La notizia è secca: oggi pomeriggio, al Ministero dello Sviluppo Economico, sarà inaugurato il tavolo dedicato alla crisi del settore auto. A fare gli onori di casa sarà il nuovo titolare del dicastero, il pentastellato Stefano Patuanelli. Numerosi gli invitati: più di quaranta sigle, tra sindacati dei lavoratori, associazioni imprenditoriali e associazioni di settore.
Oltre a essere secca, la notizia è anche interessante.
In primo luogo, infatti, non dovrebbe trattarsi dell’ennesimo tavolo di crisi convocato allo scopo di risolvere un caso di dissesto aziendale già in atto, ma di qualcosa di più ambizioso. Stando agli annunci sin qui fatti, dovremmo trovarci davanti al tentativo di avviare un’attività concertata e volta a intervenire sulla incipiente crisi di un intero settore. E ciò anche in modo tale da prevenire quelle crisi aziendali che sono l’inevitabile portato di più ampie difficoltà settoriali.
In secondo luogo, dovremmo trovarci, per una volta, di fronte al tentativo di intervenire in modo tempestivo su una crisi che non ha ancora dispiegato tutte le sue potenzialità distruttive, ma il cui avanzare è ormai ben visibile a livello globale.
Ciò detto, nessuno fra gli osservatori del settore si aspetta grandi cose dall’appuntamento odierno. Il fatto stesso che il suo inizio sia stato fissato alle ore 16:00 di una giornata che, come il venerdì, è collocata in prossimità del fine settimana – fatto cui si aggiunge la già ricordata circostanza che i soggetti partecipanti dovrebbero essere più di quaranta -, dà l’idea di un’occasione in cui gli intervenuti potranno esprimere solo opinioni molto generali.
Va però anche registrato il fatto che la convocazione stessa di questo incontro qualche attesa positiva l’ha già suscitata. Un fatto, questo, che dipende da diverse cause.
In primo luogo, queste attese sono legate all’ipotesi che l’incontro odierno sia stato concepito come il momento inaugurale di un’azione destinata a svolgersi in un tempo non troppo breve e ad articolarsi – via, via – attorno ad alcuni specifici tavoli tematici.
In secondo luogo, viene considerato positivamente il fatto che il nuovo titolare del Mise, Patuanelli, sia nella condizione di dedicarsi totalmente alla guida del suo dicastero, laddove il suo predecessore, Di Maio, doveva dividere il suo tempo fra la guida di due dicasteri (oltre al Mise il Lavoro), cui si aggiungevano i non lievi incarichi di vice Presidente del Consiglio dei Ministri e di Capo politico del Movimento Cinque Stelle. Col che lo stesso Di Maio ha finito per lasciare questioni delicate nelle mani di collaboratori inesperti.
In terzo luogo, gli estimatori della concertazione possono prendere nota del fatto che le preoccupazioni per la brutta piega che hanno preso le vicende del mondo dell’auto a livello globale sono condivise, in questa fase, da tutti i protagonisti di questo mondo: le imprese costruttrici, la vasta e diversificata realtà dei produttori di componentistica, i concessionari impegnati nelle vendite, le associazioni imprenditoriali e, ultimi ma non ultimi, i sindacati dei lavoratori.
Tanto per prendere due esempi relativi alle settimane più recenti, sia Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, che Michele De Palma, segretario nazionale e responsabile auto della Fiom-Cgil, hanno richiesto la convocazione di un tavolo di settore, auspicando che potesse essere presieduto dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Richieste convergenti, dunque, anche se avanzate a partire da diversi punti di vista. Preoccupato dal sommarsi di un rallentamento del mercato con le difficoltà connesse alla transizione tecnologica, il primo. Allarmato dalle prospettive occupazionali relative agli stabilimenti italiani di Fca, il secondo.
Ma c’è poi un altro fattore, forse più importante di quelli già ricordati, a far nascere qualche attesa circa le possibili ricadute positive dell’azione che sarà avviata oggi al Mise.
Il punto è che si è formata, negli anni, una radicale asimmetria fra i protagonisti della politica industriale relativa al mondo dell’auto. Da una parte, i grandi players industriali del settore sono imprese multinazionali che si muovono con disinvoltura sugli scenari globali. Dall’altra, gli Stati nazionali sono rimasti, appunto, nazionali e le loro dimensioni, per non dir altro, non consentono alla loro stragrande maggioranza, tutti i più importanti Paesi europei inclusi, di assumere ruoli da protagonisti su quegli stessi scenari.
Ora, è del tutto evidente che uno dei fattori che, negli ultimi tempi, ha creato maggiori difficoltà all’industria dell’auto quale la conosciamo è tutto ciò che ha a che fare con l’inquinamento dell’aria provocato dalle emissioni generate dai motori che usano carburanti di origine fossile, benzina o gasolio che sia. E ciò sia a causa della forte crescita della sensibilità ambientalista di vasti settori dell’opinione pubblica, sia a causa della risposta politica che gli Stati hanno dato a questa crescita, creando regolamentazioni sempre più stringenti in materia.
L’incrocio, per non dire la somma, di questi due fattori – cambiamento degli orientamenti dei consumatori e inasprirsi della regolamentazione legislativa – spinge l’industria dell’auto a imboccare la strada dell’innovazione. Cosa che diviene problematica, innanzitutto, perché, in questa fase, richiede investimenti talmente grandi da impensierire anche i giganti del settore, come la General Motors.
Ora si dà il caso che – come Carmine Fotina ha ricordato in un bell’articolo pubblicato sul Sole 24 Ore di domenica 13 ottobre – la Commissione dell’Unione europea, consapevole dell’importanza decisiva che l’industria dell’auto ha nel nostro continente e nel mondo, intenda fare qualcosa per contrastare il predominio che i Paesi del Far East, cominciando con la Cina e proseguendo con Giappone e Corea del Sud, hanno nel campo della produzione delle batterie a ioni di litio. Ovvero di quegli strumenti che stanno all’auto elettrica, l’auto meno inquinante che sia stata fino ad oggi concepita, come il motore sta all’auto a benzina.
Ebbene, questo “qualcosa” non è poi così astratto. Stiamo infatti parlando dell’Ipcei (Important Projects of Common European Interest) relativo alla cosiddetta European Battery Alliance. Solo che mentre il Governo Conte 1, col Mise presidiato da Di Maio, ha dato una risposta sostanzialmente burocratica agli appelli della Commissione che sollecitavano una partecipazione di imprese italiane, Francia e Germania hanno rapidamente stabilito fra loro un’intesa in materia.
Adesso, specie nel mondo delle imprese, c’è dunque chi spera che il tavolo che sarà oggi inaugurato possa costituire l’occasione per impostare elementi di politica industriale di dimensione non solo nazionale, ma anche europea.
Al contempo, da parte sindacale si spera che l’apertura del tavolo possa spingere il Governo a concentrare la sua attenzione anche sul problema dell’occupazione, oltre che su quello degli investimenti.
Infatti, quando si parla dell’industria dell’auto riferendosi all’Italia, non bisogna pensare solo alle fabbriche di autovetture o di componenti che appartengono, più o meno direttamente, dalla Exor, la holding di casa Agnelli, e quindi a Fca, Fiat, Alfa Romeo, Maserati e Ferrari, ma al grande e diffuso settore della componentistica che, come è noto, lavora principalmente per l’industria automobilistica tedesca. Ovvero per un’industria la cui crisi è divenuta palese e direi conclamata dal settembre di quest’anno.
Concludendo, almeno potenzialmente, a partire da oggi, al Mise potrebbe esserci molto da fare in materia di industria dell’auto. Il seguito alla prossima puntata.
@Fernando_Liuzzi