Non occorre occuparsi di relazioni industriali; è sufficiente guardarsi attorno (magari facendo un po’ di zapping tra la miriade di talk show televisivi che insufflano veleno nella vita quotidiana degli italiani) per porsi una domanda: esiste ancora una rappresentanza organizzata a livello politico-sindacale del mondo dell’impresa? In altre più dirette parole: che fine ha fatto la Confindustria? Ad essere cortesi potremmo dire che l’associazione di viale dell’Astronomia si è presa qualche anno sabbatico, trascorsi i quali rientrerà sulla scena ‘’più forte e gagliarda’’ di prima. Il fatto è che, nel frattempo, nessuno ha preso il posto che dovrebbe spettare – in una società pluralista – ad una delle parti sociali, da cui dipende un pezzo consistente del benessere e della ricchezza della società.
Se fossimo a ‘’Chi l’ha visto?’’ dovremmo far partire la nostra ricerca dall’ultima apparizione della Confindustria sulla scena pubblica. Non è passato molto tempo da quando si tenne a Milano un convegno in cui la più importante associazione imprenditoriale regalò un endorsement – peraltro non richiesto – per Matteo Renzi a sostegno del referendum costituzionale del 4 dicembre, preconizzando un crollo del Pil in caso di sconfitta del Sì. Oggi ormai a poche settimane dal voto politico, a prendere sul serio i programmi dei partiti, c’è da mettersi le mani nei capelli: meno tasse e più spesa pubblica, con l’idea, condivisa da destra a sinistra, che l’assistenza garantisca di vivere anche senza lavorare (e di andare in quiescenza anche evitando di pagare i contributi, tanto mille euro al mese arriverebbero ugualmente).
L’agenda della campagna elettorale è quella dettata dal M5S, il quale si permette, talvolta, di essere meno irresponsabile degli altri partiti d’opposizione. Non si contano più le tasse e i balzelli di cui viene promessa l’abolizione: ogni giorno che passa spunta una nuova proposta che, a sua volta, stimola la fantasia degli avversari nell’andare alla ricerca di altre turlupinature seguendo una gimcana diabolica e spudorata, in assenza di un minimo di rispetto per l’elettorato al quale – nella sua qualità di popolo-bue – si crede di poter raccontare che gli asini si metteranno a volare. Di fronte a tanto sfacelo che cosa fa la Confindustria? Tace. Oddio, andando a spulciare con impegno le agenzie di stampa si potrà trovare qualche comunicato critico e preoccupato: dixi et servavi animam meam. Un po’ pochino, in verità, per un’organizzazione che in altri tempi condizionava le scelte delle maggioranze e dei governi. Anche perché nessuno fa più caso a quanto dicono nel Palazzo di vetro dell’Eur. Eppure, ce ne sarebbe per tutti i gusti. Immagino che ai dirigenti della Confindustria sia corso un brivido nella schiena a fronte degli emendamenti – per fortuna bocciati – che avrebbero manipolato la riforma dei contratti a termine.
Poi si è aggiunto dell’altro. ‘’Abolire la legge Fornero’’: gridano in coro, adesso, molte forze politiche, a costo di ritornare ad una situazione insostenibile del sistema pensionistico. La Confindustria finge di non sentire. Perché, allora, non abolire addirittura il ‘’jobs act’’ che ha aperto (chiedo scusa per il bisticcio di parole) un’uscita di sicurezza in direzione di una maggiore flessibilità, anche in caso di risoluzione del rapporto di lavoro? Viene in mente la filastrocca di Giamburrasca: ‘’Silenzio perfetto a chi parla uno schiaffetto; chi dice parola va fuori di scuola’’. Non sarebbe inutile, invece, avvalersi del Sole-24ore (uno dei più importanti quotidiani economici europei in serie difficoltà che non fanno onore all’editore) per un titolo di apertura a carattere cubitali (che ne rammenta un altro uscito nel novembre del 2011): SIATE SERI. Del resto la Confindustria è uscita di scena da un pezzo. Almeno da quando Elsa Fornero – da ministro del Lavoro del governo Monti – la incluse in quel gruppo di forze sociali che parteciparono alla definizione del disegno di legge per la riforma del mercato del lavoro che poi sfociò nella legge n.92 del 2012. Poi, nella legislatura che si è appena chiusa, quando gli esecutivi – prima Renzi, poi Gentiloni – hanno ritenuto opportuno riaprire un tavolo di negoziato (in particolare sulla previdenza e l’assistenza) in vista delle leggi di bilancio 2017 e 2018, a viale dell’Astronomia non è più giunta alcuna lettera di convocazione. Nel frattempo si sono consumati dei veri e propri attentati all’economia del Paese all’Ilva che hanno messo in crisi lo stesso fabbisogno di acciaio dell’industria nazionale.
Oggi – mentre è in atto il tentativo di ‘’soluzione finale’’ per quella che era la più grande acciaieria d’Europa – in campo, a fianco del ministro Carlo Calenda, ci sono soltanto i sindacati, sia pure tardivamente. La Confindustria – come le stelle – sta a guardare. E che dire del caso Finmeccanica? Dopo anni, per la stessa via giudiziaria che a suo tempo orchestrò la montatura, si riconosce che, nel businnes degli elicotteri con l’India, non ci fu corruzione internazionale. Intanto un gioiello dell’apparato industriale italiano era stato sputtanato nel mondo e il nostro Paese, in piena crisi economica, aveva perduto un affare da centinaia di milioni, mettendo persino in crisi le relazioni diplomatiche con quel grande Paese. Ma l’organizzazione che aveva il compito di assistere le imprese e il lavoro italiano, si era limitata, alla stregua di un avvocato d’ufficio, a chiedere la clemenza della Corte. Fermiamoci qui, senza dimenticare, tuttavia, che è in corso un negoziato (l’ennesimo) tra la Confindustria e le confederazioni storiche per tracciare l’architettura del sistema di relazioni industriali. Le anticipazioni ci dicono che sarà un capolavoro del cerchiobottismo, un ‘’fare surf’’ sulle grandi onde che, per quanto riguarda la contrattazione, si inseguono da anni: un po’ di livello nazionale e un po’ di prossimità; qualche marchingegno di mediazione – tra la via chimica e quella metalmeccanica – per quanto riguarda il recupero del potere d’acquisto. Il resto ve lo lascio immaginare.
Ormai le confederazioni sindacali e la Confindustria somigliano a quei personaggi dei quadri di Pieter Bruegel i quali compensano – sostenendosi a vicenda – le reciproche infermità. Se sottoscriveranno l’accordo a cui stanno lavorando, riusciranno persino a capovolgere l’antico adagio e potranno affermare solennemente: primum philosophari, deinde exsistere.
Giuliano Cazzola