Il presidente del sindacato attori italiano, Giulio Scarpati, spiega al Diario del Lavoro le difficoltà della categoria per rinnovare i contratti, e le idee da mettere in campo per risollevare le sorti del settore.
Scarpati, a che punto è la chiusura del contratto dello spettacolo dal vivo?
Siamo ancora a un punto morto. Il contratto degli attori è scaduto nel 2010 e da allora abbiamo dialogato con l’Agis e le altre parti datoriali affinché si rinnovasse. Abbiamo formulato un’ipotesi di contratto, ma il panorama teatrale è cambiato in peggio e questo ci ha portato a ulteriori rallentamenti.
In che senso?
Prima le compagnie facevano molte più tournee, adesso se ne fanno meno, sia per colpa della diminuzione del Fondo per lo spettacolo, sia perché prima le scritture duravano parecchio, mentre oggi sono ridotte nel tempo. La continuita’ garantiva contributi e pensioni, ma adesso il lavoro dell’attore è diventato più intermittente, e diventa anche molto difficile accedere alla pensione. E’ chiaro che con il vecchio contratto non si può piu’ ragionare, bisogna adattarlo alla nuova realtà lavorativa, e integrare le altre figure artistiche che non sono ancora riconosciute nel contratto.
Per figure artistiche che intende?
Intendo coreografi, ballerini, insomma tutti lavoratori che partecipano per mandare avanti lo spettacolo dal vivo. E che richiedono pero’ riconoscimenti specifici al loro ruolo. Mi spiego con un esempio concreto: un ballerino, a differenza di un attore, non può fare otto ore continuative di prove, sono lavori che seguono dinamiche e tempi diversi. Da qui l’idea di far partecipare tutte le diverse categorie in un unico contratto quadro, in modo da salvaguardare la loro professionalità.
Quindi state proponendo di riunire in un unico contratto gli altri tre contratti?
Si, ma preciso che il contratto stabilisce solo i minimi, sotto i quali non si può andare. Poi chiaramente la contrattazione tra le parti rimane libera. Stiamo cercando di regolarizzare cio’ che non è regolarizzato, in maniera tale da non lasciare solo il lavoratore con la controparte datoriale. Pensi che per gli attori non c’è nemmeno l’accesso all’indennità di disoccupazione: in origine, a causa di un vecchio decreto regio del ’35 vietava agli artisti di accedervi, oggi perché, oltre al sistema complesso tra burocrazia e partite Iva, il numero di ore richieste è molto alto e non avendo un contratto di subordinazione non si riesce ad accedervi. Inoltre, viviamo in tempi di crisi, e questo peggiora ulteriormente la situazione.
Ma le parti datoriali sono propense a discutere e risolvere in tempi rapidi?
Certamente si discute molto, ma il problema è che si va avanti sine die. Si parla tanto ma non si riesce a concludere granche’.
Come valuta il decreto Mibac? Potrebbe aiutare la situazione?
Sono ancora da valutare gli effetti del decreto. Però c’è un rischio, che segue la tradizione storica italiana, ed è che rimanga tutto come prima. È facile fare una legge e poi trovare un modo per disapplicarla.
Non avete dialogato con il ministero per migliorare insieme il settore?
Non ci vogliono sentire: legiferano su questioni sulle quali, secondo noi, non hanno una conoscenza approfondita, mentre dovrebbero ascoltare chi nel settore ci lavora da decenni. Capisco il rischio che le categorie portino acqua al loro mulino, e che la politica ha il compito di portare tutto a sintesi e decidere: ma noi sappiamo quali sono le cose che non funzionano e come risolverle o semplificarle. Continueremo a chiedere incontri, naturalmente: ma è come parlare a un muro.
E il contratto per il settore audiovisivo, a che punto è?
Tre anni fa l’Anica, con una lettera, dichiarò di voler aprire un tavolo di trattative con noi attori. Da quel momento in poi, ci è stato detto che quando chiuderà il contratto delle troupe, si aprirà il tavolo delle trattative per il contratto del settore audiovisivo. Il contratto delle troupe non si è ancora chiuso, con il risultato che gli attori non hanno tutt’ora un contratto. Anche qui, abbiamo fatto tanti incontri, ma non si risolve niente e alla fine ti cadono le braccia. Tutto ciò mi sembra assurdo. Non solo non siamo ancora al punto della chiusura di un contratto, ma stiamo addirittura ancora aspettando l’apertura di un tavolo. Mi pare di capire che non c’è la volontà di venirsi incontro.
Cosa avete intenzione di fare se la situazione rimane ancora in stallo?
Inizieremo a fare delle proteste, ancora più forti, così come le faremo se il contratto dello spettacolo dal vivo non verrà preso in considerazione. Le chiacchiere stanno a zero: o si cambia, o questo paese andrà alla deriva anche per quanto riguarda il mondo dello spettacolo.
Emanuele Ghiani