Capita spesso, purtroppo, che i tg ci mostrino periferie urbane cosparse di rifiuti che nessuno raccoglie da giorni se non da settimane. Di solito, se abbiamo la fortuna di vivere in città in grado di affrontare l’aggressione dei rifiuti (ce ne sono di ogni tipo), ci chiediamo come sia possibile che certe cose avvengano altrove anche in località importanti. Per la raccolta dei rifiuti si paga una tassa apposita; ci sono aziende, spesso municipalizzate o comunque di mano pubblica che hanno questa mission, dotate di macchinari e organici che dovrebbero procedere alla raccolta. Certo, in una “Società signorile di massa” il lavoro di netturbino non è più appetito, anche se sostanzialmente stabile (non è sempre così) in aziende pubbliche o parapubbliche, sindacalizzate come Dio comanda. Poi sappiamo che esiste il problema dello smaltimento per il quale molte comunità eccellono nei campionati del Nimby e l’Italia si qualifica nel primato dell’export dei rifiuti verso Paesi che li considerano una sorta di ricchezza. Per deformazione professionale ci siamo chiesti se mai ci fossero di mezzo degli scioperi del personale addetto, ben sapendo che il settore è considerato un servizio pubblico essenziale, per cui l’esercizio del diritto di astensione dal lavoro è sottoposto a precise regole e procedure. E’ di recente pubblicazione la Relazione 2021 della Commissione di garanzia sugli scioperi nei servizi essenziali (CGS) per l’attività del 2020, l’annus horribilis che è divenuto uno spartiacque nella storia contemporanea dell’umanità. La CGS dà atto che le Organizzazioni sindacali presenti nel settore dell’igiene ambientale hanno, in generale, aderito all’invito della Commissione di tenere conto dell’emergenza sanitaria, astenendosi dal porre in atto azioni di protesta che potessero comportare rallentamenti o interruzioni del servizio che, è bene rammentarlo, si è svolto con continuità durante tutto il periodo del lockdown. La pandemia ha però comportato, a sua volta, alcune problematiche nelle relazioni industriali, soprattutto nella sua fase iniziale, in gran parte dipendenti dai ritardi nella fornitura dei D.P.I. (mascherine, guanti e tute monouso, ecc.), divenuti strumenti essenziali per garantire la sicurezza dei lavoratori, e dalla non sempre tempestiva attivazione, da parte delle aziende, dei protocolli di sicurezza adottati dal Governo e dalle parti sociali (risale al 19 marzo 2020 la sottoscrizione del protocollo di sicurezza per i servizi ambientali). Salvo limitatissime eccezioni, già prima del termine della prima fase della pandemia, datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori avevano concordato – conferma la Relazione – le modalità attraverso cui svolgere il servizio durante l’emergenza sanitaria. Quanto agli scioperi, premesso che non sarebbe corretto – secondo la CGS – mettere a confronto quanto è avvenuto negli anni precedenti viene segnalata la distribuzione delle azioni di sciopero conferma la Calabria, la Sicilia e la Campania come, di gran lunga, i territori dove è stato proclamato il maggiore numero di scioperi (Calabria: 67; Sicilia: 64; Campania: 41). Significativa è anche la crescita costante delle azioni di sciopero nel Lazio, in Puglia e, nel Norditalia, in Veneto e Piemonte, seppure in contesti ben circoscritti (Rovigo, Orbassano – TO). Potremmo dire che lo avevamo supposto; ma è sempre meglio approfondire. Innanzi tutto la Relazione indica in numero degli scioperi in totale (308, vi sembrano pochi su 365 giorni?) e proclamati da ciascuna organizzazione sindacale. E’ evidente che la distribuzione denota che in diverse occasioni vi sono state proclamazioni di astensione dal lavoro che non hanno coinvolto tutti i sindacati operanti nel settore. I motivi possono essere i più disparati: dalla presenza attiva nelle aziende di ciascuna sigla ai differenti orientamenti in occasione delle iniziative di lotta. Il dato più evidente è la conferma del ruolo prevalente svolto dalle Organizzazioni firmatarie dei CCNL di settore e dell’Accordo nazionale (FP CGIL, FIT CISL, UILTRASPORTI, FIADEL) che mantengono un elevato livello di rappresentatività nel settore. In crescita anche la UGL, Organizzazione sindacale che ha aderito all’Accordo nazionale, e la USB, che svolge un ruolo più sensibile in Toscana. Le altre Organizzazioni sindacali presenti nel settore (in tutto sono state 19 a proclamare scioperi, 25 ad avviare procedure di raffreddamento e conciliazione) operano in prevalenza in contesti territoriali circoscritti. La causa di insorgenza dei conflitti, che ricorre in modo assolutamente preponderante e generalizzato nel centro-sud del Paese, è il sistematico ritardo nel pagamento degli stipendi ai lavoratori, problematica che sovente si riscontra, in particolare, nei centri minori del meridione e nei comuni della cintura suburbana delle grandi metropoli, in particolare Roma e Napoli. Dall’attività istruttoria svolta dalla Commissione di garanzia emerge, nella quasi totalità dei casi, che le società incaricate del servizio di raccolta dei rifiuti – una pluralità di aziende di piccole dimensioni che, in molti casi, non offrono sufficienti garanzie sia economiche che organizzative per l’espletamento di un servizio pubblico complesso- adducono a giustificazione del mancato pagamento degli stipendi l’inadempimento da parte dell’ente pubblico appaltante dei canoni contrattualmente previsti. Ciò è conseguenza dell’estrema difficoltà a coprire con le risorse provenienti dalle tariffe versate dagli utenti gli alti costi del servizio generati dall’inefficienza del sistema di raccolta e, soprattutto, di smaltimento dei rifiuti. A fondamento di ciò si pone la consapevolezza – la CGS non la manda a dire – che la difficoltà, se non impossibilità, di adempiere i canoni per il servizio pubblico annulla la provvista per quelle Società di gestione che si muovono all’interno degli spazi della legalità. “Ne consegue, a tacer d’altro, il fondato pericolo di trasformazione di tale settore in una facile preda della criminalità organizzata, spesso unica in grado di fare fronte a servizi antieconomici, ancora più reale nella attuale crisi economica conseguente alla crisi sanitaria”. Anche Hera, la società multi servizi del Comune di Bologna e di altri nella regione, ha avuto qualche problema con gli scioperi. La società – quotata in Borsa con ottimi risultati tanto che non chiede soldi pubblici ma fa incassare dividendi – pratica una raccolta differenziata della carta. I cittadini lasciano i sacchi davanti alle porte, il mercoledì; e di notte vengono raccolti. I bolognesi, giovedì scorso, se li sono ritrovati davanti a casa il mattino, perché di notte c’era stato uno sciopero. Il che ha suscitato molte proteste, tanto che l’azienda ha ritenuto di doversi scusare.
Organizzazioni Sindacali
Scioperi proclamati
2020 e Quota %
Anno 2020
FP CGIL: 92; 29,9%
FIT CISL: 59: 19,2%
FIADEL: 48; 15,6%
UIL: 46; 14,9%
R.S.U: 23; 7,5%
UGL: 7; 2,3%
USB: 7 ; 2,3%
FILAS: 6; 1,9%
FLIA: 6 1,9%
SLAI COBAS: 5; 1,6%
Altre (9 sigle): 9; 2,9 %
Totale: 308; 100,0%
Giuliano Cazzola