Fino ad oggi, per i mezzi di informazione italiani, SiderAlloys era tutt’al più il nome di un’impresa svizzera – basata a Lugano e attiva nel campo metallurgico – che, all’inizio di quest’anno, si era fatta avanti candidandosi all’acquisto dell’impianto Alcoa di Portovesme. Ma oggi il suo amministratore delegato, Giuseppe Mannina, ha deciso di prendere un contatto diretto con i media italiani, convocando una conferenza stampa che si è svolta, a Roma, in un albergo sito a due passi da Montecitorio.
Scopo tattico dell’incontro è stato quello di far sapere all’opinione pubblica, e non solo agli addetti ai lavori, che l’offerta di acquisto, recapitata al Ministero dello sviluppo Economico ai primi di marzo, ha una sua concretezza e potrebbe tradursi, in pochi mesi, in alcune centinaia di assunzioni e in una prima ripresa di un’attività industriale in uno dei territori italiani più devastati dalla crisi economica che ha imperversato a partire dal 2008: il Sulcis Iglesiente.
Scopo strategico dello stesso incontro, è stato invece forse quello di premere sui poteri pubblici del nostro Paese, dal Governo alla Regione Sardegna, affinché accelerino i tempi della trattativa in corso.
Nella conferenza stampa, Mannina, che ha doppia cittadinanza italiana e svizzera, non è entrato nei dettagli del piano industriale presentato al Mise, ma ha fatto balenare la possibilità che, già 8 mesi dopo un eventuale accordo, la produzione potrebbe raggiungere il 25-30% della sua capacità. Entro 18-24 mesi, tale capacità potrebbe arrivare a regime, ovvero alla produzione di 150 mila tonnellate di alluminio primario. Ciò comporterebbe l’assunzione di 350-400 lavoratori. E si tenga presente che quelli attualmente inoccupati sono 420 (oltre ai 350 degli appalti).
Vantaggi occupazionali a parte, Mannina non ha nascosto le difficoltà implicite nella sfida che si è assunto con la proposta avanzata al Governo italiano. Tali difficoltà, per una parte, possono essere superate solo se i poteri pubblici sono disponibili ad impegnarsi per ciò che a loro compete sul piano energetico e infrastrutturale. Ovvero, da un lato, allo scopo di assicurare un costo dell’energia che sia tale da non mettere a priori fuori mercato chi intenda intraprendere un’attività in un settore industriale fortemente energivoro, come è quello della produzione dell’alluminio. E, dall’altro, far sì che il porto di Portovesme, in prospettiva, sia capace di accogliere navi di un tonnellaggio decisamente superiore a quello oggi consentito e che si aggira sulle 10 mila tonnellate. Infatti, l’attività portuale non sarebbe necessaria solo per portare via dalla Sardegna l’alluminio ivi prodotto, ma anche per farvi arrivare l’allumina che è fondamentale per la sua produzione e che, nei disegni di Mannina, dovrebbe essere ivi importata da fonti extra-europee.
Ma vi sono anche altre difficoltà, legate alle proporzioni dell’impianto di Portovesme. Come si è già detto, Mannina ha parlato della possibilità di arrivare a produrre, in tale impianto, 150 mila tonnellate annue di alluminio. Ovvero, par di capire, una quantità troppo modesta per le gigantesche multinazionali che si sono ormai imposte nel settore dell’alluminio. Il settore, aggiungiamo noi, forse caratterizzato dalle maggiori concentrazioni esistenti nell’industria a livello mondiale.
Da questo punto di vista, le dimensioni assai più contenute dell’impresa guidata da Mannina rispetto a giganti come la statunitense Alcoa o la canadese Rio Tinto-Alcan, potrebbero costituire, se abbiamo ben compreso il ragionamento abbozzato oggi dall’imprenditore, un vantaggio e non un limite. Nel progetto di Mannina, infatti, l’impianto di Portovesme costituirebbe l’unico stabilimento produttivo di un gruppo nato nel 2011 con finalità, fin qui, eminentemente commerciali e avrebbe quindi, in tale gruppo, un ruolo particolare. D’altra parte, Mannina ha rivendicato di possedere una pluriennale esperienza di marketing nel campo metallurgico. Lasciando intendere che, una volta che fossero state assicurate all’impianto di Portovesme condizioni competitive sul piano energetico e infrastrutturale, tale esperienza potrebbe rivelarsi come particolarmente utile per trovare mercati di sbocco alla produzione realizzata in Sardegna.
E’ appena il caso di ricordare che l’impianto Alcoa di Portovesme è fermo dal novembre 2012. Da allora, il Governo italiano si è impegnato per evitare la sua chiusura, cercando un compratore che fosse intenzionato a dare continuità alla sua attività produttiva. Tuttavia, né le trattative intraprese dapprima con il gruppo svizzero Klesch, né quelle portate poi avanti con l’anglo-svizzera Glencore, sono approdate a risultati concreti. Sono dunque evidenti l’interesse, e anche l’apprensione, con cui le notizie provenienti da Roma sono seguite soprattutto in Sardegna. Oltre che da chi è interessato al futuro del nostro sistema industriale.
Qui di seguito, il video realizzato da Gazebo.
@Fernando_Liuzzi