Il segretario generale di Fillea Cgil Walter Schiavella, sentito dal Diario del lavoro, spiega le problematiche del settore, in particolare la sospensione della trattativa del rinnovo del contratto nazionale.
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Schiavella, perché avete sospeso la trattativa?
La vicenda è molto complessa. Siamo al 25° incontro e la vertenza dura da 18 mesi. Questo ritardo è il frutto sia della crisi del settore che degli effetti della rappresentanza delle imprese. In breve: le controparti ci hanno offerto soluzioni spesso incettabili e poco flessibili. Siamo passati da momenti di rottura, quando ad esempio ci proposero, dopo 11 mesi di negoziato, un aumento salariale di zero euro. In seguito, grazie allo sciopero generale, abbiamo riaperto la trattativa con una base più ampia e utile per entrambe le parti. Ma adesso, prendendo atto dell’impossibilità a procedere con le controparti, abbiamo sospeso la trattativa, prendendoci una pausa di riflessione.
E dopo? Come contate di riprendere il confronto, con quale obiettivo?
La conclusione alla quale le parti sindacali vogliono giungere, non è solo quella delle pur giuste e sacrosante esigenze di tutela del salario, ma anche la condivisione di un intervento di riorganizzazione di tutta l’azione contrattuale del settore, fondamentale per garantire i diritti dei lavoratori.
Ad esempio?
Parlo del nostro sistema bilaterale, che soffre degli effetti della crisi, cioè l’aumento delle irregolarità e la mancanza di risorse per i nostri operai. Con oltre 750.000 iscritti nelle casse edili e il dimezzamento dell’orario medio, si è determinata una situazione di grave difficoltà del sistema. Tutto ciò necessita di un profondo processo di riforma, che tuttavia va guidata e deve essere coerente. In questo processo quindi non si deve solo produrre un mero taglio dei costi a scapito dell’efficienza del sistema, perché si deve assicurare l’esercizio della funzione primaria per il quale è stato costruito, cioè garantire l’esercizio dei diritti dei lavoratori.
Qual è l’elemento che ha pesato piu’ negativamente sulla trattativa?
Preciso che noi stiamo tutelando e difendendo, più che acquisendo. In un contesto così difficile le controparti hanno messo sul tavolo una bomba atomica, cioè la richiesta di mettere mano all’art. 29 della legge 276, che regola la responsabilità solidale. A oggi è l’unico istituto che tutela i lavoratori di fronte ai soprusi nel sistema degli appalti. Noi su questo non abbiamo nemmeno posto un blocco pregiudiziale, ma abbiamo fatto una controproposta su questo tema. Inoltre, nel nostro settore vige un sistema di appalti troppo confuso e che lascia troppi margini all’elusione, al punto che oggi il tema sul quale si discute è come garantire la trasparenza e la difesa dei diritti dei lavoratori. Nonostante ciò, assistiamo all’avvento del decreto Poletti, che indebolisce ulteriormente il Durc (documento unico di regolarità contributiva, ndr). Uno strumento importante, grazie al quale abbiamo assicurato negli anni la protezione di quasi oltre 200 mila lavoratori dal nero, dal grigio, dall’irregolarità.
Come sono i rapporti con le altre sigle sindacali?
È evidente che ci sono state sensibilità diverse nella valutazione del quadro, ma abbiamo avuto la capacità di riconoscere un punto, cioè la delicatezza di questo argomento. Abbiamo quindi messo in campo delle proposte per aggiungere elementi di garanzia e verificato la volontà di tutti i soggetti per mantenere il filo di un confronto unitario.
La trattativa è stata più difficile con l’Ance o con la Coop?
Il tavolo è congiunto. Certo, in base alla storia e l’autonomia di ogni sindacato, il rapporto che si viene a creare con le controparti è diverso perché ci sono e ci saranno sensibilità diverse. Ma abbiamo comunque registrato avanzamenti e distanze all’interno di un unico tavolo.
Su quali punti non farete un passo indietro?
Il tema principale è come finirà la questione della responsabilità solidale. Se resta sul tavolo, abbiamo le condizioni per andare avanti. Altrimenti valuteremo i nuovi equilibri che si andranno a determinare nel nuovo contesto e miglioreremo tutti gli altri punti oggetto del negoziato.
A quando un nuovo incontro?
Vogliamo riaprire il tavolo prima della pausa estiva, e questo in termini teorici, è la stessa volontà delle controparti.
Qual è la situazione del settore rispetto al passato?
Sul piano occupazionale ancora risentiamo degli effetti della crisi. In termini assoluti abbiamo perso 750 mila posti di lavoro nell’intera sigla delle costruzioni. Il problema è che in questi anni, anche grazie ad una certa legislazione, si è indebolito il clima complessivo di legalità del settore. Quindi oltre l’aumento dei disoccupati, registriamo l’aumento del lavoro nero. Il ciclo produttivo è sempre più arido, le imprese sono sempre più deboli e la competizione spinge al ribasso, con la conseguente frammentazione del lavoro e dei subappalti. Il tutto avviene con meccanismi di aggiudicazione con offerte basse, che da un lato è economicamente vantaggioso, dall’altro di fatto si arriva agli stessi risultati.
Come si dovrebbe intervenire?
Da un lato, rilanciando davvero un programma di investimenti. Non voglio però riaprire la discussione delle piccole o grandi opere. Bisogna scegliere solo le opere che servono, come l’edilizia residenziale pubblica, la messa in sicurezza del patrimonio edilizio e del territorio, l’adeguamento energetico, il recupero urbano. Sono tutte proposte inserite nel piano di lavoro del nostro sindacato. Il problema è che si parla tanto ma di soldi veri se ne vedono pochi. Quindi se non si mettono realmente in circolo le risorse per opere utili al paese, garantendo al contempo trasparenza e legalità, questo settore ha due strade: o chiude per sempre, oppure si consegna definitivamente all’illegalità.
Che cosa ne pensa dell’operato del governo rispetto all’edilizia?
Le intenzioni del governo sono condivisibili. Si parla di utilizzare 3 miliardi per la messa in sicurezza del patrimonio pubblico, a partire da quello scolastico. Si parla di velocizzare gli investimenti. Ma aldilà delle intenzioni, la differenza con gli altri governi si vedrà nei fatti.
Se si riescono a trasformare i soldi di carta, cioè gli stanziamenti di competenza, in cassa e quindi in appalti e in cantieri, ben venga. Ma bisogna mettere in pratica buone pratiche, soprattutto con la trasparenza in ogni passaggio degli appalti. Invece notiamo che questo governo tende un po’ a fare da solo per fare veloce, mentre invece dovrebbe ascoltare. Perché non sempre per far veloci, si fa bene. Questo è il primo elemento di giudizio, rispetto al quale almeno il beneficio del dubbio lo concediamo. Su un altro piano, il giudizio è già compiuto, cioè sul progetto Poletti spiegato prima. Oppure sulle affermazioni del ministro Lupi, quando parla della responsabilità solidale e dell’eliminazione di questo istituto, rispondendo in questo modo alle pulsioni più animali della Confartigianato: insomma sono aberrazioni.
Secondo lei, i lavoratori ripongono ancora fiducia nel sindacato?
Sicuramente si, ripongono fiducia nel sindacato nella loro tutela dei loro diritti attraverso gli accordi, grazie ai quali è stato attenuato l’impatto della crisi.
Il sindacato è percepito come uno dei soggetti che debbano partecipare all’opera di trasformazione del paese, in direzione dell’allargamento degli spazi di democrazia, di partecipazione e innovazione?
Probabilmente no. Anche noi dobbiamo interrogarci su come partecipare da attori protagonisti e non da soggetti resistenti a un processo di cambiamento. Il problema è: da che parte indirizziamo la contrattazione? Sicuramente verso un paese più giusto, più equo, più solidale. Su questo dobbiamo riflettere e migliorare.
Emanuele Ghiani