Uno sciopero è uno sciopero. Il suo scopo è di creare tanti danni alla controparte da indurla a cedere alle richieste del sindacato. Nel comparto del trasporto pubblico, come è noto, la controparte non è l’Azienda, che anzi dallo sciopero ci guadagna (la gran parte degli introiti da traffico derivano da abbonamenti, che comunque sono già incassati, e per le ore di sciopero risparmia le retribuzioni) ma il committente dell’Azienda (nel caso di ATM IL Comune di Milano) e la comunità che usa il mezzo pubblico che subirà i danni e quindi farà pressione sul Comune perché intervenga sull’Azienda affinché accontenti i Sindacati.
E’ sempre stato così, nonostante molte proposte, sempre lodate nei convegni ma mai praticate, intese a scaricare i danni sulle aziende ma salvaguardare gli utenti. Chi decide lo sciopero sa benissimo che il disagio, il danno collettivo, talvolta il caos che provoca lo sciopero del trasporto pubblico in una grande città è assai superiore, in termini anche di visibilità, di uno sciopero che coinvolga solo le due parti in lotta. E’ una lezione che è stata imparata anche dalle organizzazioni sindacali dell’industria, che non disprezzano, in vertenze “dure”, di prendere in ostaggio un po’ di popolazione civile bloccando strade o stazioni.
Il caso dello sciopero ATM del 5 aprile, in concomitanza (per favore, non si dica casuale) con il Salone del Mobile, è un esempio di ottimizzazione di questa logica: se blocco la città in una giornata così importante produrrò un danno multiplo di quello che provocherei scioperando in una giornata qualunque, e senza costi aggiuntivi.
Si potrebbe anche tentare un’equazione di sapore “giustificazionista”: la posta in gioco per il sindacato è veramente talmente alta da valere il danno inflitto?
Il danno è grosso: mette in discussione l’immagine e l’affidabilità di Milano; una metropoli all’avanguardia, centro di una rete di relazioni economiche e civili in crescita, candidata a diventare una delle capitali del sistema Europa, non può permettersi di bloccarsi proprio quando da tutto il mondo la gente viene qui attratta da un evento di quelli su cui Milano ha ricostruito la propria immagine e la propria credibilità.
La posta in gioco dal punto di vista del sindacato? La versione divulgata è quella di evitare lo “spacchettamento” dei servizi gestiti da ATM: trasporto, car sharing, bike sharing. Sarebbe un fatto grave? Gli utenti ne sarebbero danneggiati? Se a gestire il car sharing fosse un soggetto diverso da ATM per i cittadini che differenza farebbe? In realtà ciò che i sindacati dei trasporti fanno fatica ad accettare è il fatto che il sistema del trasporto pubblico non faccia capo ad un monopolista pubblico: è l’ansia da rottura del monopolio che pavlovianamente attanaglia il sindacato in queste circostanze. Dice: ma l’ATM ha una gestione sana, efficiente e perfino profittevole; vero, ma perchè affidare pezzi di servizio ai privati lo peggiorerebbe? Se ne può discutere, naturalmente, ma l’unico criterio accettabile è quello di valutare vantaggi e svantaggi per gli utenti del servizio. Cosa che anche il sindacato dei trasporti sa e declama “Uno sciopero con Milano e non contro Milano” era lo slogan.
In realtà il danno inflitto alla città è certo e grave, quello paventato dal sindacato è opinabile, soggetto comunque ad una discussione che era ancora aperta e non aveva ancora prodotto alcun effetto. In conclusione: i sindacati dei trasporti hanno aperto il fuoco a scopo preventivo, infischiandosene dei danni causati alla città, anzi ricercandoli per massimizzare la propria forza di interdizione.
Va be’: non è la prima che vediamo e non sarà l’ultima. Ma almeno ci risparmino la litania del “lo facciamo nell’interesse della città”. Questa sbandierata vocazione universalista è sempre più una copertura per una politica di autotutela di interessi costituiti, legittimi ma non universali. E quando l’autotutela di un interesse specifico entra in contrasto con l’interesse collettivo può esserci un momento in cui la corda si spezza.
Sarebbe bene che il Sindacato Confederale facesse in proposito una riflessione seria e mettesse in atto comportamenti conseguenti, prima che lo facciano altri.