I festeggiamenti per la vittoria di Londra non sono ancora terminati ed ecco che arrivano da Bruxelles i primi miliardi, 25, del Recovery Fund. Nessun nesso, solo una coincidenza temporale. Ma i successi calcistici si intrecciano con i piani di ripresa. Le nuove monete hanno impresso il volto grifagno di Giorgio Chiellini. In questo momento è come se ci sentissimo l’ombelico dell’Europa. Orgoglio nazionale e valori dell’Unione. Alla faccia degli inglesi e della loro Brexit. Quelli che volevano emularli esaltano gli azzurri ma sul resto tacciono. Che possono dire, d’altronde? Il retropensiero sovranista perde ai rigori. “Siamo pronti a costruire un’Italia più verde, innovativa e inclusiva. L’Italia di domani”, twittano da Palazzo Chigi.
Lo stellone nostrano brilla su Mario Draghi. La fiducia in un buon futuro è insidiata solo dai timori per la ripresa dei contagi. Forse saranno necessarie altre restrizioni ma ormai è chiaro a tutti che l’unica soluzione consiste nel proseguire la campagna di vaccinazione. E nel mantenere misure precauzionali come l’uso della mascherina e il rispetto delle distanze: la scelta di non renderla più obbligatoria all’aperto è stata interpretata come un “tana libera tutti” e ora anche al chiuso sta diventando un optional. Gli assembramenti per sventolare gioiosi il tricolore non hanno aiutato. Vedremo gli effetti nei prossimi giorni.
In giro c’è anche tanta retorica. Saltare sul carro del vincitore costituisce, assieme al calcio, lo sport preferito. Eccessi di tripudio, eccessi di piaggeria. I paralleli tra i trionfi di Roberto Mancini e i meriti del Grande Banchiere odorano di regime. Ma questo nulla toglie alla positività del momento.
Negli appartamenti loro riservati, quello che un tempo era il solenne Parlamento, i politici litigano e si tirano i piatti. I sondaggi li ipnotizzano, come fossero un video gioco. “Sto vincendo, sto vincendo”, esulta Giorgia Meloni. Matteo Salvini digrigna i denti e rende ancora più aggressivo il proprio personaggio cercando di riprenderla. Beppe Grillo e Giuseppe Conte si strappano il joystick dalle mani. Enrico Letta fa la sua partita cercando di accumulare bonus di sinistra. A sorpresa, sullo schermo appare il sorrisetto diabolico di Matteo Renzi e manda tutto in tilt. Ma i super poteri, lo sanno bene i contendenti, li ha solo il presidente del consiglio. Sarà lui a decidere se restare al proprio posto o prendere quello di Sergio Mattarella. Che sia del governo o dello stato, sempre Capo sarà.
Sulla giustizia, la seria e sagace Marta Cartabia sembra capace di condurre in porto una riforma che ridia almeno una parvenza di credibilità alla magistratura. Per i licenziamenti e l’emergenza lavoro si punta sulla ripresa economica, cercando nel frattempo di disinnescare la paventata bomba sociale con ammortizzatori e sussidi. Il resto dovrebbero farlo proprio i soldi che stanno arrivando. Non resta che incrociare le dita.
Zum, zum, zum. “La canzone che mi passa per la testa”, gorgheggiava Mina. Zan, zan, zan. Ora è questo il ritornello. La legge contro ogni tipo di discriminazione possiede un’allegra levità proprio grazie al nome del suo estensore. E tale dovrebbe essere la discussione che l’accompagna. E invece, giù improperi, anatemi, becerume. Dimenticando che sono la religione, la cultura, la struttura sociale a influenzare princìpi e morale. Tutto è relativo, come insegnano i costumi dell’antica Grecia e della Roma imperiale. O quelli dell’Estremo Oriente. Il poeta e narratore giapponese Ihara Saikaku scrisse, nel 1687, “Il grande specchio dell’omosessualità maschile”. In uno dei quaranta racconti, curiosi e divertenti, chiedeva se è preferibile “Essere a letto con una cortigiana che non si cura di voi o conversare in tono confidenziale con un giovane attore di kabuki affetto da emorroidi?”. Un bislacco quesito. Una spinta lungo la via dell’ascetismo.
Marco Cianca