Qualsiasi soluzione di governo possa uscire dalle consultazioni in corso, la campagna elettorale ha dimostrato quanta distanza vi sia tra i programmi dei partiti (vincitori o meno) e i reali bisogni del Paese e dei cittadini. Nei confronti tra le forze politiche di questi giorni sembra ancora prevalere il tema delle alleanze possibili, a prescindere dai contenuti programmatici: il “chi” e “con chi” viene prima del “cosa e perché”.
Non è detto che questa situazione di stallo sia destinata a durare poco. Non è detto che la soluzione di governo che il parlamento voterà sia in grado di fare le cose di cui il Paese e i suoi cittadini hanno bisogno. Da un lato le forze populiste, se riusciranno ad allearsi per dar vita a un Governo che governi, dovranno rinunciare a molti dei loro propositi elettorali (forse anche dei loro consensi). Dall’altro il Pd deve ancora comprendere le cause della propria sconfitta e darsi, se ne sarà capace, prima una nuova identità e poi un’agenda programmatica.
In questa fase di improvvisazione, destinata a non chiudersi nemmeno dopo la nascita del nuovo Governo, saranno i contenuti l’anello più fragile della catena degli accordi. Forse nella convinzione che la ripresa economica risolva da sola sia i problemi sociali che quelli di bilancio. E nella speranza che l’Ue sia costretta, data la situazione politica del Paese, a concedere più “flessibilità” all’Italia. Ma entrambe queste aspettative non si sono mai realizzate. Non è mai accaduto che la crescita (per altro ancora bassa) da sola riduca diseguaglianze, povertà e disoccupazione. Tantomeno che l’Ue abbia modificato le proprie regole a seconda degli interlocutori politici che aveva di fronte nei singoli Stati membri: il caso della Grecia insegna…
Se decidere le alleanze di Governo spetta ai partiti (vincitori e non), dire cosa è necessario e urgente fare per il Paese e i suoi cittadini spetta a tutti. Dato il vuoto di analisi e di proposta politica, spetta soprattutto alle organizzazioni sociali. In particolare a quelle che hanno una visione generale (e non autocentrata) della realtà. A partire dai sindacati Cgil Cisl e Uil.
È aperta una stagione (lunga) di riassetti interni e di confronto congressuale che interessa le più grandi organizzazioni sindacali italiane. Sarebbe un errore imperdonabile se la necessaria messa a punto della strategia sindacale si facesse nel chiuso delle organizzazioni, prescindendo dal vuoto che c’è attorno. Al contrario, la discussione congressuale dovrebbe essere rafforzata dall’idea che si debba definire non solo il necessario rinnovamento del sindacato di fronte al lavoro che cambia ma anche la indispensabile innovazione del Paese (economica, sociale, politica, istituzionale).
Su questo punto esiste una base comune e condivisa di temi che potrebbe consentire la definizione di una “piattaforma” unitaria in tempi rapidi. Basti pensare agli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’Onu e di Asvis, associazione di cui fanno parte, tra gli altri, sia Cgil Cisl Uil che Confindustria. Non si tratta, come hanno creduto alcuni leader politici nostrani, di un programma di aiuti per i paesi in via di sviluppo, quanto degli indirizzi necessari perché anche in Italia la crescita sia ambientalmente, socialmente, economicamente sostenibile.
Del resto, basta scorrere i 17 titoli per rendersi conto che corrispondono perfettamente ai bisogni prioritari del Paese e dei suoi cittadini: la povertà, la fame, la salute e il benessere, l’istruzione di qualità, la parità di genere, l’acqua e servizi igienico-sanitari, l’energia pulita e accessibile, il lavoro dignitoso e la crescita economica, le imprese, l’innovazione e le infrastrutture, la riduzione delle disuguaglianze, le città e comunità sostenibili, il consumo e la produzione responsabili, la lotta contro il cambiamento climatico, la vita sott’acqua, la vita sulla terra, la pace e la giustizia, le istituzioni solide, la partnership. Non si pensi che siano titoli generici perché, come è noto, sono articolati in 169 obiettivi tra cui è possibile di volta in volta declinare le priorità-paese e quelle dei suoi territori (regioni, città metropolitane, comuni, coste, aree interne, mezzogiorno) per aumentarne la coesione.
Su questa solida base programmatica, già oggi condivisa da sindacati e imprese, si dovrebbero “sfidare” le forze politiche che hanno vinto le elezioni (e anche quelle che non hanno vinto) a declinare i bisogni prioritari e definire le proprie linee di governo (o di opposizione). Tanto più che lo Stato italiano ha già condiviso e sottoscritto in sede Onu questa strategia.