Segnali contradditori da Marchionneland, quel territorio semantico che un tempo avremmo chiamato, familiarmente, Fiat. E non ci si riferisce qui solo alla querelle con la Fiom che, diciamolo, ormai non fa più notizia, ma all’insieme dei rapporti del Lingotto con gli altri sindacati della categoria, nonché con Federmeccanica, ovvero col braccio metalmeccanico di Confindustria, e col Governo targato Renzi.
La settimana scorsa l’Unione industriale di Torino, guidata da un’imprenditrice, Licia Mattioli, aveva annunciato per lunedì 30 giugno un programma ambizioso. L’associazione da lei presieduta avrebbe infatti svolto la sua assemblea non in una location pur prestigiosa del centro storico, come accaduto in passato quando fu prescelto lo splendido palazzo Carignano, ma in periferia, e cioè in quel mitico corso Allamano ove si affacciano i cancelli di quelle che furono le officine Bertone, e che oggi sono i capannoni Fiat deputati a sfornare le nuove Maserati.
Insomma, una delle più importanti associazioni locali di Confindustria aveva in agenda di riunire i suoi dirigenti in una delle aree industriali occupate dal transfuga Marchionne. Inoltre, per l’occasione, veniva annunciata la contemporanea presenza, a Torino, del Presidente di Confindustria, Squinzi, e del capo del Governo.
Tanto che gli operai Fiom della nuova Maserati – i cui rappresentanti erano stati poco simpaticamente tagliati fuori dall’incontro che il Ceo di Fca, Marchionne, aveva avuto, nei giorni precedenti, con le Rsa dello stabilimento di Grugliasco – avevano deciso di inviare una lettera al Presidente del Consiglio, esprimendo la volontà di incontrarlo in occasione della sua gita a Torino.
Queste, dunque, le premesse. Solo che, a metà settimana un’altra notizia, datata Melfi, veniva a offuscare di nuovo l’atmosfera circa i rapporti tra Fiat e Confindustria. Infatti, nel polo automobilistico della Basilicata un nuovo accordo tra la Fiat e i sindacati di categoria, Fiom escusa, ha esteso il cosiddetto Ccsl, cioè il contratto collettivo specifico di lavoro, in vigore nelle aziende del Lingotto, a tutte le imprese metalmeccaniche della componentistica attive nella piana di San Nicola di Melfi. E si tenga presente che non si tratta di aziendine poco più che artigiane, ma anche di multinazionali della componentistica, tra cui Lear e Johnson Controls.
Ora è vero che questo può apparire come un fatto locale (che, infatti, è stato snobbato dalla grande stampa nazionale). Ma a chi conosce la storia recente della Fiat, pardon della Fca, pare un ulteriore passo in avanti nell’opera di destrutturazione del macro contratto di categoria, quello dei metalmeccanici siglato con Federmeccanica, e di costruzione di un più circoscritto contratto nazionale dell’auto, concepito in modo da tenere insieme Fiat e componentistica, escludendo il resto (Confindustria compresa).
Ovviamente, può darsi che gli avvenimenti della lontana Melfi non c’entrino nulla, ma fatto sta che oggi, a Torino, Squinzi non si è visto. Inoltre, trattenuto a Roma da problemi connessi con l’incipiente semestre dell’Unione europea a guida italiana, anche Renzi ha dato forfait.
Il risultato è che gli industriali torinesi, che si erano dati appuntamento nella palazzina posta all’angolo tra via Vela e via Fanti, ove ha sede la loro associazione, sono andati a Grugliasco, dove Marchionne ha fatto gli onori di casa ricevendoli in uno degli spazi della ex Bertone.
D’altra parte, osservano gli esperti di cose torinesi, è pur vero che anche se Marchionne è uscito da Federmeccanica, e ha ripetuto anche recentemente che la Fiat non ha bisogno di Confindustria, il legame organizzativo con l’Unione industriale non è stato reciso del tutto, dal momento che il Lingotto continua ad usufruire dei servizi offerti (a pagamento, si suppone) dall’associazione.
Morale della favola. Marchionne, che da tempo si comporta come il più forte, ha potuto mostrare ai suoi colleghi torinesi di quali splendori luccichi lo stabilimento di Grugliasco, ampiamente ristrutturato. Squinzi si è invece sottratto a un incontro imbarazzante. Quanto a Renzi, che si è forse ispirato a Obama più per il nome che per i contenuti del suo Jobs Act, ha perso l’occasione di una passeggiata nei reparti operosi di Grugliasco, simile a quella fatta dal suo collega d’oltre Oceano nei capannoni della Chrysler di Jefferson North, a Detroit. E, se possiamo dirlo, ha perso anche l’occasione di interloquire con uno dei nuclei di classe lavoratrice più maturi e responsabili del nostro paese. Perché se uno continua a snobbare gli incontri con i sindacalisti, è un conto. Ma se comincia anche a evitare quelli con le tute blu, beh, allora le cose cambiano. E non in meglio.
@Fernando_Liuzzi