Repubblica ci informa sui lavoratori sottopagati in Italia. Con un articolo, un grafico e una tabella.
Nella tabella, le arti compaiono all’ultimo posto della classifica, dopo il commercio, la sanità, i trasporti, le costruzioni e così via. L’agricoltura viene accorpata al settore minerario, l’informazione alla comunicazione, la finanza alle assicurazioni, le arti sono accorpate alle attività domestiche e ad altro (con un 30,89%).
Non entro nel merito delle considerazioni più squisitamente economiche e non è certo una novità che, in un Paese che dovrebbe saper vivere anche e soprattutto di Arte, i suoi lavoratori siano il fanalino di coda.
E grazie agli esperti in percentuali e grafici non abbiamo oggi neanche la soddisfazione di conoscere il nostro misero e reale stato di lavoratori delle Arti.
Da oggi però sappiamo che l’Arte, in Italia, viene accorpata ai lavori domestici e catalogata come altro.
Dove altro non sta per diverso, bensì come residuale.
La stesura del grafico in questione indica senza ipocrisie che, in Italia, le Arti e la Cultura sono private di specificità e di identità, sono l’inutile coda di un Paese che ha smarrito storia, memoria e creatività.
Un Paese, in definitiva, pronto al successo degli affaristi e degli istinti più rozzi e umilianti.