Nella primavera del 1999 ho accompagnato Gino Giugni ad un Seminario, organizzato a Parigi dall’Università Nanterre, sull’esperienza italiana di regolamentazione legislativa dello sciopero nei servizi pubblici, introdotta, circa dieci anni prima, dalla legge 146/1990.
Nel momento in cui Giugni si prodigava a spiegare il sistema di contemperamento tra diritto di sciopero e diritti degli utenti in vigore nel nostro settore del trasporto pubblico, attraverso la garanzia di fasce orarie a servizio pieno, venne incalzato dall’osservazione di un giovane professore francese di diritto costituzionale: “Come potete definire sciopero un’astensione collettiva durante la quale i lavoratori sono obbligati a garantire 6 ore di servizio pieno?” Era, indubbiamente, la raffigurazione emblematica di una concezione, consolidata in una certa cultura giussindacale, che considera lo sciopero come un diritto illimitato e illimitabile: le buone ragioni dello sciopero prevalgono, “a prescindere”, su altre esigenze, anche di soggetti terzi estranei al conflitto, per i quali si invoca, anzi, quasi una solidarietà di classe.
È, in pratica, quello che è avvenuto, in questi giorni in Francia, dove quasi tutti i servizi pubblici essenziali sono stati bloccati da scioperi posti in essere, senza alcuna garanzia di servizio minimo, contro la nuova Loi travail.
Una situazione simile si era, più o meno, verificata nel nostro Paese, negli anni ‘80, soprattutto nel settore dei trasporti. Si ricorderà il periodo ruggente dei cobas dei macchinisti nelle ferrovie; o gli scioperi improvvisi di aquila selvaggia e le agitazioni dei controllori di volo, specie nel periodo successivo alla smilitarizzazione del settore, che indussero l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini ad intervenire con il DPR n.484 del 1981 per garantire almeno il preavviso (il leitmotiv dei giornali del tempo, “Anche per oggi non si vola”, venne utilizzato pure da Giorgio Gaber come titolo di una sua canzone).
Situazione, invero, non più verificabile grazie proprio alla legge 146/1990, che ha introdotto, nei servizi pubblici essenziali, il contemperamento del diritto di sciopero con altri diritti di pari rango dei cittadini utenti. Un principio di civilizzazione del conflitto (per usare un termine caro ad Aris Accornero) ormai recepito in una fitta rete di accordi sindacali e di regolamentazioni, che garantisce, sempre e comunque, l’erogazione di una soglia minima di servizi, in caso di sciopero, sulla quale gli utenti possono contare.
Ma un altro aspetto fondamentale, nel confronto Francia/Italia, non può non riguardare i numeri sugli scioperi. Nell’anno 2016, nonostante la grande mobilitazione sindacale contro la Loi travail, gli scioperi nei servizi pubblici, effettuati nel Paese transalpino, rimangono inferiori a una decina. In Italia, nei primi 5 mesi del 2016, sono stati già proclamati circa 1.100 scioperi, dei quali, circa 700 effettuati (dati Commissione garanzia).
Ciò vuol dire che in Francia il ricorso allo sciopero, che può essere proclamato solo dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale (l.n.777/1963), rimane l’extrema ratio nel conflitto collettivo. In Italia, invece, nel settore dei servizi pubblici, caratterizzato da un pluralismo sindacale che, obbiettivamente, ha del patologico, lo sciopero diventa spesso una sorta di passaggio obbligato da anteporre, a priori, a qualsiasi ipotesi di composizione del conflitto, specie da parte di sindacati dall’incerta rappresentanza e in cerca di legittimazione.
E allora, se è vero, come affermava Gino Giugni, che il concetto di pluralismo sindacale non può consistere nell’esistenza di tanti sindacati quanti sono i partiti o i movimenti politici, l’esigenza è quella di arginare l’abuso del diritto di sciopero, soprattutto per restituire serietà e rigore a tale diritto costituzionale, che rimane uno strumento fondamentale della nostra democrazia.
Tale obiettivo non può essere realizzato se non riconoscendo la possibilità di proclamare lo sciopero solo ad alcuni soggetti collettivi, la cui rappresentatività sia certificata da precisi indici. La verifica della rappresentatività sindacale è una condizione necessaria ai fini del buon governo del conflitto.
Pur con le sue difficoltà attuative, un punto di riferimento può essere, a tal fine, il Testo Unico sulla rappresentanza siglato, nel gennaio del 2014, da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, nel quale si forniscono criteri per l’individuazione delle organizzazioni sindacali rappresentative. Il legislatore dovrebbe, dunque, stabilire una percentuale minima di rappresentatività, che deve essere raggiunta da una o più organizzazioni sindacali, per poter proclamare scioperi nei servizi pubblici essenziali.
I d.d.l., sul tema, che giacciono in Parlamento, prevedono un’alternativa a questa proclamazione qualificata, consistente nella possibilità, per il soggetto collettivo che non rientra nei requisiti di rappresentatività, di sottoporre la proclamazione di sciopero a referendum tra i lavoratori, per il raggiungimento di un determinato quorum. È una soluzione apparentemente più democratica, ma che, tuttavia, presenta notevoli difficoltà sul piano attuativo. Si pensi, ad es., a uno sciopero nazionale nel settore del trasporto urbano: chi effettuerà i controlli di regolarità sul voto, nelle varie aziende del Paese (luoghi e tempi). Poi c’è il problema delle procedure di raffreddamento e conciliazione, previste obbligatoriamente dalla legge per poter proclamare lo sciopero: andranno svolte prima o dopo il referendum? Prima, sarebbero inutili se poi il soggetto che vuole proclamare lo sciopero non dovesse raggiungere il quorum. Ma se effettuate dopo e se queste raggiungessero l’obbiettivo per le quali sono state concepite, vale a dire la composizione del conflitto, ciò renderebbe inutile e dispendioso lo svolgimento del referendum stesso.
Insomma, l’esigenza di una garanzia di servizio minimo per gli scioperi in Francia, viaggia di pari passo a quella di una proclamazione qualificata in Italia. Per il resto, un elemento comune si può ritrovare nel gioco del calcio: quando venne approvata la nostra legge146 stavano per iniziare i mondiali Italia ’90; adesso, sono al via gli europei Francia 2016.