Nei giorni scorsi il quotidiano la Repubblica con un editoriale firmato da Juan Carlos De Martin, docente del Politecnico di Torino, ha portato un duro attacco ai manager italiani. I manager e dirigenti italiani, ha scritto De Martin, sono tra i meno istruiti d’Europa. E motivava con cifre questa affermazioni. Il 37% degli occupati italiani classificati come manager, affermava, ha completato solo la scuola d’obbligo, laddove la media europea si aggira attorno al 19% e quella della Germania al 7%. Cifre Eurostat, specificava, non inventate da qualche anonimo centro studi.
Un’affermazione che stupisce, alla quale ha risposto Giorgio Ambrogioni, presidente della Cida, la confederazione che raccoglie i dirigenti e le alte professionalità. Ambrogioni è molto netto: le cifre di Eurostat, spiega, si riferiscono non a quelli che noi in Italia intendiamo per dirigenti, ma a una categoria ben più vasta, che comprende figure professionali e responsabilità molto diverse e limitate rispetto a quelle di un dirigente d’azienda. Al contrario, la grandissima parte dei dirigenti privati e la totalità di quelli pubblici è in possesso di una laurea, moltissimi hanno seguito un master di specializzazione.
Questo perché i dirigenti credono fortemente nel valore della formazione e spendono le loro energie proprio per mantenere elevata la loro professionalità. E non potrebbero fare altro, perché solo con la formazione continua è possibile mantenere alto il livello di occupabilità.
Un problema, questo dell’occupabilità, che non è certo solo dei dirigenti, anche se questi possono sentire la spinta più forte che altri. Tutti hanno ormai perfetta coscienza della necessità di tenere alto il livello del proprio sapere per poter affrontare in maniera consona la perdita del lavoro, eventualità che una volta poteva considerarsi eccezionale, adesso è diventata una normalità, un evento certo non desiderabile, ma più che possibile nel corso della vita lavorativa. E del resto tutta l’impalcatura del Jobs Act si basa proprio sulla formazione. Perché ha perso di importanza, per le modifiche intervenute, il concetto di posto fisso, e ha preso consistenza, invece, la capacità di trovare un altro lavoro in caso di perdita del proprio. E questo, è evidente, è possibile solo con una formazione che marci a pieno regime.
L’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, funziona proprio in questo quadro, predisponendo i servizi e gli strumenti utili a chi ha perso il lavoro per trovarne un altro. L’Anpal sta iniziando la sua attivita’ in questi mesi, con grandi difficoltà come è nei fatti, considerando la trasformazione profonda che è avvenuta nella gestione del mercato del lavoro. Ma la direzione nella quale si sta muovendo è proprio quella della formazione continua che mantenga alto il livello di professionalità.
E non è un caso se la Cida sta trattando appunto con l’Anpal per una collaborazione futura. L’Agenzia diretta da Maurizio Del Conte ha infatti previsto il ricorso a un numero molto elevato di tutor che aiutino i lavoratori in mobilità a districarsi nel difficile mercato del lavoro e la Cida ha offerto la possibilità di impegnare in questa azione di tutoraggio anche un migliaio di dirigenti in quiescenza o in mobilità. E lo stesso vale per un’altra intesa che la Cida sta trattando con il Miur, per impegnare anche qui un certo numero di dirigenti pensionati o in mobilità nella realizzazione del processo di alternanza scuola lavoro su cui il governo sta puntando con forza.
E’ la formazione il nuovo terreno su cui impegnare le forze e non è un caso se l’aspetto più innovativo del nuovo contratto dei metalmeccanici sia il riconoscimento di un diritto soggettivo del lavoratore alla formazione. Siamo ancora ai primi passi, è previsto che chi lavora in un’azienda che non preveda corsi di aggiornamento abbia a disposizione per corsi extraziendali l’equivalente di tre giornate di lavoro: non è molto, ma è un inizio, è la presa di coscienza che il capitale umano rappresenta un valore per la professionalità che sa esprimere, e mantenere elevato questo livello significa costruire il futuro dei lavoratori e allo stesso tempo delle imprese che questi lavoratori impegnano e della cui professionalità si avvantaggiano.
In sintesi: solo con tanta formazione il paese può progredire. La rivoluzione di Industry 4.0 ne sollecita una gran massa, l’orizzonte è lì.
Massimo Mascini