Il convegno sul nuovo codice degli appalti, organizzato da Cgil, Cisl e Uil all’Auditorium di via Rieti, sembra non aver ottenuto le aperture sperate verso i decreti attuativi, se non esclusivamente rispetto ad una migliore chiarezza rispetto alla clausola sociale. Un dibattito aperto dalla relazione introduttiva della segretaria confederale Uil Tiziana Bocchi, che ha innanzi tutto elencato i principali provvedimenti che, unitariamente, i sindacati considerano limitati o da abrogare. Negli ultimi mesi, com’e’ noto, Cgil, Cisl e Uil hanno mosso una serie di osservazioni, in particolare su due punti: il cambio d’appalto nei call center da parte di Poste ed Enel, che rimane di fatto una questione aperta, e la questione delle aziende di manutenzione e progettazione delle concessionarie autostradali, che interessa circa 2mila lavoratori in Italia, sulla quale si è tenuto un incontro con il Ministro dei trasporti e delle infrastrutture, Graziano Delrio. Il nuovo codice interviene sulla vecchia normativa degli appalti abrogando sia il relativo decreto legislativo, sia la legge obiettivo, varati entrambi dal governo Berlusconi, a proposito dei quali della Serena Pellegrino, parlamentare di Sel, nel corso del convegno, ha sottolineato il fallimento: “Solo il 10% delle opere previste sono state portate a termine, mentre si è riscontrato un aumento non indifferente della corruzione e del malaffare nel sistema degli appalti’’. E’ proprio su questa situazione che il governo Renzi sta provando ad intervenire col nuovo codice, ma non in maniera così incisiva come vorrebbero i sindacati.
Bocchi ha ricordato che il sistema degli appalti pubblici incide per il 15% sul Pil, risultando “un segmento importante delle politiche industriali a carattere nazionale”. Dunque, una questione da non sottovalutare e per questo motivo l’ obiettivo delle confederazioni è in primis quello che è stato più volte sottolineato con il documento sul modello delle relazioni industriali: ovvero “proporre la contrattazione, la partecipazione dei lavoratori e la rappresentanza come elementi centrali per favorire l’uscita dalla crisi economica e sociale che investe da troppi anni l’Italia”. Positiva, secondo Cgil, la Cisl e Uil, la volontà della nuova normativa di richiamare all’integrale applicazione dei contratti collettivi di lavoro ma – ha aggiunto Bocchi – “per applicazione integrale intendiamo sia quella del contratto collettivo nazionale che quella di eventuali contratti di secondo livello, che dovranno essere riconosciuti erga omnes in modo da evitare eventuali procedure di dumping sociale in caso di aggiudicazione dell’appalto da parte delle imprese straniere.”
I sindacati mettono innanzi tutto in discussione il comma 4 dell’articolo 30, nel quale è necessario sottolineare che gli unici contratti collettivi nazionali legittimamente applicabili devono essere quelli sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e non “comparativamente” rappresentative, così come previsto dal nuovo codice. Allo stesso modo è indispensabile per Cgil, Cisl e Uil richiamare, nel comma 2 dell’art. 50, la definizione del contratto collettivo nazionale aziendale e territoriale così come previsto dal dlgs 81/2015, per non dare adito “in nessun modo” ad un’interpretazione differente della legge. Tutto questo per proteggere il più possibile i lavoratori, a cui deve essere applicato, inoltre, il Ccnl di miglior favore, la cui assenza deve diventare motivo di esclusione dell’azienda dalla gara di appalto. Ancora, si chiede una modifica dell’art 105 in materia di subappalti, a partire dalla limitazione del 30% per l’affidamento dei lavori in subappalto su tutta la filiera e non solo per i lavori tecnologicamente avanzati.
“La pratica del subappalto senza alcun limite percentuale – ha sottolineato Bocchi – renderebbe impossibile il raggiungimento degli obiettivi di trasparenza, legalità e lotta alle mafie, lasciando, ancora una volta, una prateria sconfinata libera da ogni vincolo.”
Osservazioni, dai sindacati, anche sul tema della clausola sociale, prevista dal comma 1 dell’art.50 del Codice degli Appalti, secondo il quale la sua esigibilità deve essere affidata alla eventuale volontà della stazione appaltante: Cgil, Cisl e Uil sostengono invece che invece questa debba essere obbligatoria. Infine, il numero delle stazioni appaltanti, oggi ben 36 mila, che i sindacati chiedono di ridurre, riducendo in questo modo anche le spese e, soprattutto, le possibilità di corruzione. Proprio a proposito di corruzione, Bocchi ha ricordato che salvaguardia del lavoro e il rispetto delle regole contenute nei contratti sono garanzia di trasparenza e quindi antidoto alla corruzione. Adolfo Candia, rappresentante dell’Anac, ha pero’ rassicurato che, in ogni caso, il nuovo codice degli appalti comunque rimane “super vigilato” dall’autorità anticorruzione. Candia ha poi delineato i principali criteri e provvedimenti con cui la struttura guidata da Raffaele Cantone interverrà sulla norma.
In rappresentanza del governo, il viceministro alle Infrastrutture e Trasporti, Riccardo Nencini, ha replicato affermando che “per rispettare i tempi il 18 Aprile l’atto deve essere in fieri. La deadline quindi è una settimana prima e le commissioni stanno lavorando celermente”, affermando di fatto una parziale chiusura nei confronti delle richieste di dialogo dei sindacati. Ma le chiusure non riguardano solo i tempi per la stesura dei decreti attuativi, anche i suoi contenuti. Nencini, infatti, riguardo l’art. 105 sul subbappalto e il ripristino del 30% così come richiesto dai sindacati ha affermato di non “avere nessuna ragione di cambiarlo”, così come per l’affidamento di lavoro, servizi e forniture ridotte al 20% alle società in house e affidate alla gara pubblica per il restante 80%.
A sua volta, Susanna Camusso, concludendo il convegno, ha ricordato che “il sistema degli appalti è parte centrale della filiera produttiva e interessa milioni di persone. Investire sulla qualità vuol dire interrogarsi sul sistema produttivo del paese. E il nostro modello parla di un sistema basato sulla riduzione dei costi: per questo è necessario passare dall’offerta al massimo ribasso a quella economicamente più vantaggiosa e questo comprende la sostenibilità economica tanto quanto quella ambientale perché parliamo di qualità della vita. Il vincolo del contratto nazionale – ha continuato – è una certezza in questo senso, altrimenti il codice degli appalti ci preoccupa.”
“In un paese in cui il sistema degli appalti è caratterizzato da corruzione, logica del minimo costo e illegalità la volontà di ritornare alla liberalizzazione del subappalto – ha denunciato la segretaria generale della Cgil – ci manda un messaggio preciso. Questa è una scappatoia. Quello che non è entrato dalla porta, entra dalla finestra. Per questo motivo Cgil- Cisl-Uil vogliono partecipare alla stesura delle linee guida e alla costituzione della cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio. Non vogliono partecipare esclusivamente i sindacati, vuole partecipare il lavoro, le lavoratrici e i lavoratori che vuol dire tutelare tutto il sistema produttivo e della sostenibilità della vita. Le nostre organizzazioni però hanno un compito – ha concluso la Camusso – non lasciar questo tema agli addetti ai lavori. Tutti dobbiamo prendercene carico ed agire in modo che i lavoratori appaltanti e quelli appaltati si sentano tutti della stessa famiglia. E questo parte da noi, dalla nostra capacità di organizzare i lavoratori. Ciò che viene diviso dalla norma è compito nostro riunificare.”