“Abbiamo rovinato l’Italia?” si chiede – ed e’ un interrogativo paradosso- Marco Bentivogli: che essendo, come e’ noto, un dirigente sindacale di lungo corso, oggi leader della Fim Cisl, avrebbe quanto meno una corresponsabilità in questa rovina. L’occasione è per l’appunto la presentazione del suo pamphlet ‘’Abbiamo rovinato l’Italia?”, edito da Castelvecchi. Platea affollatissima, malgrado il primo pomeriggio romano sia bollente come una tisana di tiglio a Natale. Sul palco lo stesso Bentivogli, con Franco Bernabe’, Irene Tinagli, Carlo Dell’Aringa e Bruno Manghi, coordinati da Stefano Cingolani.
Dice Bentivogli: ‘’se si facesse questa domanda in qualunque bar, la risposta corale sarebbe ‘’si!”. E la darebbero, paradossalmente, anche quelli che il sindacato rappresenta e difende’’. Colpa del sindacato e della sua incapacità di rinnovarsi, certo, ma anche della sempre più diffusa disistima degli italiani per le classi dirigenti nel loro complesso: politiche, sindacali e imprenditoriali. Primo risultato: pagano tutti, i buoni e i cattivi, i capaci e gli incapaci. Risultato numero due: come osserva Bernabe’, ‘’oggi in Italia la classe dirigente viene improvvisata, perché la gente e’ semplicemente stufa delle ‘solite facce. E questo porta il rischio di risposte irrazionali’’.
Concorda Irene Tinagli, che tuttavia si chiede come siamo arrivati a questo punto. La risposta e’ nel ‘’fallimento della classe dirigente precedente”, che “non ha saputo cogliere i cambiamenti, non ha saputo dare risposte’’. Anche Tinagli chiama in causa le corresponsabilità di sindacati e imprese: i primi, che non hanno saputo cogliere per tempo certi trend, per esempio l’esplosione di occupazione precaria tra i giovani e gli istruiti, nel mondo della ricerca e dei servizi; le seconde che ‘’hanno cercato riparo dalla globalizzazione invece che cercare di essere competitive’’.
Ma la parlamentare va oltre, sfatando anche il mito della ‘’grande manifattura’’: cioe’ quello che viene presentato ancora oggi come l’orgoglio nazionale, mentre “ci dimentichiamo che la manifattura a mala pena copre il 20 per cento del Pil che produciamo. Il resto viene da altre cose, servizi, consulenze, ricerca, turismo commercio”. Attività che anno dopo anno, si sono espanse al di fuori dalle regole note, lasciando che questo mondo emergente sfuggisse al controllo: “non ce ne siamo accorti o abbiamo finto di non vedere, sperando che alla fine si sistemasse tutto. Invece, proprio in questi settori si e’ creato il più grande precariato-proletariato degli ultimi trent’anni”, sottolinea Tinagli. E senza che il sindacato battesse ciglio.
Le lentezze del sindacato nell’adeguarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro sono state anche al centro dell’intervento di Dell’Aringa, mentre Bentivogli ne ha pure per i ”padroni”: ‘”un tempo avevamo i padri imprenditori ventre a terra nelle aziende, oggi abbiamo i figli degli imprenditori pancia all’aria a Formentera’’. E se c’e’ un punto debole nelle politiche del governo, aggiunge, e’ la scarsa capacità di “sfidare gli imprenditori a investire, evitando di incoraggiarne la fuga nella rendita o all’estero”. Quanto al sindacato, ha certo le sue responsabilità ma non e’ il caso di ‘’autoflagellarsi’’, come appunto rimprovera nel suo intervento Bruno Manghi: ‘In Italia -ricorda infatti Bentivogli- siamo secondi per rappresentatività subito dopo i sindacati scandinavi”.
Però ci sono derive pericolose, come quelle riassunte nel libro per divertenti “tipologie” di sindacalista: il burocrate, il pigro, il sindacalista ‘’antisistema’’ o ‘’di opposizione’’ .Quest’ultimo e’ anche il più richiesto dai media: “a volte mi invitano in Tv e mi chiedono di parlare contro il governo –rivela Bentivogli- ma io parlo di quello che mi pare, e questo governo fa anche cose buone”. Per esempio il Jobs Act, al cui proposito Bentivogli osserva: ‘’io ritengo l’articolo 18 importante, ma se la maggior parte dei giovani avviati al lavoro non ha nemmeno uno degli articoli dello Statuto, di che parliamo?”. O come le riforme costituzionali, che vedranno la Fim Cisl schierata sul fronte del ‘’si’’ al referendum: ‘’noi guardiamo al merito, e queste riforme le chiediamo da anni”.
Ma e’ quello che Bentivogli definisce il ‘’sindacalista catodico di opposizione’’ a fare piu’ danno, causando perdita di consensi al sindacato nel suo complesso “e contribuendo a determinarne il declino”. Non fa nomi, ma il riferimento al collega Maurizio Landini della Fiom e’ evidente: ‘’Crozza rende bene l’idea di un sindacalista che parla sempre agli stessi’’. Però “anche i media hanno grande responsabilita’”, perché chiamano sempre gli stessi personaggi e “il principio con cui li scelgono e’ riassunto in una nota battuta di Sordi, ‘facce Tarzan’”, dice ancora Bentivogli. Secondo il quale, oltretutto, l’opposizione a prescindere non ha mai pagato. Esempi: ‘’i piu’ grandi segretari generali della Cgil, Lama e Trentin, erano considerati di destra’’, e quanto al richiamo delle piazze, ‘’ in giro per le fabbriche mi chiedono ‘ perché non fate come in Francia’? ma io rispondo che in Francia c’e’ il sindacato più debole d’Europa’’.
Funziona invece, secondo Bentivogli, la ragionevolezza: quella che “ha portato la Fim a crescere costantemente da dodici anni, con un trend di iscrizioni molto dinamico tra gli under 35”, quella che durante una grave crisi industriale sa ‘’dare contenuto e forma alla disperazione, trasformare la rabbia in energia positiva’’: al contrario del sindacalismo ‘’di opposizione’’ che, invece, “alimenta il populismo”. E dunque, e’ la conclusione, se non si può fare a meno del sindacato, di una parte, almeno, sarebbe meglio liberarsi: ‘’quella parte che a Pomigliano continuava a parlare di ‘compromesso al ribasso’, facendo i titoli sui giornali, mentre noi della Fim realizzavamo un accordo equo, nel totale silenzio dei media nazionali. Compresa la Stampa, il giornale della Casa’’.
Nunzia Penelope