A tre mesi e mezzo dal loro ultimo sciopero, quello del 20 luglio scorso, mercoledì 10 novembre i lavoratori della ex Ilva, oggi Acciaierie d’Italia, torneranno a incrociare le braccia. Si tratterà di uno sciopero di otto ore per turno di lavoro che consentirà alle loro delegazioni, provenienti non solo dallo stabilimento di Taranto, ma anche da tutti gli altri siti su cui si articola il gruppo, a partire da quelli di Genova-Cornigliano e di Novi Ligure (Alessandria), di dar vita a una manifestazione nazionale a Roma. Manifestazione che sarà irrobustita – non solo per ciò che riguarderà il numero dei partecipanti, ma soprattutto per il significato politico dell’iniziativa – da una delegazione dei lavoratori delle Acciaierie di Piombino, attualmente facenti parte del gruppo indiano Jindal South West.
Il significato politico, abbiamo detto. Per cogliere il quale basta buttare un occhio sul percorso della manifestazione, per come è stato annunciato ieri in un comunicato dei sindacati confederali dei metalmeccanici: Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil. Il corteo, dopo il concentramento iniziale alla Stazione Termini, nel centro di Roma, passerà per via XX Settembre, dove c’è la sede del Mef, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, e raggiungerà poi via Veneto dove, l’una di fronte all’altra, ci sono le sedi del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero del Lavoro. E ciò proprio per chiarire che questa iniziativa sindacale non assume come interlocutore solo Giorgetti, in quanto titolare del Mise, ovvero del Ministero più direttamente interessato alle vicende industriali del nostro Paese; ma anche Orlando, titolare del Lavoro, e quindi responsabile di auspicate misure di sostegno sociale volte a fronteggiare le conseguenze più dolorose della transizione energetica; nonché Franco, titolare del Mef, il Ministero proprietario di Invitalia, ovvero dell’Agenzia nazionale già entrata nel capitale di Acciaierie d’Italia nonché, a quanto pare, destinata ad entrare nel capitale della società a sua volta proprietaria delle acciaierie di Piombino.
In parole povere, nelle intenzioni dei tre sindacati, l’interlocutore cui è rivolta l’iniziativa del 10 novembre è il Governo Draghi nella sua interezza. Già, ma per chiedere e/o proporre che cosa?
Innanzitutto, un piano nazionale della siderurgia la cui definizione è attesa da mesi. “La soluzione di vertenze relative ad alcuni dei principali gruppi siderurgici attivi in Italia – ha infatti osservato Gianni Venturi, responsabile di settore per la Fiom-Cgil, nella conferenza stampa tenuta ieri dai tre sindacati – ha bisogno di essere inquadrata entro una cornice di politica industriale.”
In secondo luogo, vengono poi le vicende specifiche di JSW (Piombino) e AdI (ex Ilva), rispetto alla cui soluzione il Governo è ormai parte in causa. A questo proposito, Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil, ha detto che i sindacati hanno “salutato positivamente” l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale di Acciaierie d’Italia, ma non hanno poi notato “nessun miglioramento” non solo per ciò che riguarda le prospettive industriali del Gruppo, ma neppure “sul piano della gestione degli impianti”.
I dirigenti sindacali che hanno animato la conferenza stampa di ieri hanno dunque delineato una situazione, per certi aspetti, paradossale.
In primo luogo c’è un duplice paradosso produttivo. In conseguenza della stretta produttiva causata dai lockdown dell’anno scorso, la domanda mondiale di acciaio aveva subito una netta contrazione. Nei mesi più recenti, invece, si assiste a una ripresa marcata di tale domanda; e ciò sia a livello mondiale che nel nostro Paese. Ebbene, proprio mentre la domanda risale, sia a Piombino che a Taranto si va avanti da mesi con livelli produttivi così bassi da non consentire né a AdI, né a JSW Steel Italy, di intercettare tale crescita. Inoltre l’Italia, che rimane ancora un forte paese manifatturiero (secondo in Europa, settimo nel mondo), è diventato un importatore netto di acciaio. Esponendosi così a una condizione di dipendenza dal mercato mondiale per ciò che riguarda quello che, per un Paese manifatturiero caratterizzato dalla prevalenza del settore metalmeccanico, è, assieme all’energia, il prodotto strategico per eccellenza.
In secondo luogo, ci troviamo davanti a un paradosso politico. Infatti, a fronte delle difficoltà generatesi, per cause molteplici e anche molto diverse, sia nella gestione ArcelorMittal della ex-Ilva, sia nella gestione JSW di Piombino, lo Stato ha preso l’iniziativa di usare Invitalia come strumento volto a creare le condizioni di una svolta gestionale e produttiva nei due grandi gruppi siderurgici, caratterizzati entrambi dal permanere della tecnologia dell’altoforno. Tra continui rinvii, pause e attese, il tempo però è trascorso e continua a trascorrere senza che si intravvedano neppure i primi segni di tali auspicate svolte. Di qui lo slogan che sarà al centro della manifestazione di domani: “Il tempo è scaduto!”.
Ora va anche detto che se le difficoltà attualmente attraversate dai due gruppi siderurgici – entrambi originati, negli anni 90, dalla privatizzazione dell’Ilva – non possono essere ricondotte alla sola questione ambientale, specie per ciò che riguarda AdI hanno proprio nella questione ambientale uno snodo cruciale.
Da questo punto di vista, fa certo impressione pensare che a brevissima distanza dalle manifestazioni “verdì” tenute nei giorni scorsi a Glasgow, contro l’ipotizzata eccessiva timidezza ambientalista dei Governi ivi riuniti per la CoP26, a Roma si svolga una manifestazione sindacale che, per certi aspetti, rovescia il discorso sulla sostenibilità ambientale dell’industria, o meglio dei modelli energetici che stanno alla base delle attuali strutture industriali, ponendo il tema, per citare le parole di Roberto Benaglia, Segretario generale della Fim-Cisl, della sostenibilità sociale della decarbonizzazione.
Insomma, forse in nessuna altra vicenda industriale si intrecciano tanti aspetti cruciali dell’attualità come in quella della siderurgia.
C’è innanzitutto il problema della progettazione concreta di un percorso di decarbonizzazione della produzione di acciaio. Giorgetti ha evocato la possibilitàdi prendere dal PNRR risorse finanziarie per 1 miliardo e 300 milioni di euro. A prima vista non è poco. Ma bisogna tenere presente che tale percorso può essere reso più difficile dalla crescita abnorme del costo dell’energia ora in corso; crescita derivante da quella, inedita nelle proporzioni attuali, del prezzo del gas.
C’è poi la questione della sostenibilità sociale della transizione ambientale. Questione che chiama in causa, a breve, il Ministero del Lavoro. Ammesso e non concesso che il basso livello dell’attività produttiva attualmente in corso nello stabilimento di Taranto dipenda dalla necessità di limitare il suo impatto ambientale, i sindacati, da un lato, lamentano un ricorso eccessivo da parte di AdI alla Cassa integrazione: attualmente essa riguarda 2.300 lavoratori. Tale ricorso si ripercuote, peraltro, anche sui dipendenti delle aziende attive nel campo dei servizi in appalto. A ciò va aggiunto che anche 1.600 dipendenti della ex Ilva, formalmente ancora in forza all’Amministrazione straordinaria, sono da mesi in Cassa integrazione. Ne risulta un calo strutturale dei redditi che va a colpire migliaia di lavoratori. Ad AdI, i sindacati chiedono dunque un maggiore impegno produttivo che consenta di richiamare in fabbrica lavoratori oggi costretti a stare in Cig. Al Governo, di pensare a un fondo volto ad attenuare i costi sociali della decarbonizzazione.
Per non parlare delle prospettive occupazionali, sempre meno rassicuranti. Tra dipendenti diretti di AdI e di JSW Steel Italy e dipendenti delle imprese attive nell’indotto, Palombella ha parlato di 60.000 posti di lavoro a rischio.
Per usare ancora le parole di Venturi, c’è quindi il problema di accompagnare la decarbonizzazione degli impianti basati sulla tecnologia dell’altoforno evitando che essa si traduca in deindustrializzazione.
Alzando lo sguardo dalle questioni italiane a una più ampia prospettiva europea, ci sono poi i problemi derivanti dalla fortissima crescita relativa della produzione siderurgica realizzata in Cina. Ciò a fronte dell’evidente incapacità dell’Unione europea di rinverdire i grandi risultati raggiunti, a partire dai primi anni 50 del secolo scorso, con la Ceca, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Che viene qui citata non per nostalgia del carbone, ma come esempio di una volontà di auto affermazione dell’industria europea, con tutte le sue ricadute positive sul piano occupazionale, nonché su quello tecnologico e su quello politico.
In prospettiva, il minimo che si possa dire è che le volontà imprenditoriali del gruppo indiano Jindal, attivo a Piombino, e del gruppo franco-indiano ArcelorMittal, ancora maggioritario in AdI, non sono chiare. Purtroppo, secondo Fim, Fiom e Uilm non è ancora chiara neppure la volontà del Governo. Intanto il tempo passa e i problemi si aggravano, a partire dal fatto che la manutenzione degli impianti è carente. Ecco perché, domani, i sindacati dei metalmeccanici diranno, davanti ai tre Ministeri citati, che “il tempo è scaduto”.
@Fernando_Liuzzi