La segmentazione del mercato del lavoro è particolarmente avvertita, nell’organizzazione dei servizi pubblici essenziali, soprattutto con la fine delle posizioni di monopolio e l’affermazione di un sistema liberalizzato. Purtroppo, l’ingresso di nuove realtà imprenditoriali e l’aumento della concorrenza, oltre agli effetti positivi, ha spesso comportato conseguenze pregiudizievoli nelle condizioni di lavoro e, in particolare, salariali: basti pensare che nel nostro Paese vengono applicati ben oltre 900 contratti collettivi, spesso sovrapponibili tra di loro, dando luogo a quel noto fenomeno del dumping salariale.
In tale scenario si colloca il variegato sistema degli appalti e subappalti “al ribasso”, in alcuni servizi pubblici essenziali (igiene ambientale, trasporti pubblici, comunicazioni, etc.) spesso concessi, in situazioni di amministrazioni poco limpide (soprattutto nel mezzogiorno del Paese), ad aziende già in condizioni economiche precarie e con esposizioni debitorie. Questa precaria condizione delle aziende è, a volte, ulteriormente aggravata dal mancato/ritardato pagamento, da parte dell’ente pubblico committente, delle risorse finanziarie stabilite per l’erogazione del servizio.
La conseguenza più deleteria di tutto ciò è la mancata corresponsione, per più mensilità, delle retribuzioni ai lavoratori. Naturalmente, ciò diventa una causa di insorgenza o aggravamento del conflitto e innesca situazioni anche drammatiche e difficilmente gestibili, sia dalle organizzazioni sindacali, che, in fase di governance del conflitto, dalla stessa Autorità di garanzia.
L’inadempimento da parte degli enti pubblici è già stato oggetto, nel 2014, di procedura di infrazione della Commissione Europea, per la violazione, nel nostro Paese, della Direttiva in materia, 2011/7/UE. Più di recente, la Corte di giustizia dell’Unione europea, (Grande Sezione, 28 gennaio 2020), ha anche censurato l’impunità delle amministrazioni per i ritardi di pagamento che determinano, alle imprese affidatarie, oneri imprevisti e problemi di liquidità.
Nelle situazioni sopra descritte si è, in pratica, di fronte ad un rapporto trilaterale che vede come controparte del lavoratore, oltre il proprio datore di lavoro, un terzo soggetto committente, che può essere un ente pubblico o, nel caso del subappalto, un’impresa. È evidente come questo terzo soggetto abbia un ruolo estremamente rilevante sulle condizioni del rapporto di lavoro e, dunque, non possa essere considerato estraneo ad esso, anche con riferimento alle situazioni conflittuali che da tale rapporto derivano.
Non è accettabile ritenere, pertanto, che con l’appalto, il soggetto committente si liberi di ogni responsabilità. La titolarità di “servizi pubblici” da parte dell’ente pubblico non rileva, infatti, solo per il regime giuridico, quanto piuttosto per l’interesse pubblico della destinazione del servizio, inteso (come ci ha insegnato Massimo Severo Giannini) nella sua rilevanza sociale e necessaria fruibilità per i cittadini.
A ben guardare, la legge che regolamenta lo sciopero nei servizi pubblici essenziali (146/1990 e successive modificazioni) non ha previsto, per l’Autorità di garanzia, ampi poteri di indagine sulle cause di insorgenza del conflitto. Tuttavia, sensi dell’art.13, lett. h, essa può rilevare comportamenti delle amministrazioni o imprese erogatrici dei servizi, in violazione della normativa, che determinano i conflitti o li aggravano, e invitare le suddette amministrazioni e imprese a desistere.
Sarebbe invece fondamentale, che l’Authority estendesse la propria indagine anche sulla valutazione del comportamento dei soggetti committenti (amministrazioni pubbliche o società municipalizzate), nelle ipotesi in cui, come si è detto, essi siano corresponsabili dell’insorgenza o aggravamento del conflitto. Ciò può avvenire, con un’interpretazione estensiva che riconduca nella definizione di amministrazioni e imprese erogatrici dei servizi, richiamata dall’art.2 comma 2 della legge 146/1990, anche i soggetti committenti. In tal modo, la Commissione potrebbe esercitare i propri poteri di valutazione su di essi, in quanto, a tutti gli effetti, parti del rapporto negoziale.
D’altro canto, de iure condito, già il Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n.50/2016, art. 30) prevede una serie di garanzie, quali la sostituzione della stazione appaltante in caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al personale dipendente dell’affidatario, o del subappaltatore. È, inoltre, prevista l’applicazione, al personale impiegato nei lavori di appalti pubblici, del contratto collettivo in vigore, o di quelli il cui ambito di riferimento sia strettamente connesso con la prevalente attività oggetto dell’appalto, sottoscritti dai sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.
Vieppiù, il Governo, con il recente DL 77/2021, convertito in legge 29 luglio 2021, n. 108, recante norme per la governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è intervenuto introducendo la regola della parità di trattamento economico e normativo nei subappalti caratterizzati da una contiguità tecnico-organizzativa rispetto all’appalto principale (art.49).
Con riferimento ai servizi pubblici essenziali, questa base normativa può essere, dunque, opportunamente integrata con il riconoscimento alla Commissione di garanzia, della possibilità di valutare e, eventualmente, sanzionare le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi appaltanti, alla stregua di “parti” del conflitto.
Tale prospettiva avrebbe migliore sorte se sviluppata con un’azione sinergica della Corte dei Conti, rivolta ad individuare forme di responsabilità amministrativa e contabile degli enti pubblici inadempienti, verso le società e i soggetti appaltatori, nell’erogazione delle risorse finanziarie destinate all’erogazione del servizio. L’inadempimento degli obblighi retributivi, infatti, può integrare vari profili di danno erariale: ad esempio, tutte le volte che esso dipenda dalla negligente mancata riscossione di tributi locali; ancora, se l’erogazione del servizio non conforme ai richiesti livelli di qualità e quantità, a causa anche della conflittualità generata dall’inadempimento, conduca ad un’azione risarcitoria collettiva promossa dai cittadini utenti, ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 (una sorta di actio popularis contro la Pubblica Amministrazione, finalizzata a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio pubblico”).
Naturalmente, anche nella situazione qui descritta, un forte contributo al contrasto del fenomeno del dumping salariale si avrebbe dall’approvazione di una legge sulla rappresentatività sindacale che conferisca ai contratti collettivi, siglati dai sindacati più rappresentativi, un’efficacia generale nei settori di riferimento. Ma questo è un altro discorso che però, come si vede, puntualmente ritorna tutte le volte che ci si trovi di fronte a particolari esigenze di regolazione dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali.
Giovanni Pino, Capo di Gabinetto Commissione garanzia sciopero, Professore associato di Diritto del lavoro
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