Continua la mobilitazione di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil per protestare contro le misure contenute nel ddl lavoro che mirano ad annullare i diritti previdenziali, assistenziali e contrattuali dei lavoratori agricoli e più in generale del lavoro stagionale.
Mercoledì 9 maggio si svolgerà lo sciopero generale di otto ore del settore agricolo delle regioni Emilia Romagna e Lazio (nelle altre regioni lo sciopero si è svolto il 27 aprile), con manifestazione che si svolgerà a Roma a Piazza SS Apostoli. Fai, Flai e Uila hanno chiesto che una delegazione di manifestanti sia ricevuta dalla commissione lavoro del Senato per illustrare le proposte unitarie di modifica al ddl lavoro che riguardano, in particolare, l’art. 11 che estende l’uso dei voucher a tutto il lavoro stagionale nel settore agricolo e gli artt. 24-28 (mini-Aspi) che riducono drasticamente le indennità di disoccupazione con requisiti ridotti e i contributi figurativi validi ai fini pensionistici.
Sull’utilizzo dei “voucher”, se passasse la norma proposta dal governo (che considera come ‘meramente occasionale’ il lavoro stagionale in agricoltura), il 90% dei lavoratori del settore potranno, in futuro, essere pagati con un buono da incassare alla Posta e, da un giorno all’altro, si ritroveranno senza contratto e salario di qualifica, perderanno tutele per la maternità e contro la disoccupazione, non potranno accedere alla pensione.
“Con un colpo di spugna – spiegano i sindacati – saranno cancellate le conquiste sindacali di 50 anni”.
Per quanto riguarda la mini-Aspi (sistema che dovrebbe sostituire l’indennità di disoccupazione con i requisiti ridotti), questa comporterà una riduzione media dell’indennità spettante al lavoratore fino al 30% rispetto a quella attuale. Inoltre, il nuovo sistema di calcolo dei contributi figurativi comporterà un forte taglio, nella migliore delle ipotesi, della prestazione pensionistica se non, addirittura, il mancato raggiungimento al diritto della stessa.
Fai, Flai e Uila ritengono che queste norme siano profondamente sbagliate e ingiuste, perché vanno a colpire la fasce più deboli e meno tutelate del lavoro e che, quindi, vadano cambiate dal Parlamento.