Un traguardo strategico per 400mila lavoratori, ma anche un fondamentale riferimento per le relazioni sindacali del futuro. L’accordo di venerdì 5 febbraio sul contratto nazionale dell’industria alimentare si colloca in un contesto davvero complesso. Uno scenario caratterizzato ancora da grande sofferenza e da una perdurante frammentazione sociale. Si aggiunge un duro attacco alla contrattazione e al ruolo stesso del sindacato. In questo clima, siamo riusciti a conquistare risultati straordinari, che premiano un lavoro iniziato un anno fa, con la stesura della piattaforma unitaria. Parte ora, nelle aziende e sui territori, la campagna rivolta alle lavoratrici e ai lavoratori per presentare il frutto della trattativa.
Lungo e tortuoso il percorso che ha portato al rinnovo. Una strada tutta in salita. Alla fine, anche grazie ad una straordinaria mobilitazione dei lavoratori, l’obiettivo è stato raggiunto. Il contratto introduce molti elementi innovativi, che premiano l’impostazione Cisl e Fai, valorizzando i temi della partecipazione, del secondo livello, del welfare contrattuale, della qualità delle relazioni sindacali, della formazione congiunta, della bilateralità, della centralità della famiglia.
Si tratta, come è noto, del primo accordo siglato dalla presentazione della proposta unitaria Cgil-Cisl-Uil sul sistema di relazioni industriali. Il contratto è coerente con quel modello, ne riconosce e ne sostiene l’impianto innovativo, coraggioso e responsabile, garantendo la centralità del contratto nazionale e rafforzando notevolmente il livello decentrato. In questa impalcatura, si promuove un’impostazione «politica» che assegna alle parti sociali e alla contrattazione un ruolo attivo nelle dinamiche di sviluppo.
Così, in una stagione di deflazione, l’incremento previsto di 105 euro in quattro anni – con due tranche riconosciute già nel 2016 – non si limita a difendere il salario, ma aumenta concretamente il potere d’acquisto dei lavoratori, e con esso i consumi e la domanda aggregata. Così le nuove modalità di telelavoro e smart working intercettano le nuove esigenze di flessibilità delle famiglie e delle aziende. Così il rafforzamento delle tutele riconosciuto alle donne vittime di violenza, con l’estensione del congedo retribuito da tre a sei mesi. Così l’istituzione di un rappresentante della sicurezza che sovrintenda a tutti i lavoratori di sito, anche quelli ai quali non si applica il contratto.
Risponde allo stesso bisogno di inclusione l’individuazione di una corsia preferenziale per le assunzioni degli stagionali storici o ricorrenti. Come pure l’introduzione di un fondo a sostegno dei lavoratori che perdono occupazione entro due anni dalla pensione. Dotazione che interverrà anche a favore dei lavoratori che vogliono trasformare il proprio rapporto di lavoro da full a part time, con garanzia di reversibilità. I passaggi a tempo parziale genereranno risorse per la nuova occupabilità, così da creare un vero «ponte generazionale».
Tutto questo si inserisce entro assetti contrattuali rinnovati, con l’estensione della durata del Ccnl a 4 anni e contratti integrativi aziendali con ultravigenza di un anno, per non accavallare i cicli negoziali. Previsto inoltre il principio del «ne bis in idem» per non sovrapporre gli istituti regolati dai due spazi di contrattazione. Ne deriva un equilibrio che rilancia la qualità del lavoro insieme a produttività, competitività, efficienza, innovazione organizzativa, welfare aziendale, conciliazione dei tempi vita-lavoro.
Un messaggio chiaro a quelle aree del contesto politico e istituzionale si attardano a caldeggiare interventi legislativi sul salario minimo. E un monito forte e autorevole al governo, chiamato ora a valorizzare l’apporto della società organizzata nelle strategie di rilancio e di coesione nazionale. Attraverso la libera negoziazione, oggi più di ieri, le parti sociali diventano vera autorità salariale e contrattuale. Protagoniste di una ripresa che coinvolge tutti: lavoratori, imprese e l’intero sistema-Paese.