L’incontro del giorno 7 gennaio 2013 tra intersindacale medica e sanitaria del SSN e il sottosegretario alla Salute Fadda sulle nuove competenze degli infermieri si è concluso con un nulla di fatto. I sindacati medici e sanitari (tutti ad esclusione di Cgil e Uil) hanno ribadito, con apposito documento, il loro duplice dissenso: sia in merito alla via scelta per la modifica delle “competenze” di riserva delle professioni infermieristiche (bozza di accordo, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, tra il governo e le regioni e province) e sia in merito ai contenuti tecnici della intesa medesima (ridefinizione implementazione e approfondimento delle competenze e delle responsabilità professionali dell’infermiere e dell’infermiere pediatrico).
Per quanto riguarda il primo aspetto i sindacati ricordano come “tutti i passaggi che hanno comportato le trasformazioni della figura professionale dell’infermiere siano sempre avvenuti per disposizione di legge. E non potendo essere altrimenti, proprio per il fatto che la salute è un diritto fondamentale dell’individuo sancito e garantito dalla costituzione per cui le condizioni definitorie della tutela della salute devono essere stabilite dalla legge, …ritengono che queste esigenze non possano essere demandate neppure ad un decreto del ministro della Salute, in assenza di una delega legislativa”
Per quanto riguarda il secondo aspetto di merito e relativo all’ampliamento delle competenze, le sigle sindacali ribadiscono il concetto che “nell’attuale sistema normativo, è sicuramente presente un nucleo irriducibile di competenze riservate alla professione medica che debbono essere individuate nelle attività di diagnosi e di prescrizione terapeutica”.
Un ampliamento delle competenze , come quello delineato negli allegati alla bozza medesima “rischia concretamente, in primo luogo, di creare confuse sovrapposizioni di competenze, oltre che di responsabilità, mediche e non mediche, il che rende ragione di
una diretta chiamata in causa dei medici, che più d’uno ha tentato esplicitamente di delegittimare. L’autonomia professionale è un valore, ma le persone non possono essere “spacchettate” in un piano clinico ed uno assistenziale che vanno ciascuno per conto loro e dove esse diventano di tutti e di nessuno” .
Di fatto l’intersindacale vede nella scelta di procedere non attraverso trasparenti percorsi legislativi, ma con semplici deliberati della conferenza stato-regioni un mezzo surrettizio attraverso il quale le regioni “potrebbero utilizzare personale tecnico ed infermieristico per compiti fino ad ora affidati ai medici, o ai dirigenti sanitari, con l’ obiettivo di ridurre i costi, trasferendo segmenti di attività da un fattore ad “alto costo” ad uno “a basso costo”.
Sembrano dunque cadere nel vuoto gli appelli ad una ricomposizione del conflitto lanciati in più occasioni anche dal ministro Lorenzin. E del resto la posizione di chiusura da parte dell’intersindacale, scontata e prevedibile, è anche in larga misura comprensibile. E’ del tutto evidente infatti che quel processo di proletarizzazione della professione medica che data ormai da diversi anni potrebbe subire una accelerazione ancora maggiore proprio attraverso l’erosione delle attività riservate per legge. Attività che sono il core della professione medesima e che comporterebbero una perdita di status e di ruolo ben più significativo di quello finora registrato di natura esclusivamente economica.
Roberto Polillo