferisce?
Questo rinnovo contrattuale, atteso ormai da un decennio, deve, prima di tutto, valorizzare il personale che opera nel mondo dell’istruzione e della formazione, eliminando le storture che sono avvenute in questi anni. L’altro tema, non meno sentito, è la questione dell’aumento salariale. Abbiamo chiesto e ottenuto di partire da una base retributiva media di 85 euro. È chiaro che con un solo rinnovo non è pensabile di recuperare tutto il potere di acquisto perso. Il nostro intento è quello di allargare poi questa base, attraverso il recupero delle risorse. Il tema retributivo dovrà anche fare da traino verso una riqualificazione delle professionalità. Quello che dobbiamo capire è che stiamo parlando di un settore che presenta delle necessità da affrontare – appena indicate – che sono trasversali, alle quali si affiancano priorità specifiche di ogni comparto.
Mi spieghi meglio.
Nella scuola si sono verificate delle situazioni, a seguito dei cambiamenti introdotti con la legge 107, la riforma della buona scuola, che riteniamo assolutamente distorsive per tutto il comparto: come l’assegnazione, ai dirigenti scolastici, di prerogative che non devono avere e che fanno anche difficoltà a gestire. Basti pensare a tutto il sistema dei bonus, che vengono assegnati in modo unilaterale, e che si basano sul falso assunto che premiare le singole performance dei docenti, possa innescare una ricaduta positiva su tutto il comparto. Quello che si è alimentato è, invece, un clima di competitività, che non rispecchia lo spirito cooperativo e di collegialità che dovrebbe avere la scuola. Interventi analoghi sono necessari anche negli altri settori, per costruire possibilità di sviluppo professionale in relazione ai cambiamenti in atto. Negli enti pubblici di ricerca, grazie al decreto legislativo 218, si è imboccata una strada devo dire positiva, che ha fatto fare un passo in avanti, in termini di autonomia, molto importate e nel quale c’è un significativo riferimento alla Carta Europea dei ricercatori. È dunque opportuno ripensare anche tutta l’organizzazione di questi enti, che è molto cambiata negli anni, così come va ripensata l’unilateralità del poter datoriale, rafforzata con la legge 150 relativa al pubblico impiego. Sul versante della accademie e dei conservatori occorre spingere verso quelle indispensabili innovazioni, per cogliere al meglio i cambiamenti avvenuti. Il livello di autonomia di queste istituzioni è cresciuto nel tempo, anche se non quanto avremmo voluto. Nell’ambito delle università, basta far rifermento alla legge 240 del 2011 che ha riformato l’intero sistema, per capire come nel futuro contratto si dovrà ripensare l’intera organizzazione, nei termini di una maggiore partecipazione.
Sul versante della relazioni industriali quali sono i nodi da sciogliere?
Bisogna, prima di tutto, riaffermare la dimensione partecipativa nella gestione del lavoro. Come detto, un tratto distintivo del mondo dell’istruzione è la dimensione cooperativa e collegiale. Va dunque ripresa e rafforzata la contrattazione decentrata per poter riaffermare una maggior poter negoziale, che vada, ad esempio, nella direzione di poter contrattualizzare le risorse messe a disposizione dalla legge 107, e date in gestione unilaterale alla parte datoriale. Con la contrattazione decentrata è possibile destinare maggiori risorse al salario accessorio. Sono dunque tanti gli istituti che vanno ripresi dopo uno stallo così lungo.
Con le altre sigle come sono i rapporti?
Fino a questo momento, tutti i sindacati hanno fatto fronte comune per arrivare alla firma del contratto
Tommaso Nutarelli