Si è conclusa oggi, con le 4 ore di sciopero attuate dalle lavoratrici e dai lavoratori metalmeccanici delle 10 regioni del Centro-Sud, l’iniziativa nazionale di lotta lanciata dai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil il 15 giugno scorso. Come si ricorderà, la prima puntata di questa iniziativa, articolata su base regionale, si è svolta venerdì 7 luglio. Per quella giornata, i sindacati confederali della categoria avevano indetto lo sciopero, sempre di 4 ore, per i metalmeccanici delle regioni del Centro-Nord, ovvero Valle D’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana e Marche. Oggi l’astensione dal lavoro è stata replicata dalle tute blu di Lazio, Umbria, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.
L’iniziativa di cui stiamo parlando è stata lanciata da Fim, Fiom e Uilm a partire da uno slogan molto politico: quello della “centralità del lavoro metalmeccanico”. Uno slogan che non appare rivolto alle imprese quanto al Governo. E che, ci permettiamo di aggiungere, si presenta come particolarmente tempestivo.
Come è noto, infatti, nei primi sei mesi del corrente anno i dati generali dell’economia italiana si presentano come abbastanza positivi. E ciò non solo in senso assoluto, ma anche in senso relativo, dato che altri Paesi dell’Unione Europea, a partire dalla Germania, non se la stanno passando bene. L’assommarsi del permanere dell’inflazione con la politica restrittiva attuata dalla Banca centrale europea, e con le difficoltà generate dalla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, ha creato una situazione in cui anche un’economia solida come quella tedesca perde colpi.
Da noi, invece, l’Istat prevede un Pil in crescita, sia per il 2023 che per il 2024, anche se in calo rispetto al 2022. Parallelamente, anche il mercato del lavoro sta segnando dei risultati positivi, con una crescita dell’occupazione. Molti osservatori ritengono, però, che queste tendenze siano sostenute da un boom del turismo e, per conseguenza, del settore dei servizi privati. Altri dati, infatti, mostrano da qualche mese una tendenza alla decrescita per ciò che riguarda la produzione manifatturiera. Una tendenza che ha riguardato e sta riguardando anche l’industria metalmeccanica, ovvero quel settore che è assieme cuore e nerbo della nostra industria manifatturiera.
Da anni l’Italia si fregia del titolo di seconda potenza manifatturiera dell’area europea. Il che vuol dire essere secondi solo alla Germania. Ma se anche la Germania comincia a perdere colpi, dato il forte intreccio che c’è fra il nostro sistema industriale e quello tedesco, cosa potrà accadere alle nostre fabbriche?
Ecco dunque perché giunge tempestivo l’allarme lanciato da Fim, Fiom, Uilm. E lanciato non solo con un convegno o un appello, ma con la proclamazione di uno sciopero che, a fine mese, alleggerirà le buste paga, peraltro non troppo pesanti, dei nostri metalmeccanici.
Per aver preso una decisione come quella di indire questo sciopero, le preoccupazioni, nella palazzina di corso Trieste che ospita, a Roma, i quartier generali dei tre sindacati, devono dunque essere piuttosto gravi. E ciò perché, al di là delle tendenze sopra richiamate, relative ai tempi più recenti, nel nostro Paese le tre grandi confederazioni sindacali lamentano da tempo l’assenza di qualcosa che possa essere definito come politica industriale.
Se ci è consentita un’osservazione personale, oseremmo dire che l’ultima iniziativa politica assunta in questo campo, peraltro con successo, da un Governo italiano, è quella che va sotto il nome di Piano Industria 4.0, lanciata nel 2016 da Carlo Calenda quando era ministro dello Sviluppo economico nel Governo Renzi. Poi più nulla di veramente significativo.
Va anche detto che quella prima concepita, e poi realizzata, da Carlo Calenda, anche sotto il Governo Gentiloni, era un’iniziativa di politica industriale, come si dice, per fattori, mentre da parte sindacale è più frequente il richiamo a iniziative da assumere in relazione a singoli settori del nostro apparato manifatturiero.
Fatto sta che da qualche parte bisogna cominciare o, quanto meno, ricominciare. Infatti, al di là di fenomeni anche gravi, ma relativamente contingenti, come le conseguenze della pandemia da Covid-19 e della guerra in Ucraina, col loro portato di scarsità di materie prime e componentistica varia, rialzo dei costi, specie per ciò che riguarda l’energia, e inflazione importata, ci sono due tendenze di fondo che travagliano da qualche tempo l’industria manifatturiera: la transizione energetica e quella digitale. Due tendenze, si può aggiungere senza tema di essere smentiti, che continueranno a far sentire la loro influenza negli anni a venire.
Insomma, tutto ciò è troppo per molte singole imprese che, fin qui, si sono mosse bene e anche con grande intelligenza e grande agilità entro i confini, anche transnazionali, di un dato comparto industriale, ma che non sanno bene come comportarsi se, a entrare in crisi, è tale intero comparto. Che, tanto per fare un esempio, è proprio ciò che sta accadendo al comparto della componentistica che lavora e produce attorno a tutto ciò che riguarda i motori endotermici per auto, furgoni, autobus e camion. Mentre la transizione digitale porta a cancellare mansioni tradizionali che vengono sostituite da altre prima inesistenti.
Torniamo dunque allo sciopero indetto per venerdì scorso e per oggi da Fim, Fiom e Uilm. A monte di tale iniziativa c’è la profonda consapevolezza dell’apporto decisivo che il “lavoro metalmeccanico” ha dato allo sviluppo del nostro Paese, quanto meno, dal secondo dopoguerra a oggi. Acciaio, macchine utensili, macchine movimento terra, macchine agricole, veicoli commerciali, veicoli industriali, auto, elettrodomestici, costruzioni navali, materiale ferroviario, aerospazio, elettronica civile: non sono forse questi i comparti che hanno dato vita prima alla ricostruzione post-bellica, poi al boom degli anni 60, e poi ancora alla lenta e continua, ancorché contrastata, affermazione del nostro Paese come potenza manifatturiera?
Solo che adesso siamo arrivati a un punto veramente critico. Ecco dunque gli obiettivi che, secondo Fim, Fiom e Uilm, il Governo italiano dovrebbe porsi, coinvolgendo il sistema delle imprese e il mondo del lavoro: perseguire un vero e proprio “rilancio industriale”, anche attraverso un “incremento degli investimenti pubblici e privati” nei “settori strategici”.
E ancora: apprestare strumentazioni necessarie per gestire processi di “transizione sostenibile”. Concentrare specifiche attenzioni per la soluzione delle “crisi”, aziendali o territoriali, già “aperte”. Impostare processi di “reindustrializzazione delle aree di crisi”. Avviare processi volti a favorire la “formazione di nuove competenze”. E quindi, come risultato di tutte queste azioni, produrre anche risultati percepibili in termini di “occupazione”.
E qui, però, si arriva, di nuovo, a un punto critico. Perché i sindacati auspicano un impiego, nel settore metalmeccanico, delle “risorse del Pnrr”. Il che, certo, si presenta come un’idea condivisibile. Solo che, a tutt’oggi, l’attuale Governo non è ancora riuscito a farsi dare la, peraltro, attesa nuova rata del medesimo Pnrr.
Oggi, intanto, i sindacati hanno espresso soddisfazione per l’andamento della giornata di lotta. Secondo Michele De Palma, segretario generale della Fiom, l’adesione allo sciopero dei metalmeccanici delle regioni del Centro-Sud “è stata straordinaria”. “Con questo sciopero – ha aggiunto De Palma – abbiamo unito Nord e Sud del Paese, precari e lavoratori a tempo indeterminato. Unire è il nostro compito per contrattare con imprese e Governo il futuro del Paese.”
Roberto Benaglia, segretario generale della Fim-Cisl, ha detto che “insieme agli altri sindacati, rilanciamo oggi le ragioni di un grande patto attorno alla transizione ecologica e digitale della filiera della metalmeccanica”. Un patto che “rappresenta l’unica prospettiva per poter governare i processi in atto e non lasciare sole le imprese e i lavoratori, valorizzando il dialogo sociale con l’obiettivo di ottenere risultati concreti”.
Infine, Rocco Palombella, segretario generale della Uilm-Uil, ha affermato che “i lavoratori che sono scesi in piazza e hanno organizzato numerosi presidi, chiedono un futuro di lavoro e non di assistenza”, e ha poi aggiunto che “oggi non è la giornata conclusiva dello sciopero nazionale ma l’inizio di una mobilitazione che ci vedrà protagonisti nei prossimi mesi. Ci fermeremo solo se avremo ascolto, condivisione e risposte concrete dal Governo”.
@Fernando_Liuzzi