“Nuovo anno scolastico vecchi problemi”. Ivana Barbacci, segretaria generale della Cisl scuola, sintetizza così l’apertura di questo nuovo anno scolastico e fa il punto sulle criticità del sistema scuola in questa intervista al Diario del lavoro
Segretaria Barbacci quali sono questi vecchi problemi?
Prima di tutto la mancanza di docenti. Ci sono 64mila posti liberi ma le assunzioni che possono essere fatte sono 45mila, con un buco di 19mila posti. Inoltre di questi 45mila sono la metà riguarda insegnanti il cui percorso concorsuale è terminato. Per tutti gli altri finirà solo a dicembre. Quindi ci sarà un vuoto di altri 20mila docenti. Per il sostegno ci sono 106mila posti da coprire e, solitamente, 85mila docenti sono senza specializzazione. Questo non per mancanza di voglia o di volontà ma per la carenza dell’offerta formativa. Per quanto riguarda le supplenze ancora mi sembra prematuro dare dei numeri, ma alla fine potremmo attestarci sulle stesse cifre degli anni passati, circa 230mila. La situazione non è migliore per il personale ATA. A fronte di 30mila posti vacanti, le assunzioni ne copriranno solo un terzo. Stiamo parlando di figure importanti anche per l’attuazione del Pnrr.
Ci sono dunque strozzature e complicazioni durante il reclutamento. A cosa sono dovute?
Ai vincoli del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Nello specifico?
Chi ha scritto il Pnrr ha commesso un errore di metodo che poi si ripercuote su tutto il sistema rendendolo ancora più fragile. Il Piano prevede che i posti liberi vadano occupati unicamente attraverso i concorsi ordinari o con i nuovi concorsi con i 60 cfu. Ora sulla carta questo può essere anche un principio giusto, ma in pratica non funziona perché i vincitori e gli idonei dei concorsi non sono sufficienti per ricoprire i posti o perché ai concorsi le persone non si presentano proprio.
Qual è la vostra proposta?
Ovviamente di attingere ai concorsi ma anche alle GPS, le Graduatorie Provinciali per le Supplenze, dove ci sono precari storici, che hanno maturato numerose esperienze di insegnamento. Capisce che se su 800mila docenti 200mila sono precari, c’è un’insita debolezza nel mondo della scuola.
Ci sono altri punti sui quali intervenire?
Bisogna ridare dignità alla professione. E questo lo si fa mettendo al centro la figura dell’insegnante, anche per l’impegno e l’importanza del lavoro che svolge, gratificandola sul piano economico. I docenti sono, nella PA, coloro che guadagnano di meno, con uno stipendio medio annuale lordo di 29mila euro. E questo sarà uno degli elementi centrali della trattativa che vogliamo avviare in autunno al fine di recuperare il potere di acquisto consumato dall’inflazione degli anni passati.
Il sistema scuola è pronto a reggere il turn over?
Ogni anno vanno in pensione 30mila operatori, ma nei prossimi 3-4 anni le uscite saranno molte di più perché andranno in quiescenza i lavoratori nati tra gli anni ’50 e ’60. Parliamo di una fetta molto significativa se si pensa che l’età media dei docenti è di 54 anni. Ovviamente l’immissione dei precari è un aiuto, ma parliamo di persone non più molto giovani. Come dicevo serve nuovo appeal per la professione, a partire dalle retribuzioni. La maggior parte delle assegnazioni è al nord, ma con uno stipendio di ingresso di 1.300 euro in alcune regioni non si può vivere.
Teme che ci possa essere una concorrenza del pubblico come per la sanità?
Non vedo questo rischio. La scuola è un sistema unitario, che garantisce su tutto il territorio lo stesso diritto riconosciuto dalla Costituzione e che non crea disparità. È anche un mezzo per creare un’identità comune. Un pericolo potrebbe esserci se la scuola fosse piegata alle regole dell’autonomia differenziata. Molti sistemi regionali sarebbero più deboli, non garantirebbero un unico standard e sarebbero aggredibili dal privato se immessi in una logica di mercato.
Cosa serve alla scuola per guardare al futuro?
Persone giovani, motivate e ben pagate, senza dimenticare spazi e luoghi adeguati. È importante investire in maggior tempo scuola, soprattutto in quelle aree più disagiate. Ma per far questo la scuola non deve essere lasciata sola, come non può essere lasciata sola per rispondere ai bisogni espressi dalle nuove esigenze formative.
Come giudica l’interlocuzione avuta sin qui con il ministro?
Devo dire che con il ministro Valditara c’è sempre stato un buon dialogo e ha sempre dimostrato la volontà di ascoltare i bisogni portati dal sindacato. Quello che però ora chiediamo è un cambio di passo, che dai buoni propositi si passi ai fatti. Ci sono poi delle politiche scolastiche che non ci piacciono e che contrastiamo. Un esempio su tutti è il progetto, che dovrebbe entrare in vigore dal prossimo anno, in base al quale per garantire la continuità didattica degli insegnanti di sostegno sarà dirimente il giudizio della famiglia. Ora è giusto il suo coinvolgimento, ma non credo che un docente debba dipendere dal giudizio dell’utenza. In questo modo si da una valutazione della professionalità dell’insegnante senza le giuste competenze e, soprattutto, se ne limita la sua autonomia.
Tommaso Nutarelli