Pier Paolo Baretta, segretario confederale Cisl
Si sta diffondendo l’idea che il confronto col Governo e le controparti imprenditoriali , che sta entrando finalmente nel merito, o non valga la pena di essere fatto o si tratti di una scampagnata. Né l’uno né l’altra. Ridisegnare i diritti, riorganizzare il Welfare e riformare il sistema contrattuale sono obiettivi ambiziosi ma urgenti, non solo per il sindacalismo moderno, ma per l’intera società italiana.
Il mondo del lavoro è cambiato molto negli ultimi anni. Sono in gioco diritti e rappresentanze. La sfida è la modernità del sistema produttivo e di relazione sociale. Serve, dunque, un progetto coraggioso. Dopo il miracolo economico dei primi anni ’60 e la crisi della seconda metà, la società italiana (Governo, sindacati, imprese) ebbe la capacità – chi più chi meno – di non arrendersi e di operare un salto verso una visione sociale e produttiva, per allora, moderna.
L’esito fu lo Statuto dei diritti dei lavoratori, la contrattazione articolata, la universalità dello stato sociale.
Oggi la sfida culturale è la stessa. L’Europa da un lato ed il federalismo dall’altro sono il nuovo parametro. Il valore sociale del nuovo lavoro: diffuso, plurale e flessibile; e della cittadinanza protagonista, sono i contenuti. La democrazia economica e la rappresentanza autonoma della politica e del sociale sono le regole da riscrivere.
Non tutto è contenuto nella proposta di libro bianco e nel documento sulla previdenza, ed alcune insidie, presenti in ambedue i testi, vanno respinte e rimandate al mittente.
La più pericolosa di tutte è una ipotesi di fuoriuscita dalle regole, verso una alternatività che non condividiamo e respingiamo, tra contrattazione collettiva e contratto individuale.
Ma nel Libro bianco sono contenute indicazioni, da negoziare ovviamente, che possano consentire di strutturare un sistema di relazioni partecipative (i capitoli sulla democrazia economica e sull’azionariato e sulla responsabilità sociale delle imprese), aventi per oggetto la riforma del modello contrattuale, la occupabilità e la stabilizzazione del mercato del lavoro. Fa da corollario a questa problematica la scelta del Governo, che noi condividiamo, di non procedere a definizioni per legge della rappresentanza sindacale.
A fronte di questo quadro dinamico, l’idea della Cisl è quella di un negoziato vero e proprio, il cui metro di misura sarà il merito. Per questo non possiamo sottostare alla spada di Damocle dell’utilizzo, da parte del Governo, di deleghe sulle materie oggetto del negoziato esercitate a scadenze predefinite e senza un’intesa preventiva con noi.
Ma al tempo stesso il sindacato non si può permettere che mentre il Governo lancia una sfida, che è sia provocazione che opportunità, sui temi del lavoro ci si attardi in un balletto, tutto politico, sulla validità o meno di un negoziato.
Lo scopo di ogni negoziato è un accordo. Come sempre l’accordo realizzato con la partecipazione di tutti ha rilevanza politica e di contenuti e confidiamo, pertanto, che la Cgil esca dal limbo contrattuale.
La trappola di cui parla giustamente Salvati (Repubblica 20/10, con riferimento al debole ruolo politico dell’opposizione, che rischia di non raccogliere le sfide per trasformarle in progetto) è pronta a scattare anche per il sindacato se decidesse di restare fuori dall’uscio della modernità.
Ma scatterà anche per il Governo se, dopo aver alzato il profilo delle questioni in campo, si lasciasse andare ad un riformismo solo di facciata, strumentale ad una prassi lassista verso le regole del gioco sociale.
Per queste ragioni la strada maestra resta la concertazione. La questione non riguarda il…”nome della rosa”. Ha ragione il presidente Ciampi, non fermiamoci ad una discussione nominalista o metodologica. La scelta è politica. Peraltro l’esperienza europea è ricca di “buone pratiche” la cui piena realizzazione farebbe fare un salto di qualità al sistema di relazioni anche per il nostro Paese, se definiamo un modello completo ed esauriente di procedure partecipative.