Su Corriere della sera del 7 gennaio intervista a Marco Bonometti presidente di Confindustria Lombardia a proposito del blocco dei licenziamenti e di quel che ci aspetta quando esso avrà fine. E’ contrario a continuare con il blocco, ma questa non è nuova: “Più si aspetta e più i disoccupati diventeranno un numero ingestibile…….il tutto mentre le ricerche di personale di tante aziende continueranno a restare senza risposta”.
Per il nostro “Servono vie nuove”. “E’ necessario costituire un’Agenzia pubblica per la Formazione e Riconversione Professionale, con articolazioni provinciali. Non un carrozzone dello Stato, ma un organismo agile, gestito con criteri privatistici e coinvolgendo il sistema delle imprese”. Gli viene segnalati che esiste Anpal e risponde: “Fin’ora non ha funzionato. Se fosse riformata e resa operativa con l’impostazione che ho appena illustrato, perché no. Cassintegrati e Neet passerebbero alle dipendenze dell’Agenzia, percepirebbero un salario pari alla cassa integrazione – lo chiamerei salario di formazione – sarebbero obbligati alla frequenza dei corsi, pena la sua perdita e riceverebbero, al termine un titolo corrispondente alla preparazione professionale acquisita, in parte in aula, in parte nelle aziende con particolare attenzione ai profili non disponibili sul mercato”. “Lo Stato centrale dovrebbe affiancare le Regioni che non riescono a garantire standard di politiche attive adeguati. Il programma è ambizioso. Ma è questo il momento di cambiare passo”.
Il discorso di Bonometti va preso sul serio. Non solo per la preoccupazione che si ammucchi tutta insieme una massa di licenziamenti di difficile gestione, ma perché comincia a ragionare sulle possibilità di gestione del fenomeno.
Le considerazioni sulle inefficienze attuali del sistema sono troppo facili e non si può svolgerle montando in cattedra con l’aria di chi punta il dito su tutti gli altri. Ma perché brillano i Fondi interprofessionali dove anche Confindustria partecipa a gestire insieme alle organizzazioni sindacali?
Mi pare che la tendenza prevalente delle imprese sia ad organizzare una formazione che è poco più che addestramento a fare le cose che servono di volta in volta al lavoro che c’è da fare. Né si può dire che sia stata un successo la innovazione dell’ultimo contratto metalmeccanici che pure ha proclamato il diritto dei soggetti alla formazione.
Se invece sembra funzionare di più il sistema che fa capo alle agenzie del lavoro somministrato è perché ci si mettono più risorse e perché le imprese hanno un interesse evidente alla qualità del risultato in modo da poter vendere meglio il prodotto umano-professionale che scaturisce dai percorsi formativi che si organizzano.
Certo c’è da cambiare molto al centro e alla periferia compreso probabilmente un nuovo equilibrio tra i poteri centrali e quelli delle istituzioni regionali e periferiche. E’ improbabile che la via giusta sia organizzare doppioni di ciò che esiste ed è al tempo stesso difficilissimo modificare ciò che esiste.
I cambiamenti richiedono grandi assunzioni di responsabilità. D’altra parte questo è il tempo che le richiede su ogni cosa.
E qui si tratta di organizzare la cosa che fin’ora si è dimostrata la più difficile: organizzare il passaggio da imprese in difficoltà ad altre che possono assumere. Se sono fondati i dati di Excelsior i margini ci sono. C’è da prendersi delle responsabilità comuni anche ripescando esperienze messe nel dimenticatoio come outplacement.
Bonometti torna sull’argomento il 18 gennaio (La Verità): “Al posto dei sussidi, insisto nel chiedere un salario di formazione obbligatoria per i disoccupati e i cassintegrati. Serve un centro di formazione per le politiche attive, come in Germania, con apporto pubblico e privato. Da una parte dobbiamo rendere competitive le imprese, dall’altra vogliamo salvare le professionalità su cui abbiamo investito tanto in questi anni, facendo crescere le competenze dei lavoratori”.
Non ho osservato reazioni o commenti da parte del mondo sindacale. Ne sono sorpreso; perlomeno si vada a vedere.
Si discorre molto di “partecipazione” e si enfatizzano anche esagerando le poche esperienze in atto. Come si può non pensare che partecipazione sia la chiave di un possibile successo di questa impresa come parte di un processo più generale di rinnovamento del sistema di relazioni sociali fatto, appunto, anche di grandi assunzioni di responsabilità?
Aldo Amoretti