Dopo 14 tavoli tecnici, si è interrotta la trattativa sul rinnovo del contratto collettivo dell’industria alimentare. I sindacati non sono soddisfatti delle risposte date da Federalimentare sulla piattaforma presentata unitariamente e hanno lanciato lo stato di agitazione già dal prossimo 22 gennaio. Il diario del lavoro ha chiesto al segretario Cisl, Luigi Sbarra, che guida anche la categoria Fai-Cisl, di spiegare i motivi della decisione di interrompere le trattative.
Questa notte si è interrotta la trattativa per il rinnovo del Ccnl dell’industria alimentare scaduto il 30 novembre scorso. Ci sono stati 14 tavoli tecnici prima di questa notte. Quali sono le criticità riscontrate e i motivi principali che hanno indotto i sindacati di categoria ad interrompere il tavolo delle trattative?
Federalimentare si è arroccata in maniera miope su una lunga serie di “no” preconcetti e ideologici, smontando pezzo dopo pezzo le fondamenta su cui si reggeva una piattaforma coerente, sostenibile e di prospettiva. E’ stato così il tema salariale, per il welfare, per la formazione, per il mercato del lavoro. Non una controproposta, non uno spiraglio che potesse far intuire buona volontà nella controparte. Dal primo all’ultimo momento, l’impostazione della delegazione datoriale è stata quella, antica e perdente, di chi pensa di poter aumentare i propri margini dalla compressione dei diritti e delle retribuzioni dei lavoratori. Una visione davvero corta ed esecrabile, perché fa pagare il prezzo della crisi ai più deboli e condanna le imprese ad avvitarsi su livelli di produttività e competitività sempre più bassi. Insomma, a rimetterci non sono solo i dipendenti d’azienda: sono anche le imprese e il sistema produttivo nazionale nel suo complesso.
Quali sono le richieste della Fai-Cisl al tavolo delle trattative che non hanno trovato nessun tipo di disponibilità da parte di Federalimentare?
Abbiamo chiesto un aumento salariale legittimo e sostenibile, considerando i dati macroeconomici e le incoraggianti performance specifiche del settore agroalimentare. Un comparto che quest’anno – solo per dirne una – ha aumentato il proprio export di oltre il 7 per cento. Ci è stato detto di no, senza appello. Abbiamo rivendicato parità di diritti e di trattamento per i lavoratori in appalto impegnati in filiera produttiva: un dovere morale, prima di tutto. Ci è stato detto di no, senza appello. Abbiamo avanzato proposte che mirano a potenziare gli spazi della contrattazione di secondo livello, rispondendo a un’esigenza di innalzamento di partecipazione, produttività e competitività. La risposta, ancora una volta, è stata “niet”. Così per la formazione congiunta, che ci è stata negata: per un fondo di mutualità per i prepensionamenti. E non basta: la controparte ha preteso di aggredire e cancellare istituti contrattuali già conquistati, quali gli scatti di anzianità e i premi di produzione. Un atteggiamento del tutto irrispettoso ,che denota un grande vizio ideologico.
Si legge nel comunicato stampa unitario che Federalimentare vuole “concludere un accordo basato esclusivamente sulla penalizzazione complessiva delle retribuzioni a partire dal blocco degli scatti di anzianità e dall’eliminazione dei premi di produzione congelati”. Federalimentare vanta ottimi risultati, soprattutto dopo Expo 2015, secondo lei per quale motivo non è disponibile ad accettare le richiesta fatte?
Ripeto: eminentemente per vizio ideologico. Pensavano forse che fossimo intimoriti e che avremmo ceduto. Questo non è accaduto. Il settore dell’industria alimentare vanta da sempre di una specifica capacità di resistere ai colpi della recessione. La componente dell’export ha garantito sempre, e continua a garantire, prestazioni molto al di sopra della manifattura classica. Se poi si aggiunge che tutti i dati a disposizione parlano di una ripartenza dei consumi interni alimentari, il muro edificato da Federalimentare e la litania dell’invarianza di costo che ci hanno propinato diventa ancora più incomprensibile.
Dopo la rottura del tavolo, lei ha dichiarato “la nostra era ed è una proposta responsabile, sostenibile, che va incontro anche alle esigenze delle imprese, coniugando competitività, produttività e crescita. Una piattaforma che non si limita a una giusta e legittima rivendicazione salariale, ma rilancia le relazioni industriali e la partecipazione come elemento cardine di uno sviluppo condiviso”. Può sostanziare come la piattaforma presentata prova a coniugare produttività, leitmotiv del governo Renzi, e la legittima rivendicazione salariale?
La Fai ha visto e vede nel rinnovo del contratto nazionale non solo un’occasione di giusta rivendicazione. I punti che qualificano la nostra piattaforma ambiscono a definire una nuova e condivisa strategia di sviluppo attraverso rapporti più partecipativi. Qualità, innovazione, competitività sono traguardi strettamente legati al livello di coinvolgimento del lavoratori nei processi d’azienda. Quando si legano i salari a elementi di produttività, quando si rafforza la bilateralità e il welfare integrativo, tutto il sistema aziendale ne giova. Questo il senso delle nostre proposte, che mirano a trasformare parti sociali in vera “autorità salariale”. Non solo rappresentanti dei legittimi interessi dei propri associati, ma attori di politica di sviluppo, capaci di generare benessere e sviluppo per tutta l’impresa.
Dopo l’interruzione delle trattative è stato proclamato lo stato di agitazione del settore a partire dalla convocazione delle assemblee nei luoghi di lavoro, l’immediato blocco degli straordinari e di tutte le flessibilità, un pacchetto di 4 ore di sciopero articolato a livello aziendale da effettuarsi entro il 22 gennaio e 8 ore di sciopero nazionale il 29 gennaio. Quale livello di partecipazione vi aspettate alle iniziative programmate? E quale reazione vi auspicate da parte di Federalimentare?
Mi aspetto un livello di adesione proporzionato alla grande partecipazione che ha visto animare nelle scorse settimane centinaia di assemblee e attivi unitari. Migliaia di donne e di uomini che per mesi hanno sollecitato responsabilmente una accelerazione del negoziato per arrivare all’accordo sul rinnovo in tempi stretti. E che ora, francamente, si sentono presi in giro da una rappresentanza datoriale che non ha mai fatto un passo nella loro direzione. Le preclusioni miopi e ideologiche di Federalimentare hanno reso la mobilitazione inevitabile. Le nostre iniziative di lotta sono la risposta necessaria non solo a rivendicare il sacrosanto e giusto diritto alla contrattazione, ma anche ad impegnare la parte datoriale a una seria riflessione. L’auspicio è che le controparti rivedano le proprie posizioni di chiusura pregiudiziale e si aprano al dialogo su basi nuove, responsabili, lavorando per far ripartire un confronto necessario per arrivare al rinnovo e dare risposte concrete alle attese dei lavoratori.
Cgil, Cisl e Uil stanno per varare il documento sulla riforma dei contratti, sul quale si aprira’ poi una trattativa con Confindustria. Crede che questo evento possa aver influenzato la trattativa sul vostro contratto? in altre parole: e’ possibile che Federalimentare voglia attendere l’esito della trattativa interconfederale, prima di procedere a sua volta?
Questo andrebbe chiesto a Federalimentare. Da parte nostra riteniamo molto grave anche solo l’ipotesi. Abbiamo sempre detto che i due temi, quello dei tavoli di negoziazione sui contratti nazionali e la riforma del modello, devono marciare su binari ben distinti e paralleli. Se Federalimentare pensa di poter subordinare la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale sull’industria alimentare al confronto sulla riforma del modello di contrattazione commette un grave errore e rischia di creare nel settore notevoli tensioni sociali. L’opposto di quello che serve a lavoratori e imprese.
Alessia Pontoriero