Che fare la segretaria generale della Cgil non fosse compito da poco Susanna Camusso lo sapeva prima di cominciare. Ma già le prime battute sono state formidabili, perché le difficoltà sono venute immediatamente alla luce. Dalla Fiom principalmente. Cosa attesa, del resto, perché si sapeva bene che quella era la parte dalla quale sarebbero venuti i problemi. Per la strategia portata avanti in questi anni e mesi dalla Fiom e da Maurizio Landini e più nello specifico perché proprio contro la Camusso si era battuta l’organizzazione dei metalmeccanici,. La vedevano come la continuazione della strategia portata avanti, sia pure con tante timidezze, da Guglielmo Epifani e loro invece volevano una rottura, tornare ai bei tempi della contrapposizione dura e pura contro un po’ tutti.
E così non ha sorpreso più di tanto che il comitato centrale della Fiom abbia chiesto alla confederazione di ritirarsi dal confronto con Confindustria e tutte le altre parti sociali sui temi della ripresa, della competitività e quant’altro. Era una mossa attesa, forse è venuta un po’ prima di quanto ci si potesse attendere. Ha sorpreso forse di più che subito sia stato anche chiesto, si potrebbe dire imposto, alla neosegretaria di indire in tempi brevi lo sciopero generale, facendo capire tra le righe che non sarebbe stato tollerato un ritardo e che questa irritazione, chissà, avrebbe potuto magari trovare uno sfogo nella manifestazione che la confederazione sta organizzando per il 27 novembre.
Insomma, si è capito subito che era aria di battaglia. Il punto è che la Camusso non si è tirata da parte, ma ha risposto colpo su colpo. Dicendo senza mezzi termini che il dialogo con la Confindustria è molto importante e che quindi non ha alcuna intenzione di lasciarlo a metà e soprattutto avanzando delle precise indicazioni sul tema centrale per tutti, il rinnovo del modello contrattuale.
Era stato chiaro immediatamente che non sarebbe stato facile riprendere quel discorso. Non aveva infatti molto senso fare un semplice “tagliando”, come aveva indicato Alberto Bombassei. Perché la Cgil doveva portare a casa qualche risultato, altrimenti non avrebbe avuto spiegazione un loro consenso, se non quello di aver capito di aver fatto un errore non firmando il testo del gennaio 2009. E quelli che quel protocollo avevano firmato, Confindustria, ma anche Cisl e Uil, non potevano nemmeno avallare un rivolgimento delle regole stabilite. Era quindi necessario sparigliare le carte, mettere la questione su un altro piano e proprio questo la Camusso ha fatto quando l’altro giorno ha ripreso il discorso del contratto nazionale affermando che il vero problema è che non riesce più a coprire tutti i lavoratori e forse è il caso di puntare sui contratti di secondo livello, per farne il luogo della sperimentazione e dell’innovazione.
Parole importanti, che devono essere calibrate con attenzione, studiate un po’ da tutti, perché è lì che si intravede il futuro delle relazioni industriali. Allargare il campo dei contratti d’azienda, e magari quelli territoriali, non solo per trovare lì il modo per far crescere la produttività, quindi la competitività, quindi l’occupazione, ma perché i contratti nazionali non riescono a essere più l’ombrello generale che erano una volta. Si affronta così finalmente il problema immenso del dualismo del nostro mondo del lavoro, insiders da una parte outsiders dall’altra, garantiti e non garantiti. E’ il tema centrale del mondo del lavoro, ma nessuno l’ha mai affrontato fini in fondo. Forse è venuto il momento di capire che in questa direzione si deve andare, tanto più che su queste basi tutto il sistema contrattuale assume una luce diversa, tutto diventa possibile, a patto che non si perda di vista questo obiettivo principale. La Fiom non sarà d’accordo, ovviamente, ma se ne farà una ragione.
Massimo Mascini